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QT n. 18, 26 ottobre 2002 Servizi

Scuola: prove tecniche di aziendalismo

Al “Pozzo” si timbra il cartellino... Ormai si privilegia tutto quanto è misurabile, dal tempo di presenza dell’insegnante alle scartoffie prodotte; a scapito del lavoro fatto in classe con gli alunni. Si abbandona l'idea della scuola come un progetto - condiviso - di crescita culturale complessiva.

L’introduzione della tessera magnetica per controllare puntualità e presenza degli insegnanti, introdotta all’istituto tecnico per geometri "Pozzo" di Trento (ma presto altri istituti ne seguiranno l’esempio), ci sembra un nuovo episodio del vezzo di trapiantare elementi di aziendalismo nella gestione scolastica. Ne è addirittura un simbolo. E sinceramente fa un certo effetto: come se all’ingresso di una boutique trovassimo i carrelli per la spesa dei supermercati.

La scuola trasmette e suscita conoscenze, valori ed abilità. Il processo di apprendimento si realizza attraverso la comunicazione; richiede intenzionalità, impegno, assunzione di responsabilità personale, addirittura empatia se non proprio amore. Comporta la condivisione di un progetto di crescita culturale complessiva: cognitiva, emotiva, civica… Pensare di poterne gestire le risorse umane come in qualsiasi altra azienda ci sembra temerario. L’obbligo di timbrare il cartellino non lederà forse la dignità di nessuno, ma certo ha il sapore di una rinuncia al coinvolgimento dei docenti e fa a pugni con l’immagine della scuola intesa come comunità educativa. In realtà sembra giovare solo a placare le ansie dirigistiche di alcuni presidi.

Al di là delle interpretazioni psicologiche, vi ravvisiamo un cedimento alla tendenza, che peraltro investe tutto il lavoro intellettuale, di reagire ad uno stato di crisi introducendo semplificazioni e scorciatoie mutuate da altri settori, puntando insomma alla burocratizzazione-standardizzazione dell’attività. Quando non si riesce a gestire un processo nei suoi contenuti reali, quando non si è più in grado di affrontare la complessità, ci si aggrappa come a una tavola di salvezza alla rigida regolamentazione degli aspetti esteriori del processo stesso, secondo una logica spesso inconsapevole che pretenderebbe di ridurre le operazioni mentali ad atti biologici e fisici.

Nella scuola - questa è l’esperienza che abbiamo fatto specialmente negli ultimi anni di insegnamento alle superiori - ci si è aggrappati un poco alla volta al criterio che privilegia tutto quanto è misurabile, vale a dire il tempo di presenza dell’insegnante e le scartoffie prodotte; a scapito del lavoro fatto in classe con gli alunni, che sembra interessare ben poco. Questo è il contesto in cui va collocata, secondo noi, l’alzata d’ingegno del tesserino segnatempo. Un contesto che vede, quindi, la scuola cercare nella cultura delle imprese gli strumenti per rilanciarsi. Un tentativo votato all’insuccesso non solo per le peculiarità della scuola ricordate sopra, ma per un’incompatibilità strutturale che a nostro parere esiste fra le due realtà.

Ci spieghiamo. Anzitutto la scuola non ha e non può avere e anzi non deve nemmeno ricercare un riscontro diretto ed immediato nel mercato, perché le qualità di fondo cui punta non possono essere contingenti; e se anche riuscisse a rincorrere le esigenze professionali del mondo produttivo finirebbe per sfornare persone con caratteristiche obsolete, perché quelle esigenze mutano velocemente.

Secondo: le qualità delle persone che costituiscono la sua utenza si sviluppano anche indipendentemente dalla sua azione o suo malgrado, quindi se le cose vanno bene la scuola può attribuirsene il merito, se vanno male la colpa è della società.

Terzo: la misura della sua efficacia coincide col numero degli alunni promossi e diplomati, così come potrebbe coincidere invece col numero di alunni bocciati, se la società si orientasse verso un valore di selettività. Per adeguare in un senso o nell’altro questi dati basta intervenire sui criteri di valutazione. E la valutazione è operata dagli stessi soggetti, gli insegnanti, che sono i destinatari del giudizio di efficacia.

E’ una situazione di sostanziale autoreferenzialità, che è nella natura dell’istituzione scolastica e che è esattamente il contrario di quanto caratterizza le aziende, le quali trovano nel mercato (assistenzialismi a parte) una sanzione severa e ineludibile. Una peculiarità, quella della scuola, che è croce e delizia. Nel bene le permette una larghissima autonomia e la sollecita ad una ricerca continua; nel male le permette di sbagliare anche a lungo senza che squillino campanelli d’allarme e senza che scattino penalità, a parte l’ombra delle sentenze del T.A.R., che da qualche tempo si allunga minacciosa sulle decisioni dei consigli di classe.

Alcuni correttivi, nel tempo, sono stati posti in essere: studi comparativi, comitati di valutazione, ecc. Il più importante ci sembra sia stato il tentativo di coinvolgere le famiglie nella gestione scolastica attraverso gli organi collegiali, ma è miseramente fallito per l’incapacità o forse per l’impossibilità di condividere con altri le responsabilità dell’attività didattica. Anche le modificazioni apportate all’esame di maturità confermano l’ambiguità di fondo. L’affidamento di questa verifica (la più solenne e celebrata dell’iter scolastico) agli insegnanti di classe eliminando totalmente i commissari esterni, da un lato accorda una giusta fiducia alle persone responsabili del processo di apprendimento, dall’altro espone la scuola al rischio di un effetto perverso. Come la moneta cattiva scaccia la moneta buona, secondo la legge di Gresham valida per i sistemi monetari del passato, così la scuola cattiva potrebbe scacciare la scuola buona. In altri termini, gli istituti meno impegnati sul piano didattico potranno tuttavia dispensare diplomi con punteggi molto alti, anche superiori a quelli rilasciati dalle scuole rigorose, e vinceranno quindi la competizione delle iscrizioni.

Perché le famiglie non sono insensibili a considerazioni di ordine pratico. Al vantaggio, ad esempio, che una votazione finale brillante offre quando si tratta di scegliere l’università. Una deriva che potrebbe portare in ultima analisi all’abolizione del valore legale del titolo di studio e che metterebbe in discussione tutto il sistema scolastico e quello pubblico in particolare.

Siamo partiti da un fatto tutto sommato banale e siamo arrivati a parlare dei massimi sistemi. Naturalmente i problemi che abbiamo messo in campo sono molto complessi e controversi e andrebbero adeguatamente approfonditi. Lo diciamo per non dover meritare, a nostra volta, l’accusa di autoreferenzialità.