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Mart, avanti tutta

Le opere in ceramica di Fausto Melotti, e il cucito nell'arte contemporanea: due mostre di qualità al Mart.

Dopo il successo de "Le stanze dell’arte", dopo le mostre dedicate a John Cage e a Isamu Noguchi, continua all’insegna della qualità l’attività espositiva del Mart.

Fausto Melotti, "Kore" (1954).

Fausto Melotti. L’opera in ceramica. 1° piano, galleria A, fino al 14 settembre. La mostra alla quale abbiamo il piacere d’introdurvi è, per il tema trattato, indubbiamente storica. Di Melotti scultore esiste infatti un’ampia bibliografia critica ed espositiva, mentre per l’opera in ceramica, focus di questa mostra, l’occasione si presenta come prima, unica e grande opportunità per conoscere in modo esaustivo la produzione in questo difficile materiale dell’illustre roveretano. Un rapporto, quello di Melotti con la ceramica, che si presenta come feconda e suggestiva parentesi nella sua più nota produzione scultorea, e che è racchiuso nei pochi anni compresi tra il secondo dopoguerra ed i primissimi anni Sessanta. Una produzione qualitativamente eccellente, e di tutto rispetto anche per quanto riguarda la quantità dei lavori eseguiti: nel catalogo ragionato dell’opera in ceramica di Melotti, promosso proprio dal Mart e che sarà edito a breve da Skira, sono presentate infatti oltre 1.500 opere.

La produzione in ceramica rivela un inedito rapporto del maestro con la materia. Se la più consueta e nota produzione scultorea rivela il lirismo, astratto e purista, di un’ideale di leggerezza, e quindi l’insofferenza, come ebbe a dire, per lo "stupido amore per la materia", nella produzione in ceramica il canone sembra ribaltato, e la materia prende corpo, si gonfia assottigliandosi, esplode, si scioglie come cera, con un fare barocco che ricorda certe sculture - sempre in ceramica - di Fontana o Leoncillo. Così nella serie di vasi o in certe figure femminili rappresentanti le quattro stagioni, mentre un gusto più composto e stilizzato è presente nei celebri teatrini, o nella serie delle kòrai.

In mostra anche un gruppo di ben 90 piastrelle in bassorilievo e un significativo nucleo di oggetti d’arte applicata, a indicare la versatilità tematica di questo grande artista del Novecento.

Il racconto del filo. Ricamo e cucito nell’arte contemporanea.

1° piano, galleria B, fino al 7 settembre. Nell’arte contemporanea è presente una tendenza, tutt’altro che marginale, che adotta il ricamo e il cucito come scelta linguistica ed espressiva. Il filo è di per sé elemento allusivo; evoca un legame, un’unione, un percorso, una ricerca d’origine, d’identità, di comunanza. Una tendenza quindi altra rispetto a un’idea di arte contemporanea come luogo di sperimentazione, di antipassatismo, di superamento dell’esistente? Tutt’altro. Perché qui ago e filo sono riscattati dall’artigianato, sono al centro, non al margine. I piedi, certo, sono talvolta infissi nella tradizione del gesto, che si vuole lento, antico e soprattutto femminile. Ma lo sguardo è avanti, mobile, altrove. Maschile e femminile ora si esaltano, ora si confondono, ora si estinguono.

Rainer Ganahl, "Afghan Dialog, America stikes back".

C’è la ribellione di secoli di schiavitù femminile, come nell’artista bosniaca Maja Bajevic, ma anche il gioco e l’ironia dei "ricami impossibili" di Delvoye (su fette di prosciutto), di Leonard (su frutta disidratata) e di Imre (su cemento), la guerra afghana nei loghi pop delle multinazionali USA dell’informazione ricamati da Ganahl, la questione palestinese nella kefiah ricamata da Hatoum con capelli femminili, il decorativismo neo art nouveau di Filomeno, la liberazione sessuale femminile dell’egiziana Amer, artista che abbiamo avuto modo di apprezzare alla Biennale veneziana del ’99, il kitsch di Mike Kelley. Insomma, il grande blob contemporaneo, tessuto in un mondo allo stesso tempo globale e locale.

Se il tema del ricamo nella storia dell’arte ha origini molto antiche, è nel secondo Futurismo di Balla e Depero da una parte e nel suprematismo russo dall’altra che si possono scorgere le origini di questo percorso che giunge, passando dai lavori di Alighiero Boetti negli anni Settanta, alla produzione attuale così ben documentata in mostra, e per la quale circa la metà delle opere sono state appositamente preparate dai 29 artisti documentati.

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