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QT n. 4, 21 febbraio 1998 L’intervento

Breve storia dei socialisti contemporanei

La "questione socialista": le scelte divergenti di Ruffolo e De Michelis a Roma; di Micheli e Raffaelli a Trento.

Rompo il silenzio che ho mantenuto fino ad oggi su una questione che ha occupato una parte della scena politica di questi ultimi tempi. Una parte persino esagerata rispetto alla sua reale importanza. E tuttavia mi sento costretto ad intervenire quasi per fatto personale, benché la questione non abbia, come è evidente, assolutamente nulla di personale.

Mi riferisco alla questione socialista. Essa nasce dall'iniziativa del Pds di aprire, con gli stati generali della sinistra di Firenze, un processo dì ricomposizione organica di tutte le forze della sinistra.

L'evento era stato preceduto da una iniziativa analoga, anche se con qualche tratto distintivo di marcata autonomia, nel Trentino. Ebbene, in relazione a questo processo, sia a Firenze che a Trento, si è registrata una divaricazione all'interno di quella che comunemente viene chiamata la diaspora socialista, per definire quei diversi raggruppamenti di dirigenti dell'ex PSI che, dopo l'inglorioso tramonto dell'esperienza craxiana, hanno ritenuto di dover rinverdire, ciascuno a modo suo, le purificate tradizioni socialiste.

Alcuni di questi, come Ruffolo e Spini, hanno individuato nei Democratici di sinistra, formazione che fa parte dell'Internazionale Socialista, il terreno su cui le migliori tradizioni del socialismo italiano potranno meglio germogliare. Altri, come De Michelis ed Intuii, hanno invece rifiutato questa scelta e manifestano piuttosto simpatie verso il progetto centrista di Cossiga.

La stessa biforcazione si è verificata in Trentino, ed i due corni del dilemma si sono impersonati rispettivamente in Walter Micheli ed in Mario Raffaelli.

Il primo, con Bandi ed altri, ha aderito alla federazione della sinistra trentina, il secondo si è messo in testa ad una pattuglia di altri socialisti per correre a Roma alla costituente socialista di De Michelis.

Sono entrambi, come è noto, importanti leader storici del socialismo trentino. Io non sono mai stato un leader, ma forse mi si può considerare un socialista preistorico, e quindi credo di aver titolo per intervenire con qualche idea in questo confronto. Ciò può forse essere di una qualche utilità perché, se i personaggi che ho nominato probabilmente resteranno fermi nelle loro convinzioni, non è escluso che vi siano altri che furono socialisti, militanti o anche solo simpatizzanti, che dinnanzi a questo bivio siano ancora incerti circa quale strada imboccare.

Non dirò nulla sulla scelta di Walter Micheli, che condivido senza riserva alcuna. Essendo stato sempre e solamente un socialista, io l'avevo persino anticipata aderendo al PDS fin dalla sua nascita. Comunisti e Socialisti, all'inizio di questo decennio, si trovano tutti, sia pure per motivi in gran parte diversi, nella condizione di smarriti superstiti di due naufragi di dimensioni storiche. Cosa potevano fare- per salvare le ispirazioni originarie della loro dottrina, che restavano pienamente valide anche dopo la furia dei due cataclismi? Prima Occhetto e poi D'Alema hanno costruito una grande zattera di salvataggio, che si è mostrata capace di navigare verso nuovi lidi. Con la simbologia cambiava anche la cultura, ed il nuovo partito ha sostenuto i governi Amato e Dini, ed ora partecipa al governo Prodi con i risultati di risanamento e modernizzazione, conseguiti o in fieri, che sono sotto gli occhi di tutti.

I problemi sono ancora innumerevoli, ma la tendenza è quella giusta. Il motore è un partito di sinistra che però sa anche assumersi le non facili responsabilità di governare una società complessa e diseguale.

Per rafforzare la propulsione oggi il PDS mette a disposizione la sua recente identità per sostituirla con una identità più larga che raccolga tutti coloro che credono in una sinistra che sappia conservare le sue tradizionali radici sociali e nel contempo sia capace di trasmettere in una realistica azione di governo i valori della sua cultura.

Una simile sinistra è una parte essenziale dell'Ulivo.

Che sia contraria ad un tale progetto Rifondazione Comunista, non sorprende. Si autodefiniscono sinistra antagonista, quindi rifiutano la stessa ipotesi di partecipare al governo di società borghesi, anche se poi in concreto sono giocoforza obbligati a dare sostegno a questo governo, pur assegnandosi un ruolo di stimolo e di controllo.

