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QT n. 8, 23 aprile 2005 Servizi

Università: associazioni in crisi?

Associazioni universitarie: i finanziamenti non mancano, ma l’impegno degli studenti è in calo. Gli effetti della riforma, da “universitas” ad esamificio.

Salvatore Poier

Questo articolo è il primo di una serie. L’Università è cambiata, e di molto, con la riforma del ministro Moratti. Con queste analisi dei vari aspetti della vita universitaria (vita associativa, modi e tempi di studio, vita sociale, ecc.) vogliamo indagare, dando la parola ai protagonisti, gli effetti della riforma non solo sui metodi di studio, ma anche sulla vita di tutti i giorni degli studenti, intesa come mentalità e approccio al sapere.

Come stanno le associazioni universitarie di Trento? La nostra ricerca su quali e quante siano le associazioni studentesche è stata semplificata dal sito dell’Università di Trento il quale, molto ordinatamente e con un po’ di vanto, elenca le tredici associazioni studentesche afferenti all’Ateneo (sarà questa cura, forse, imputabile a una sorta di marketing? Siamo certi di no!).

Le abbiamo contattate tutte, indiscriminatamente, ricevendo però poche risposte. Brutto segno, cominciamo male. Un’associazione esiste sul campo, tra la gente, prima che sulla carta.

Hanno risposto alle nostre domande Universidanza, A.i.e.s.e.c., A.S.I. Leonardo, Universitando, A.S.U.T. Latitano invece "Amici del Faggio" e "Nettuno": ci hanno risposto e hanno accettato l’intervista, salvo poi rispondere alle domande (inoltrate via posta elettronica) con una lentezza tale che siamo dovuti andati in stampa senza di loro.

Il primissimo dato, allora, è questo cinque su tredici. Sette, se anche ci avessero risposto tutti nei tempi stabiliti. Un po’ pochino la metà risicata!

L’altro dato che salta subito all’occhio, e ci preoccupa alquanto, riguarda il numero di iscritti: dai 10 ai 50, con l’unica eccezione (duecento i soci di A.S.I. Leonardo) presto spiegata: A.S.I. ha come principale attività quella di organizzare, a giugno, la Festa di Mesiano e, come tutti ben sanno, i soci dell’associazione hanno priorità nell’acquisto dei sempre più rari biglietti.

Abbiamo chiesto alle associazioni un resoconto separando la "partecipazione attiva" (proposizione e realizzazione di eventi) dalla "partecipazione passiva" (partecipazione ad eventi proposti dall’associazione). Tutti, anche l’affollatissima A.S.I., lamentano un disinteressamento sempre maggiore da parte degli studenti alla vita associativa: non solo si fatica moltissimo a coinvolgere i soci nell’organizzazione e nella ripartizione dei compiti al fine di una specifica attività (organizzazione di un cineforum, una conferenza, un incontro, una festa...), ma spesso è difficile farli partecipare all’evento stesso, a far loro passare una serata con l’associazione.

Da dove arrivano i soldi

Possono accedere ai finanziamenti le associazioni studentesche costituite con atto pubblico composte da almeno 50 studenti iscritti all’Università di Trento che non siano fuori corso da più di 3 anni.

Esistono due tipologie di intervento: un contributo annuale di gestione, erogato dall’Opera Universitaria e il finanziamento di iniziative, che può essere erogato tanto dall’O.U. quanto dall’Università.

Il finanziamento viene erogato da Opera Universitaria o Università a iniziativa conclusa; le associazioni, insomma, si fanno carico delle spese di tutte le attività per vedersi poi rimborsati – spesso l’anno successivo – delle spese sostenute e dimostrate.

Coinvolgere è spesso un lavoro duro quanto preparare l’evento; e non è solo un problema di scarso interesse da parte degli studenti. Non è una questione di "fare cose poco interessanti": non si può dire che le associazioni svolganoo attività poco stimolanti e che i soci più attivi abbiano paura del duro lavoro: nonostante tutto riescono a organizzare eventi di notevole portata: giornali densi e regolarmente pubblicati, attività culturalmente elevate, spettacoli apprezzati. Perché questa scarsa partecipazione, quindi? Forse è un problema di scarsità di fondi, che scoraggia le persone a impegnarsi anche nella ricerca di pecunia, magari presso genitori e parenti?

