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QT n. 4, 26 febbraio 2005 Servizi

La logica del ferro, la consuetudine della gomma

Come la ferrovia della Valsugana può risolvere presto e bene il problema del traffico del porfido. E invece si preferiscono – ancora! - nuove strade dai costi faraonici.

La zona di produzione del porfido, il cosiddetto oro rosso trentino, è concentrata in gran parte sul lato sinistro del torrente Avisio, nei territori dei Comuni di Albiano, Lases, Fornace, Pinè e Trento.

Tali aree si collegano con la Valsugana nell’ampio svincolo esistente ai piedi di Civezzano, esattamente di fronte alla vecchia stazione ferroviaria di Roncogno.

Con la realizzazione della circonvallazione di Albiano e con la pista già esistente sul dorso della discarica di Torchio c’è ora la possibilità di trasferire gran parte del porfido estratto dal lato sinistro della val di Cembra e dalla zona del Pinetano, direttamente dalle varie cave alla stazione di Roncogno. Riutilizzando la ferrovia della Valsugana per il trasporto del porfido si consentirebbe, a costi molto contenuti, di ridurre drasticamente il traffico del porfido, che ora attraversa Meano, Vigo Meano e Gazzadina (con gravi disagi e acute proteste degli abitanti), ma anche Torchio e Civezzano, Gardolo e la zona industriale di Trento nord. Invece si parla , come si è fatto il 18 gennaio scorso a Meano, ad un incontro pubblico con Pacher e Grisenti, sindaco del Comune di Trento il primo ed Assessore con delega ai trasporti della Provincia il secondo, di nuove circonvallazioni stradali di Meano, dai costi faraonici e dall’insopportabile impatto ambientale.

Eppure il piano dei trasporti della Provincia di Trento prevede la riattivazione della Stazione ferroviaria di Roncogno per trasferire il porfido dalle cave della sinistra della Val di Cembra e dell’area Pinetana direttamente al ferro, togliendolo finalmente dalle strade che attraversano i centri abitati già elencati. Ma allora perché si preferisce ancora parlare di nuove strade e circonvallazioni?

Mi sono fatto spesso questa domanda, arrivando inesorabilmente alla conclusione che del trasporto su ferro si parla tanto nei convegni quale soluzione all’inquinamento provocato dal traffico, si vagheggia spesso nei programmi politici, ma poi, alla prova dei fatti, non interessa a nessuno; anzi, si ha la netta impressione che venga visto come un fattore contrario allo sviluppo.

Una prova alla mia sconsolata conclusione la si trae proprio dall’incontro del 18 gennaio a Meano. Il disegno trasportistico alternativo alla gomma c’è, le infrastrutture possono essere attivate in pochi mesi, il costo di attivazione è decisamente ridotto, eppure dagli articoli a stampa che riferiscono dell’incontro del 18 gennaio sul tema del trasporto del porfido che attraversa Meano, non si trova traccia che si sia parlato anche dell’alternativa ferroviaria esistente, segno della totale indifferenza provata dagli abitanti di Meano di fronte alla soluzione ferroviaria, e dagli stessi giornalisti presenti, in genere sempre attenti.

Certo, il sistema ferroviario italiano, da che si è deciso di puntare tutto sulla crescita delle automobili, sentendosi abbandonato non ha fatto nulla per farsi amare, non ha fatto nulla per dimostrare di essere all’altezza del compito strategico che gli sarebbe proprio. La stampa riporta con dovizia di particolari i disservizi che ogni giorno le ferrovie italiane riversano sugli utenti , da ultimo anche operando delle vere e proprie discriminazioni di classe; e ciò dà legittimità al nostro disinteresse, che si aggiunge all’italico senso di rassegnazione davanti alle disgrazie.

Così facendo dimentichiamo però che il nostro territorio è già infrastrutturato con ferrovie; e scegliamo di costruire ancora nuove strade perché non siamo capaci di far funzionare il sistema ferroviario pur esistente. Non si tratta di un giocattolo che possiamo abbandonare in soffitta, ma di un sistema che è costato un patrimonio ai nostri padri e che abbiamo il dovere di saper utilizzare al meglio.