Ma i socialisti di Raffaelli che argomenti hanno per apparsi a questo progetto? Essi infatti lo ripudiano e stanno lavorando per formare una lista "laica, repubblicana, riformista, socialista, liberale, libertaria". Quasi che noi del PDS fossimo clericali, monarchici, conservatori, antisocialisti ed illiberali.

Tutti sanno che i valori espressi nei termini che ho citato, ed in nome dei quali si vorrebbe giustificare una formazione, sia pure parzialmente antitetica, e comunque distinta dai Democratici di sinistra, sono parte integrante del patrimonio culturale e della prassi del PDS, che non a caso è affiliato al Partito Socialista europeo.

E' appunto per affermare con maggior vigore questi valori che sta nascendo il partito dei Democratici di sinistra. La ragione del suo ripudio da parte di Raffaelli e compagni va dunque ricercata altrove.

Io credo che essa sia individuabile in un ostinato anticomunismo, nutrito non tanto da motivazioni politiche, che rispetto al PDS non hanno più alcuna ragione d'essere, quanto piuttosto da risentimenti per le ingiurie, vere o presunte, subite nel passato remoto o recente. Occuperebbe troppo spazio ripercorrere ora i 70 anni dei rapporti fra socialisti e comunisti in Italia dal 1921 ai primi anni '90, e tuttavia credo che in estrema sintesi possa dirsi che ad una maggiore vitalità e ricchezza di cultura politica dei socialisti, ha corrisposto una assai più efficace prassi politica dei comunisti.

Vi fu un tempo in cui per descrivere un tale fenomeno si disse, metaforicamente, che il PSI scrollava l'albero ed il PCI raccoglieva i frutti. Ma tutto ciò fa parte del passato, è storia che certamente non va dimenticata, ma che non deve prorogare i suoi effimeri veleni in una sorta di ultrattività perniciosa. Il rischio è di far durare l'anticomunismo più del comunismo, rischio grave perché se consideriamo la storia della nostra Repubblica non credo che sia del tutto peregrina l'opinione che in Italia l'anticomunismo ha già prodotto più guasti del comunismo (scomunica e discriminazioni, stragismo, tolleranza per Tangentopoli). Oggi vi è anche il rischio del ridicolo e del patetico, alla guisa dei soldati giapponesi che, molti anni dopo che la guerra era finita, si aggiravano ancora nelle foreste delle isole del Pacifico stremati, in assetti bellicosi contro un nemico che non c'era più.

Ma forse vi è un risentimento, addirittura un rancore più tenace, ma anche più ambiguo e assai meno rispettabile.

Originato dalla convinzione che Mani Pulite, l'uragano giudiziario che ha spazzato Tangentopoli ed il craxismo, sia stata una manovra del PCI-PDS. E questa è una tesi tipicamente craxiana, che in bocca a De Michelis è al posto giusto, ma spero che non sia nella mente di Raffaelli.

Davvero si può definire Di Pietro una "toga rossa", quando rosso non è nemmeno oggi che è pur stato eletto senatore con i voti dei rossi del M ugello? E' una toga rossa Nordio, o lo sono quei magistrati che pure hanno indagato ed, in taluni casi, anche condannato, dirigenti della Lega delle Cooperative ed anche del PCI? E' vero che il PCI-PDS, a differenza di DC e PSI, non è stato travolto dalla bufera giudiziaria, ma per la semplice ragione che non era organico al sistema corruttivo, e fu solo marginalmente contagiato dal morbo.

Per suo merito o solo perché, non essendo al governo, subiva minori tentazioni? Sarà interessante approfondire la questione. Ma per il tema di oggi ciò che conta è che dal fatto che il PCI-PDS sia uscito incolume dalla nemesi di Mani Pulite non può arguirsi che ne sia stato l'ispiratore. La verità è che si era tanto rubato, protetti dal muro di Berlino, e quando questo è crollato si sono aperte le cateratte della giustizia e ne è defluita una alluvione di indagini che per impeto probabilmente sono state pari all'improntitudine dei ladri, per dimensione forse sono state impari alla dimensione del fenomeno. Continuare a rappresentarsi il tonfo dei partiti dominanti della prima repubblica come l'esito di un complotto fra magistrati e comunisti significa restare prigionieri di un passato infausto e negarsi l'opportunità di una feconda rigenerazione.

Che se poi la smania di presentare per novembre una lista laica, repubblicana, riformista, ecc. ecc. è solo il meschino calcolo di profittare del sistema proporzionale per arraffare uno o due saggi, beh allora ditelo! Avrei dedicato tempo ed energie ad altri più utili impegni.