Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca

La storia del Trentino non è solo democristiana

Iginio Lorenzi, socialista, vicesindaco di Trento: la non facile eppur coerente scelta dell'alternativa alla Dc, che impresse nuova passione etica alla politica trentina, e salvò dal disonore il Psi locale.

Iginio Lorenzi, scomparso la settimana scorsa a 77 anni, era nato a Povo, il sobborgo di Trento considerato la "cintura rossa" della città. Un paese di muratori e mezzadri e di piccola nobiltà agraria (non tutta reazionaria, spiccano nella famiglia Manci figure democratiche risorgimentali e quella del capo della Resistenza trentina Giannantonio Manci). Ma forse nasce in quel contesto sociale e familiare l’attitudine di Iginio Lorenzi per le posizioni nette, l’istintiva diffidenza per la "parte avversa", una vocazione per la contesa schietta e il rifiuto di tatticismi che caratterizzarono gli intensi cinquant’anni della sua militanza politica.

Comizio elettorale del 1976: Iginio Lorenzi (a sinistra) a fianco di Francesco De Martino, Renato Ballardini e Livio Labor.

Troppo giovane per essere partecipe della Resistenza, ne visse le immediate passioni e tensioni convinto che il "vento del Nord" avrebbe presto e radicalmente cambiato in Italia, ma anche in Trentino, l’ingiusta società ereditata dal fascismo. Fece la sua iniziazione politica correndo per sobborghi e quartieri di Trento ad organizzar comizi ed incontri al sindaco socialista di Trento, a Gigino Battisti che sarebbe stato eletto deputato alla Costituente il 2 giugno 1946, a conquistare per i socialisti un primato nella vita della città che non venne; anche se la loro affermazione nelle prime elezioni del dopoguerra fu consistentie, recuperando e ampliando i consensi battistiani dell’inizio del Novecento.

Fu per molti una stagione febbrile ed intensa, ma venne presto il grande gelo della crisi internazionale, della rottura fra le forze che avevano combattuto il fascismo (qui la Dc uscì dal CLN prima che altrove), delle laceranti rotture a sinistra, della scissione del partito socialista. Molti abbandonarono il campo. Non Iginio Lorenzi, che seguendo il suo istinto scelse nel Psi quella che allora era la corrente che maggiormente contestava la subordinazione ad una prospettiva di socialismo autoritario filo-sovietico e ogni compromesso con le forze conservatrici: quella dei giovani Matteo Matteotti, Lucio Libertini, Raniero Panzieri.

Nel Trentino seguì i tormentati percorsi di quei freddi anni ‘50 a fianco di quelli che considerava i suoi maestri: Danilo Paris, Guido Bondi, Egidio Bacchi, che guidarono nel Trentino la sola socialdemocrazia che non si abbandonò a compromessi e alleanze con la DC.

Venne l’"indimenticabile 1956", il riavvicinamento fra i due partiti socialisti, la rivolta d’Ungheria, Suez, la stagione di un possibile nuovo ruolo dei socialisti in Italia ed in Europa. Iginio Lorenzi si rigettò a capofitto nella battaglia. Si varò a Trento la lista di tutti i socialisti per le elezioni regionali. La speranza di un’alternativa alla DC si faceva meno remota, e il timore del partito egemone di veder intaccato il proprio monopolio si fece aspro e polemico.

Poi nel 1960 la prima esperienza nel Consiglio comunale di Trento. Risvegliò con le sue battaglie contro il paternalismo dissipatore delle giunte di Nilo Piccoli una sonnacchiosa opposizione. Con la sua pugnace, documentata, tenace denuncia contro l’industrializzazione costosa e fallimentare dell’Aeromere e della Caproni, si scontrò frontalmente con gli ultimi scampoli del potere centrista in Trentino. Furono battaglie campali che riportarono in Consiglio l’eco degli antichi scontri fra socialisti e popolari di inizio secolo, ma che soprattutto servirono a preparare una stagione nuova.

La Dc fu costretta ad archiviare le stagioni del sindaco Piccoli e le sue velleità podestarili.

Tornarono nel 1964 le grandi speranze, il motto nenniano del centro sinistra che avrebbe fatto "tutti più liberi" Iginio Lorenzi, eletto vicesindaco, prese come sempre molto sul serio questo slogan, operò concretamente perché la tradizione del socialismo municipale tornasse feconda. Si pose mano al piano regolatore di Trento, per metter mano ad un dissennato consumo di territorio dal fondovalle alle cime del Bondone (erano gli anni della riforma urbanistica che travolse poi il ministro democristiano Sullo e, a livello locale, del varo del primo Pup). Le battaglie di Lorenzi, di Alberto Agostini, ma in quel momento anche di sensibilità che si manifestavano nel mondo democristiano, sembrarono avere successo, poi, come spesso è accaduto, molto s’impantanò nella gestione corrente delle norme.

