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Il significato della caccia

WWF del Trentino

In questa fine estate di così acceso dibattito sugli argomenti della fauna e della caccia, è opportuno che anche il WWF faccia sentire la sua voce e il suo parere su questo tema così importante.

Sia in Trentino come nel resto d’Italia la caccia costituisce un’attività assolutamente legale, regolata da apposite leggi. Chi desideri praticarla ha quindi pieno diritto di dedicarvisi. E’ però anche vero che questa forma di svago non può mettere in pericolo la sopravvivenza di specie rare e minacciate, e che al di sopra del diritto di caccia sta il diritto di tutti i cittadini di godere di un patrimonio, lafauna selvatica, che è indiscutibilmente una ricchezza della comunità e anche dell’umanità intera (gli animali selvatici migrano e non conoscono confini).

In verità, la Legge Provinciale 9-XII-91 n. 24 si intitola appunto "Norme per la protezione della fauna selvatica e per l’esercizio della caccia", mettendo così in rilievo il ruolo subordinato e secondario dell’attività venatoria. Nella sua concreta applicazione, tale legge ha dato però pressoché esclusivamente spazio a quanto riguarda la caccia ed i cacciatori, mentre al contrario poco o niente si è fatto per la protezione della fauna selvatica: non si sono create le pur previste oasi di protezione, e nemmeno è stata vietata la cattura di specie pur evidentemente a rischio o in forte declino.

Certamente la creazione di nuove forme di vita, con la contemporanea estinzione di altre non più in grado di far fronte alle richieste ambientali è l’essenza stessa dell’evoluzione. E’ però altrettanto vero che oggi l’azione umana ha incommensuratamente accelerato questo processo, così che una parte importante della vita sulla terra è oggi in pericolo. Un fattore negativo di rilievo è costituito appunto dal prelievo venatorio.

La cosa non riguarda soltanto i paesi esotici e del cosiddetto terzo mondo, che potrebbero pur portare a propria scusante la fame e il disordine politico e amministrativo. Anche nel nostro Trentino la caccia ha messo e mette in pericolo animali rari, relitti di epoche e di climi trascorsi, di cui i tetraonidi, gallo cedrone, fagiano di monte, francolino e soprattutto pernice bianca costituiscono il classico esempio.

Sono queste tutte specie particolarmente vulnerabili per la perdita di habitat, per le condizioni climatiche ormai sfavorevoli, per il disturbo antropico, e anche per il prelievo da parte dei predatori. Tali animali, in queste condizioni, non sono assolutamente in grado di sostenere l’impatto dell’attività venatoria. Non è sufficiente contingentare la specie e limitare i prelievi, come si fa oggi, in quanto per specie così in crisi anche l’abbattimento di un singolo individuo rappresenta un danno decisamente elevato. In casi simili appaiono necessarie l’eliminazione della caccia a questi animali e l’adozione di qualche strategia volta a favorirne il naturale recupero. Ciò invece non viene fatto.

La caccia va considerata unicamente una forma di svago, praticato oltretutto da una minoranza della nostra popolazione. In occasione dell’ultimo referendum tenuto sul tema (referendum contro caccia e pesticidi), in Trentino il quorum necessario fu ampiamente raggiunto, e l’esito della consultazione popolare risultò chiaramente sfavorevole alla caccia. Di questo la classe politica che governa il Trentino avrebbe dovuto e dovrebbe tenere conto, cosa che invece si guarda bene dal fare.

Appare poi discutibile l’affermazione per la quale l’attività venatoria costituirebbe un toccasana per un ambiente ormai totalmente alterato dall’uomo. In realtà, le nostre montagne sarebbero in grado di ospitare un carico di animali selvatici ben più alto, come dimostra la realtà di altri Paesi e dei grandi parchi nazionali. E’ vero che un certo prelievo risulta necessario per determinate specie, quali il cervo e soprattutto il cinghiale (introdotto, questo, abusivamente e illegalmente dai cacciatori).

Esiste tuttavia una folla di specie selvatiche, oggi spaventate e di difficile avvistamento, per le quali una pacifica convivenza con l’uomo sarebbe possibile e senz’altro auspicabile. Ad impedire questo sta la caccia, una forma di svago che consiste in non altro che non sia il piacere di uccidere.

In realtà il numero dei cacciatori trentini è troppo elevato. Lo dimostra più di tutto la pratica del rilascio dei fagiani "pronta caccia", poveri polli spesso neppure in grado di volare, del tutto estranei al nostro ambiente e rilasciati addirittura poche ore prima del programmato abbattimento. Si tratta di una grave forma di inquinamento ambientale, i cui effetti si possono notare in primis per le volpi e per i piccoli predatori. Poiché questi animali naturalmente sono portati a catturare delle prede assolutamente inette e non in grado di difendersi (e questo dispiace ai nembrotti), ci si inventa la dannosità dei piccoli carnivori (utili invece per il controllo dei roditori), e si mette in moto un pesante processo di alterazione dell’equilibrio e di distruzione di specie protette.

In una valutazione obiettiva, oggi la caccia in Trentino, non meno che altrove, risulta faccenda di soldi e di potere politico. Di soldi per il fiume di denaro che grazie ai contributi provinciali, estremamente cospicui, per le costosissime licenze, per i permessi d’ospite e per il grande peso dei consumi legati all’attività venatoria (fucili, binocoli, costosissimi fuoristrada, abbigliamento, ecc.) viene ad interessare il pittoresco mondo della dea Diana. Di potere politico per le innumerevoli clientele che in esso si formano, e per le appetitose opportunità di rendersi benemeriti presso gli elettori (soprattutto ma non solo di valle) che la difesa della caccia offre a tutto un ben noto e assai numeroso settore dei nostri consiglieri provinciali.

In un quadro così roseo, poco spazio rimane evidentemente per la tutela della fauna e delle specie in pericolo, e meno ancora per le aspettative e per gli interessi di quanti, non essendo cacciatori, apprezzano, amano e conoscono i nostri animali selvatici, e desiderano poterli ammirare da vivi.