Abbiamo chiesto alle associazioni se sono finanziate solo da enti pubblici o anche da privati e, soprattutto, se è facile trovare finanziamenti. La maggior parte sono finanziate dall’Opera Universitaria e dall’Università (per meggiori informazioni, vedi scheda), ma qualcuno cerca anche finanziamenti esterni o autofinanziamenti presso i soci. Con una certa soddisfazione tutti notano che "i soldi non mancano", che gli Enti pubblici funzionano abbastanza bene e che tutti riescono a portare a termine le attività proposte; anche se l’Università e l’Opera obbligano gli studenti ad anticipare somme anche ingenti, restituendogliele spesso mesi dopo lo svolgimento degli eventi….

Il problema, quindi, è la proposta di attività. Non sono i soldi che mancano, ma piuttosto persone e idee per poterli spendere nel migliore dei modi, al punto che spesso le associazioni non riescono a chiedere quanto potrebbero perché non hanno soci che si facciano carico di spendere quei denari. E, si sa, nel finanziamento pubblico non fai bella figura a non spendere i soldi stanziati: l’anno successivo l’Ente (giustamente) li diminuirà.

Il tema diventa quindi la ragione di questo sotto-sfruttamento di potenzialità. Un tempo le associazioni dovevano scannarsi vicendevolmente per spartirsi i (pochi) finanziamenti e dovevano ingegnarsi per riuscire a fare molto con poco. Oggi è esattamente il contrario… Perché?

La risposta, pungolato dalle nostre domande, ci viene da Giuliano Guzzo, presidente di Universitando: "Prima, gli studenti che volevano dedicare il loro tempo libero in maniera costruttiva si rivolgevano alle associazioni universitarie. Adesso (dopo la riforma, n.d.r.), preferiscono organizzare seminari riconosciuti dalle Facoltà, che dà loro crediti (cioè punti utili per il conseguimento del titolo di studio, n.d.r.). E non gli si può dare torto!"

La questione è meramente di organizzazione delle proprie risorse, insomma. Siccome le associazioni non danno nessun credito, e io - studente - devo completare in tempo il triennio se voglio poi entrare "giusto" nel biennio - non posso certo perdere il mio tempo lì.

Il problema è, come sospettavamo, molto profondo. Tutte le associazioni intervistate hanno risposto di aver notato una certa differenza, dopo la recente riforma: gli studenti sono incasellati in un percorso quasi liceale che li vede costretti a seguire il corso e dare subito dopo l’esame; per poi ricominciare immediatamente un altro corso, dare l’esame e via così, fino alla laurea.

Di primo acchito sembra che i giovani "studino di più". Molti - e chi scrive è tra questi - sono convinti di no: non si studia di più, si imparano (forse) più cose, ma secondo un ordine, uno schema e una tempistica rigidamente organizzate.

Abbiamo così un’università più irreggimentata, forse più efficiente, ma non più Università.

Questa concezione scardina la ormai millenaria (Bologna, primo ateneo, fu fondata attorno al 1088) concezione e natura dell’università: universitas, appunto, ossia luogo dove ogni cosa si incontra, si studia, si confronta, si discute, si mette alla prova, si modifica, si pensa diversa, si critica: così si conosce qualcosa in maniera profonda, così si forma un metodo di analisi della realtà. Il fatto che gli studenti non abbiano più tempo o non ritengano più attrattiva - se non quando si organizzano feste -una qualsiasi delle tredici associazioni presenti a Trento, ognuna con interessi peculiari e, seppur tutte apartitiche, con diverse simpatie politiche, dovrebbe essere un segnale di preoccupazione e di allarme.

A questi studenti non stanno insegnando a partecipare a nulla; questa Università sta insegnando loro a consumare, a percepire tutto quanto viene loro proposto come un servizio reso, come una opzione tra le tante possibili, che posso accettare oppure no. Esiste sempre più di rado un impegno, una passione. Le associazioni sono come i locali nei quali ci si va a divertire: si frequentano quando offrono qualcosa di buono, nuovo, bello e possibilmente trendy.

Concorda con questa analisi il già citato Guzzo: "Forse non si tratta tanto di migliorare la promozione pubblicitaria, ma piuttosto di vincere una mentalità abbastanza diffusa presso i nostri colleghi: quella secondo la quale, l’Università si esaurisce nell’ambito dei corsi e degli esami."

Già; e se l’Università si esaurisce lì, anche gli studenti si riducono a credersi coloro che imparano le cose che vengono loro insegnate, senza filtro critico, senza opinione e passione. Che quello che imparano sia giusto o sbagliato, importa decisamente poco.

Intanto quelle nozioni servono a passare il prossimo esame, ed è questo che importa.