S’istituirono le consulte frazionali, anticipazione dei consigli di quartiere, si volle ripetere qui l’esperienza delle farmacie comunali, che in breve tempo divennero un importante servizio nella città e nei quartieri periferici. Ma l’adesione ai profondi mutamenti sociali della città si espresse forse in un atto che allora parve simbolico, ma che efficacemente riuscì a testimoniare il cambiamento di un’epoca. Iginio Lorenzi tolse i matrimoni civili dalla clandestinità in cui erano celebrati, offrì le rose rosse alla sposa, aprì il suo ufficio per celebrarli. Lui, che rimase sempre fedele alla religione dei suoi padri, ridiede dignità pubblica e privata ad un’importante scelta laica di vita. Brividi e mugugni democristiani si manifestarono per Palazzo Thun, ed era solo quarant’anni fa!

Ma Iginio Lorenzi non era uomo da lasciarsi obnubilare da un ruolo ed una carica che aveva reso orgoglioso il suo partito e aperto fronti nuovi all’azione della sinistra. Comprese con Renato Ballardini e la nuova generazione socialista, che la forza propulsiva della stagione del centro-sinistra si stava esaurendo a livello nazionale e locale, e conquistata nel 1972 la maggioranza nel congresso socialista, osò la scommessa impossibile, lanciare la sfida dell’alternativa socialista.

In quell’autunno del ‘72 Lorenzi si dimise da vicesindaco ed eletto segretario invitò tutti gli altri a seguirlo, lasciando ogni incarico di potere per essere credibili nella richiesta di cambiamento e di alternativa alla DC. Era una sfida alla Dc, ma forse soprattutto allo stesso partito socialista che, inerte ai tempi nuovi, viveva la decadenza della sua forza propulsiva.

Era il rifiuto delle tattiche che uccidono le speranze e tolgono ragioni alla politica, la piena consapevolezza che le posizioni di rottura costano e non si possono sostenere mettendosi in pantofole. Fu una scelta politica che si rivelò azzardata sul piano dei risultati concreti, si scontrò con la posizione comunista che sosteneva in quegli anni la linea delle larghe intese e dell’unità nazionale, ma impresse una nuova passione etica alla politica trentina, all’azione dei socialisti i cui segni rimasero fino alla fine della vita collettiva del Psi trentino.

Guido Pincheri, il socialista che aveva patito le carceri e i ripetuti confini durante il fascismo, definiva Lorenzi e i giovani socialisti i Gavroche delle barricate parigine descritti da Hugo ne "I Miserabili". Di quei Gavroche Lorenzi fu il capo naturale, istintivamente portato a cercare le barricate più esposte e temerarie. Fu per il PSI una stagione dura ed esaltante, di cui Lorenzi fu il protagonista, che introdusse anticorpi che salvarono l’onore dei socialisti anche nei primi anni ‘90, quando la tempesta travolse il partito.

Lo scontro fu durissimo all’interno e all’esterno. Il giornale L’Adige, ancora organo della DC, bombardava quotidianamente il nuovo corso socialista cercando di isolare Lorenzi dal resto del partito; all’interno, i vecchi gruppi dirigenti che si rifacevano alla maggioranza nazionale, boicottavano la strada intrapresa. Si mossero i giornali nazionali. Giorgio Bocca e Guido Quaranta furono qui a raccontare cosa accadeva nel piccolo Trentino.

Di Lorenzi si attaccò perfino il temperamento e il carattere, definendolo difficile, scontroso, scostante. Come se, per tenere la rotta in quei frangenti, si potesse manifestare un carattere soave! In realtà Lorenzi era uomo capace di sdegnarsi per i mercimoni della politica, in tempi recentissimi per il cadere di ogni freno inibitore nella difesa di interessi privati nella formazione del nuovo Prg di Trento, ma era capace di trepidare e intenerirsi per i famigliari e per gli amici.

Nel 1978 abbandonò il palazzo dopo una sola legislatura in Consiglio regionale. Nella lettera di rinuncia ad una ricandidatura dagli scontati esiti positivi, scritta molti mesi prima del termine del mandato, espresse tutto il suo disagio e insofferenza per i riti e i vuoti di un’istituzione sempre più referente di se medesima e per le tante ipocrisie dei piccoli "transatlantici" nostrani.

Abbandonò il palazzo ma non la politica. Seguì, sempre più critico, fino alla fine il suo partito.

Volle anche essere convinto seppur disincantato partecipe dei tentativi fatti con Società Aperta e Costruire Comunità di ridare alla politica un progetto ed un’etica.

L’esperienza umana e politica di Iginio Lorenzi rimane tutta interna alla storia del partito socialista, ma la storia socialista è tanta parte della storia del Trentino: una storia quest’ultima, che non può essere letta e spiegata, se non mutilandola, come cronologico succedersi delle vicende del partito e degli uomini della sola DC.

Quando amaramente il commento cadeva sulla dissoluzione di un’organizzazione, di un movimento, di un patrimonio ideale che erano state la passione e la dedizione della sua vita, gli tornava spesso di ricordare il grande socialista emiliano che nel giorno del suo congedo dalla CGIL di cui era stato segretario, proclamandosi uomo di grandi ambizioni così esprimeva la propria speranza: "Vorrei che nella mia Parma, almeno un uomo del popolo affermasse: di lui ci si poteva fidare.". Molti han testimoniato in questi giorni a Lorenzi che di lui si sono fidati e che la sua lezione di vita è servita alla sua città e al Trentino.