Insomma, occorre superare questo nostro (opportunamente coltivato) disinteresse verso il trasporto ferroviario, magari attraverso una rieducazione culturale, come peraltro è stato già fatto efficacemente nella vicina Svizzera. E per far questo (e non solo) è indispensabile affrontare la verità dei costi del trasporto su gomma e del trasporto su ferro, riconoscendo che quello su gomma lo si paga, almeno per il 50%, con la nostra salute.

Per maggiore chiarezza ricordo che più studi hanno dimostrato che quando si paga un trasporto su TIR per circa un euro a km., un ulteriore euro al Km lo si paga in termini di ricaduta sulla salute, sulla sicurezza ed in termini di costi di manutenzione delle strade a carico dell’erario. Quindi da una parte è giusto che una azienda che vuole trasportare 30 tonnellate di porfido dalla cava al luogo di destinazione metta a confronto la spesa del trasporto su gomma con quella del trasporto su ferro e, scoprendo che la cifra è oggi inferiore del 7-8%, decida di avvalersi del trasporto su gomma; ma dall’altra è altrettanto giusto valutare se quell’euro in più che paghiamo con la nostra salute e le nostre tasse vada ancora pagato con denaro pubblico oppure vada addebitato all’autotrasporto; magari trasferendo parte di quella cifra direttamente al trasporto ferroviario affinché sia competitivo.

Qui chiaramente entrano in gioco la politica e le sue decisioni; ed anche la capacità dei cittadini di imporre delle scelte; almeno iniziando dal quelle più a portata di mano.

Arriviamo così alla ferrovia della Valsugana, praticamente abbandonata delle Ferrovie Italiane alle quali, nello scenario nazionale, non interessa più. Essa rappresenta infatti uno dei tanti rami sottoutilizzati per i quali le risorse vengono lesinate a favore di altre opere ritenute, a torto o a ragione, prioritarie, come ad esempio le linee ad alta velocità.

Ma per noi trentini la ferrovia della Valsugana rappresenta invece una risorsa infrastrutturale strategica sia per il trasporto delle persone che delle merci, ed è quindi giusto che si abbia la possibilità di operare delle scelte diverse da quelle fatte sinora.

La Provincia di Trento sta operando affinché la ferrovia della Valsugana le venga passata, armi e bagagli, così come all’epoca fece con le strade dell’ANAS. E questa sembra essere la premessa più sana per arrivare rapidamente al riutilizzo a pieno della preziosa infrastruttura.

Ma la politica va sostenuta, va pungolata; oggi invece gli interessi dei cavatori di porfido e quelli degli autotrasportatori paiono prevalere alla grande sull’interesse della salute, della sicurezza dei cittadini e dell’erario; come dimostra la totale disattenzione manifestata dai cittadini di Meano riuniti il 18 gennaio assieme al proprio sindaco (Alberto Pacher) nel trattare delle alternative in grado di alleggerire il traffico di porfido che attraversa il proprio abitato.

Per l’attivazione della stazione di Roncogno, finalizzata a ricevere il porfido di scarto e la graniglia per asfalti e calcestruzzi , è necessaria una modesta spesa per la realizzazione di un paio di binari di sosta e di carico, ma soprattutto un’azione di governo che diriga tale traffico dalla gomma al ferro. Il che vuol dire un eventuale sostegno del trasporto su ferro; oppure una pianificazione di tale trasporto fin dalla stesura dei contratti di concessione delle cave di porfido tra i sindaci ed i cavatori.

Ma tale azione di governo va pungolata, ricordando alla nostra classe politica che è troppo facile fare strade e rotatorie da inaugurare con le fanfare; il difficile, ma anche la cosa più seria, è anticipare le necessità dei propri cittadini con scelte illuminate a minor costo ambientale e, in definitiva, anche economico: tra queste è la riattivazione della ferrovia della Valsugana, la sua elettrificazione ed il suo ammodernamento, a partire dal modesto ma significativo allestimento della stazione di Roncogno.