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I retroscena della lotta al terrorismo

Piera Graffer

La sera del 7 gennaio 2003 alle 23 la televisione tedesca NDR (Nord Deutsche Rundfunk www.ndr.de) ha mandato in onda un documentario sui 7.500 talebani che hanno consegnato le armi in seguito alla caduta di Kunduz.

Kunduz era una fortezza afghana protetta da mura di fango, presto ridotte in polvere dai bombardamenti americani. Molta gente morì. Quelli che riuscirono a sopravvivere nei cunicoli sotterranei si arresero dopo ripetute assicurazioni da parte dell’ONU che le loro vite sarebbero state risparmiate. I prigionieri furono presi in consegna dal generale Dostum, capo dell’Alleanza del Nord sostenuta dagli USA. Si trattava di uzbeki, arabi, pakistani, ceceni. Vi erano anche alcuni occidentali, fra cui l’americano John Walker. Circa 450, solo in base alla loro appartenenza alla nazionalità pashtun, furono dichiarati taliban e ammazzati ipso facto. Circa 300 furono caricati sugli aerei e trasportati nella base di Guantanamo a Cuba. I ceceni vennero consegnati direttamente al KGB.

Gli altri vennero inviati a Mazar-e-Sharif. Lì, dei 7.500 prigionieri originari ne arrivarono solo 3.000. Gli altri 3-4.000 furono ammazzati dalle truppe del generale Dostum, il quale davanti alle telecamere tedesche sostiene che si sono ammazzati fra di loro. Ciò è contraddetto da alcuni filmati.

I rimanenti 3.000 prigionieri ancora in vita furono trasportati a Sheberghan. Lì dissero che le carceri potevano ospitarne solo qualche centinaio, e venne dato l’ordine di proseguire. Alle due di mattina arrivò un gruppo di 150 o 160 soldati americani con delle liste di nomi. In cerca di Osama bin Laden e dei suoi seguaci, fecero l’appello e controllarono direttamente ciascun prigioniero. Alcuni abitanti di Sheberghan dichiarano davanti alle telecamere che ai presunti appartenenti ad al Qaeda gli americani ruppero il collo sul posto.

I superstiti furono caricati in parte su dei camion aperti, in parte dentro a dei containers, e fatti partire per Qala Shinia al di là del deserto di Koh-i-Hisar. Molti dei prigionieri erano feriti gravi e nel deserto faceva un caldo infernale. Un sopravvissuto racconta davanti alle telecamere che all’interno dei containers i prigionieri pazzi di sete si leccavano l’un l’altro il sudore e perfino il sangue.

Quando arrivarono a Qala Shinia i containers erano crivellati di colpi. Un testimone dichiara che quando li aprirono la puzza di escrementi, di orina, di vomito e di sangue era obnubilante. In ogni container c’era qualche ferito ancora vivo schiacciato fra due o trecento morti. I prigionieri che si trovavano sui camion aperti non sono mai arrivati da nessuna parte.

L’afghano Najibullah Kaireshi ha accompagnato la troupe della tv tedesca NDR attraverso il deserto di Koh-i-Kisar dove, in una zona di circa 1 km quadrato, affiorano dalla sabbia enormi quantità di ossa umane e lembi di abiti. I filmati che provano l’uccisione dei prigionieri sono stati sottoposti all’attenzione del Pentagono, il quale per bocca del suo portavoce Philip Reeker dice che se crimine c’è stato esso è da addebitare agli afghani.

Il Parlamento Europeo invece ha affidato all’ONU l’incarico di svolgere un’inchiesta. Il primo ad essere interrogato è stato il generale Dostum, il quale si è dichiarato apertissimo a ogni tipo di indagine. "Non sono però in grado di assicurare protezione ai delegati ONU" - ha aggiunto. In altre parole, chi ficcherà il naso in questa faccenda ci rimetterà la pelle.

Il governo afghano, anch’esso chiamato in causa, ha assicurato che indagherà ma, essendo stato messo in piedi dagli USA e sopravvivendo solo in base alla sua protezione e ai suoi soldi, difficilmente aprirà un’inchiesta. I testimoni afghani dichiarano davanti alle telecamere che, pur sapendo di andare incontro a morte certa, sono pronti a ripetere le loro dichiarazioni davanti a un tribunale internazionale. Da quando è stato girato il documentario due testimoni sono già stati ammazzati.

Così una delle leggi più antiche, sacre e rispettate della storia umana e consacrata dalla Convenzione di Ginevra, che vuole che ai prigionieri di guerra sia fatta salva la vita, è stata infranta da un Paese che sta accingendosi a scatenare un’altra guerra per portare la libertà, la giustizia e la pace nel mondo.

Questo impressionante documentario è stato trasmesso anche dalla televisione italiana. Non dal servizio pubblico della RAI, né dalla possente concorrenza di Mediaset, ma dalla modesta La7. Il che la dice lunga sullo stato dell’informazione in Italia.