Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca

Israele, i cittadini di serie B

La drammatica condizione dei beduini israeliani.

Sembra che, alla fine, molti coloni dovranno andarsene dai territori occupati nel 1967. In previsione di questa eventualità gli ultimi governi israeliani hanno cominciato a spostare lentamente la loro attenzione alla periferia del Paese, ed in particolare verso il Negev, continuando ad alimentare l’idea biblica di "far fiorire il deserto". Ciò significa che alcuni insediamenti che per ora si trovano sulle terre palestinesi saranno portati a spostarsi in questa arida regione. Fine dell’usurpazione di proprietà palestinesi?

Wadi al Na'am: la clinica.

Non proprio. Neppure il Negev infatti corrisponde alla definizione di "terra senza popolo per un popolo senza terra": esso è una zona a vasta maggioranza araba e i coloni saranno ri-allocati su terreni che oggi appartengono ai beduini. Si amplifica in tal modo la storica tendenza del governo a trattare i Beduini come una minoranza invisibile ed insignificante, o da rendere tale a causa dell’elevato tasso di nascita che mette a rischio la questione demografica.

La maggior parte dei beduini che viveva nel deserto del Negev è stata costretta a lasciare la zona durante o immediatamente dopo la guerra del 1948. A partire dai primi giorni di governo del neo-dichiarato stato di Israele e fino al 1966, i quasi 11.000 beduini che ancora abitavano in questa area furono sottoposti a legge militare e trasferiti in riserve analoghe a quelle degli indiani del Nord America, chiamate Siyag, villaggi che ancor oggi non sono riconosciuti dallo Stato israeliano. Questa misura permise al governo di espropriare le terre abitate dai beduini in buona parte del Negev. Alla fine degli anni Sessanta le autorità israeliane cominciarono a costruire sette cittadine pianificate per rendere stanziali i beduini e confiscare le terre in cui prima si muovevano liberamente.

Fino ad oggi meno della metà della popolazione beduina ha accettato di spostarsi in questi centri che non rispondono ai suoi bisogni e non garantiscono loro alcuna possibilità di crescita e sviluppo interno. Accesso alle strade, trasporto pubblico e posti di lavoro sono rari, istruzione e sanità non efficienti, e le infrastrutture inadeguate alle esigenze di un popolo fondamentalmente nomade. La maggior parte dei beduini continua così a vivere in villaggi considerati illegali dal governo.

Le abitazioni che li caratterizzano non godono dell’accesso alle infrastrutture statali e risultano vulnerabili ai frequenti ordini di demolizione. Inoltre i tratti di terra che ancora appartengono ai Beduini sono divisi dalla presenza sul territorio di alcune delle aree più benestanti in cui vivono ebrei israeliani. La differenza tra i luoghi in cui vivono questi ultimi e i villaggi non riconosciuti dei beduini è impressionante: da un lato piscine, palme ed aiuole fiorite, dall’altro povertà, aree industriali, zone militari e depositi di rifiuti tossici, come quelli che circondano il villaggio di Wadi al Na’am, dove ho trascorso una soffocante giornata di agosto e conosciuto la storia di questa gente.

Wadi al Na’am è un piccolo punto sperduto nel deserto e la strada è asfaltata solo perché lì vicino si trovano gli stabilimenti della compagni elettrica israeliana e un vasto parco industriale. Superati questi edifici, la strada scompare e la sorte di Wadi al Na’am è consegnata al deserto. Gli abitanti del villaggio non hanno neppure l’elettricità, nonostante la vicinanza e la presenza imponente, sia dal punto di vista ecologico che sanitario, della compagnia elettrica. Le case sono fatte di lamiera, all’interno il caldo è insopportabile: un’immagine completamente diversa da quella tutta occidentale dell’affascinante stile di vita beduino. Non ci sono indirizzi qui, il villaggio non compare sulle mappe. Non c’è neppure un ospedale. Una piccola organizzazione non governativa locale ha trovato da poco i fondi per costruire una clinica, ma non si trovano dottori: l’ambiente è troppo inquinato dalla vicina fabbrica chimica e non sembrano esserci medici disposti a fermarsi a lungo da queste parti. Alcune indagini indipendenti hanno cercato di fare luce sulla situazione di un deposito di sostanze tossiche presente nelle vicinanze, ma la cosa è stata messa a tacere. Una parte della base militare israeliana che si trova qui a fianco è però stata evacuata per ragioni di sicurezza.

Wadi al Na'am: case di lamiera dei beduini nei pressi della centrale elettrica.

A parte il rischio derivante dalle scorie tossiche, bisogna poi ricordare che per ben sette volte negli ultimi due anni terreni coltivati sono stati avvelenati con defolianti chimici (come il Roundup della Monsanto), che hanno causato la distruzione dei raccolti e minato la salute di queste persone. Gli abitanti dei villaggi non vengono mai avvisati di tali operazioni di "redenzione della terra promessa", così bambini e animali non hanno il tempo di lasciare i campi prima che gli aerei comincino a volarvi sopra scaricando al suolo i loro veleni. E il verde si trasforma in giallo, mentre aumentano i casi di malformazioni di neonati e di tumori. Secondo l’ILA (Autorità Israeliana per la Terra), i beduini sono colpevoli di usare una terra che appartiene allo Stato israeliano. Sempre secondo il governo, i beduini sono nomadi e non hanno alcun legame con la terra su cui si trovano, quindi trasferirli e costruire nuovi insediamenti sui loro terreni (di cui hanno la proprietà, seppur difficile da dimostrare) non dovrebbe essere un problema.

Far fiorire il deserto in aree politicamente strategiche che sono di fatto popolate e coltivate ha delle conseguenze notevoli. Ancor più se tutto ciò accade a spese di cittadini che sono di fatto israeliani.

La maggior parte dei beduini che vivono nel Negev hanno infatti la cittadinanza israeliana, si sentono cittadini dello stato di Israele, fanno il servizio militare e vorrebbero essere trattati come gli altri abitanti del paese. Politiche di intossicazione aerea, demolizione di case e moschee, confisca di terre e diseguale distribuzione delle risorse nei confronti di questi cittadini arabo israeliani mettono invece in discussione l’integrità del sistema di governo israeliano.

Continuare a citare questo paese come un giardino democratico nell’arido deserto delle dittature del Medio oriente richiederebbe forse qualche precisazione...