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Chi dice le bugie?

I 5 milioni da Tarolli alla Curia. Sono stati richiesti? Per farne cosa? Una brutta storia di clientelismo e ipocrisia.

I soldi (5 milioni di euro) dovevano servire per "un convegno di grandissima importanza" sul dialogo interreligioso, nonché per adeguare "le infrastrutture, le chiese o i convitti, per l’ospitalità di chi verrà da tutto il mondo".

Ma non sono un po’ troppi dieci miliardi di lire? "E’ evidente che un finanziamento di quel tipo non riguarda solo un convegno" - spiega Ivo Tarolli. E neanche si tratta solo di sistemare qualche convitto per accogliere gli ospiti. "L’idea è seguire le orme della tradizione tridentina, di rendere Trento un ponte, una sede permanente del dialogo interreligioso… E se vogliamo avere una sede del dialogo, serve anche una struttura adeguata". A parte ogni altra considerazione, non dimentichiamo che "il dialogo fra le religioni è indispensabile per battere il terrorismo".

Ma è stata una sua trovata personale? Figurarsi! "Vuol credere che mi sia mosso senza aver prima concordato con i piani alti?" - spiega l’esponente dell’Udc al cronista di Repubblica. A RTTR conferma: "Sono stati i massimi livelli della Curia" a chiedere i soldi. Ma quando l’Adige gli domanda con chi, esattamente, si sia accordato, fa il misterioso: "Saranno loro a manifestarsi. Parlo di istituzioni". "I massimi livelli della Chiesa trentina?" – azzarda il giornalista. Ma Tarolli tace.

Gli accenti fra l’ironico e l’indignato con cui l’Adige, autore dello scoop, tratta la storia, le reazioni negative dei politici miscredenti, che parlano di "follia" e di "vergogna", e perfino la scarsa solidarietà dei beneficati ("La diocesi ringrazia, ma non senza un certo imbarazzo… Il vescovo si riserva di accettare o meno") non smuovono Tarolli: "Non si tratta né di riconoscere privilegi né di disperdere risorse e tanto meno di fare della bassa cucina".

Ma la resistenza dura poco. La prima sberla arriva dal direttore di Vita Trentina, che parla del regalo di Tarolli come di una "iniziativa personale" che "getta benzina sul fuoco di un anticlericalismo che giudica la Chiesa con la lente dei privilegi"; a seguire, un editoriale di Paolo Ghezzi, dove si narra come "per compiacere l’amico Luigi Bressan e rastrellare voti cattolici moderati [Tarolli] non ha esitato a strafare, trasformando una promessa di 500.000 euro (pur imbarazzanti) in un regalo sontuoso di 5 milioni". E infine, a denudare definitivamente il re, le dichiarazioni di Alessandro Martinelli, del Consiglio diocesano per l’ecumenismo: non abbiamo in programma - dice - nessun convegno. E rincara: "Quando Tarolli dice che la Curia ha chiesto questi fondi, dovrebbe dire chi è la voce della Curia che lo ha fatto. Vorrei saperlo, perché qui siamo tutti imbarazzati".

Il più imbarazzato di tutti è il vescovo, l’unico a quanto pare che fosse al corrente della promessa, e che anzi, probabilmente, l’aveva sollecitata (anche se, dicono alcuni, si sarebbe accontentato di un meno imbarazzante regalo di mezzo milione).

Bressan si decide a parlare solo una settimana dopo il trionfante annuncio di Tarolli. Reduce da Assisi, corre subito a Dro alla festa di Coldiretti ("anche a raccontare barzellette" - maligna l’Adige), ma solo per rifiutare ogni chiarimento: ‘Su questa vicenda bisognerebbe abbassare i toni; - osa dire, di fronte a una vicenda ancora tutta da chiarire - fin qui sono stati davvero eccessivi". Comunque, "non si tratta di una pioggia di milioni come ha detto qualcuno (sono 5 milioni di euro, come tutti hanno detto!, n.d.r.), anche perché di esigenze ce ne sono molte nella nostra Diocesi e certo se quei soldi arrivassero sapremmo bene come investirli". Allora quella del convegno era una panzana? Inventata da chi?

La reazione quasi concordemente negativa di stampa (cattolica e no), parroci, politici, opinione pubblica, mette in difficoltà il vescovo: accettare o no quei soldi che pure erano stati richiesti?

A quel punto anche Tarolli fiuta il pericolo: "Sono sconcertato, non ci sto a farmi massacrare". Il contributo - ripete per l’ennesima volta - era stato concordato con "i vertici dell’Arcidioscesi", e lo avevano anche ringraziato di quanto fatto. Poi l’amarezza: "Mi sarei aspettato che su obiettivi di grande caratura la comunità cattolica trentina andasse via meno gobba, fosse più fiera delle sue idee". E invece ha prevalso il "pauperismo".

Ancora un giorno, e la Diocesi rifiuta i milioni, con un comunicato che sottolinea "la piena sintonia tra l’arcivescovo e il direttore di Vita Trentina". Una strana sintonia: fra chi aveva sollecitato un "aiutino" e chi aveva scritto che quel dono aveva suscitato "sconcerto e imbarazzo fra i credenti". Bressan non aveva chiesto niente e dunque Tarolli non dice il vero? Oppure i soldi li aveva chiesti il portinaio del vescovato millantando di agire in nome del padrone?

Qual è la morale? Siamo di fronte, come lamenta Tarolli, ad "una Chiesa trentina fragile, rinunciataria, che ha perso una grande occasione per un grande slancio ideale"?

Oppure, come dice Marco Boato, ad una "deprimente lezione di clientelismo"; e - aggiungiamo noi - ad una Chiesa ben poco credibile nei suoi rapporti col denaro e con la trasparenza?

Di certo, con questa storia si affonda definitivamente la leggenda - diffusa all’inizio dell’era Bressan - del vescovo-diplomatico.