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QT n. 18, 29 ottobre 2005 Monitor

Sul tetto una gatta troppo rovente

La "gatta" di Tavassi e la Compagnia delle Indie Occidentali: buon impegno e ottima scenografia: invece l'interpretazione...

Tennessee Williams, con "La gatta sul tetto che scotta", ci ha donato uno dei testi più amari e graffianti del teatro del dopoguerra. Le ciniche metafore, che percorrono tutta l’opera, non si perdono nella traduzione di Gerardo Gerrieri e la rielaborazione di Giorgio Albertazzi; anzi, nel complesso risultano ben rese e valorizzate. Così anche la gran parte dei sottotesti – in primis la nevrosi – per i quali il drammaturgo americano era maestro. Dal primo al secondo atto, assistiamo ad un climax di emozioni soffocate, che attendono da tempo di esplodere o rivelarsi. La suspense procede sul filo del rasoio, sospeso tra "ambiguità" e "purezza" (come scrive lo stesso Williams). La vertigine aumenta in stile "La donna che visse due volte" di Hitchcock, e l’intima amicizia fra Brick e Skipper è uno spettro che solo alla fine appare per ciò che è o non è mai stato.

Tennessee Williams

Per rendere al meglio quest’accumulo di equivoci e di contraddizioni che tendono alla sintesi in un giro di vite, Alessandro Chiti gioca abilmente sulla trasparenza degli interni. In qualunque stanza si trovino, vediamo, infatti, i personaggi attraverso pareti accennate (ma invisibili) da scaffali metallici concentrici e scorrevoli. E, poiché la scena coincide con la casa, gli attori scompaiono – o divengono ombre sui pannelli bianchi e opachi – solo quando sono in bagno oppure in giardino.

Luigi Diberti

Questa soluzione raggiunge due scopi: da un lato garantisce una perfetta unità di tempo e di luogo; dall’altro rende possibile la simultaneità dell’azione, evitando il ricorso a flashback, flashforward e montaggi alternati. Inoltre, il ricorrente colore metallico simboleggia la freddezza, l’ipocrisia dei falsi buoni sentimenti, così come la chiusura in una torre d’avorio da parte di chi quei sentimenti li ha provati davvero ma non è più in grado di esprimerli.

Tutto perfetto dunque? Purtroppo no: il punto debole di un’operazione altrimenti riuscita è proprio il cast. Isa Barzizza e Luigi Diberti sono insuperabili, mai sopra o sotto le righe, praticamente l’optimum per timbro di voce, gestualità, mimica. Pretendere di più sarebbe disumano. Ciò, tuttavia, non vale per gli altri attori, bravi ma meno convincenti, compresa la D’Abbraccio che interpreta una Maggie "la Gatta" troppo caricata. Dopo un po’ si ha l’impressione che le sue intonazioni siano calcolate a tavolino, con l’effetto di suonare fasulle, "teatrali" nel senso negativo del termine. Non è in discussione la bravura (anzi, la D’Abbraccio ci è piaciuta), ma il physique du rôle è innanzitutto immedesimazione, non sfoggio. Inoltre, Paolo Giovannucci è stato un Brick sottotono che, in vari momenti, ci ha fatto rimpiangere Paul Newman.

Isa Barzizza

Risultati a parte, la Compagnia delle Indie Occidentali (nome che evoca ben altre compagnie) ha però dimostrato di credere nel proprio lavoro, mettendoci un lodevole impegno. Forse troppo: il regista, a nostro avviso, avrebbe dovuto dare indicazioni – specialmente ai due primi attori – per una performance meno "rovente" nel caso della D’Abbraccio e meno "monocorde" nel caso di Giovannucci. In medio stat virtus, diceva Orazio, e il proverbio – anche a teatro – ha poche eccezioni. Di là dall’interpretazione, comunque, l’allestimento di Tavassi è di tutto rispetto, intelligente e a tratti sofisticato; merito soprattutto della scenografia e dei dialoghi. Un buon esordio quindi per la Stagione di Prosa.

A proposito. Ci sono stati disagi per gli abbonati del turno B (venerdì), a causa della data annullata. Nonostante le (anche giuste) arrabbiature, nessuna colpa è imputabile al Centro Servizi Culturali S. Chiara: lo sciopero del personale di spettacolo, indetto quasi all’ultimo momento e a cui ha aderito la compagnia, ha permesso una comunicazione capillare ma, logicamente, non sempre tempestiva. Il Centro, inoltre, è riuscito a concertare il recupero dell’appuntamento nel pomeriggio di sabato; dimostrazione, questa, di serietà professionale.

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