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Le risposte di Fugatti

Arrivate arrivate con molto ritardo e scritte dal direttore dell'azienda sanitaria

Alle nostre domande - poste il 27 marzo, confidando di pubblicare le risposte nel numero di aprile – Fugatti, o meglio il direttore dell’Azienda Sanitaria Bordon per lui, si è in effetti preso la briga di rispondere. A dire il vero una serie di risposte articolata e non banale. Ma datata 4 maggio, quindi fuori tempo non solo, ovviamente, per il numero di aprile ma anche per quello di maggio, a quella data ormai in edicola. A questo punto, a giugno, sono successe tante e tali cose per cui le domande e le risposte non hanno senso giornalistico. Le pubblichiamo però on line per i lettori cui siano interessati.

1. Tamponi: L’azienda ci crede alla strategia dei tamponi? Nella fase 2 anche per testare gli asintomatici? Cioè i tamponi vengono effettuati sul territorio o solo sulle persone che si rivolgono alle strutture sanitarie?

Certamente la fase 2 impone un cambio di passo anche sul fronte dei tamponi. Grazie anche al supporto di Cibio abbiamo incrementato il numero dei test giornalieri effettuati e ci siamo ormai attestati su una media di più di mille tamponi al giorno. La nostra attenzione al momento è rivolta in particolare ai nuclei familiari dove è presente un positivo e al personale sanitario che è stato – ed è ancora – in prima linea in questa emergenza. Chi nelle nostre strutture ha lavorato in un’area Covid che viene riconvertita in area non Covid farà il tampone. Così come tutti gli operatori potranno fare, su base volontaria, i test sierologici per la ricerca degli anticorpi che possono confermare l’avvenuto contatto con il virus: non si tratta di avere una «patente di immunità», ma di ottenere dati epidemiologici importanti per capire l’evoluzione del contagio. A tutti i positivi al test sierologico verrà fatto il tampone. La stessa opportunità viene data ai medici di medicina generale, ai pediatri e alle guardie mediche. I test sierologici e gli eventuali tamponi ai positivi verranno effettuati anche nei cinque comuni trentini particolarmente colpiti dal virus (Borgo Chiese, Campitello di Fassa, Canazei, Pieve di Bono-Prezzo, Vermiglio) ed è allo studio, insieme al Ministero della salute, un’indagine dello stesso tipo anche su un campione della popolazione trentina. Ci saranno poi dei tamponi dedicati alle cosiddette «categorie essenziali» che in questa emergenza hanno avuto contatti diretti con la popolazione: vigili del fuoco, forze dell’ordine, cassieri e commercianti.

2. Oggi quanti tamponi si riescono a processare nei tre laboratori a ciò destinati (microbiologia e virologia dell’Apss, Laboratorio del Cibio, Laboratorio di Fondazione Edmund Mach)? E quanti tamponi\giorno si intendono eseguire nella fase 2?

I numeri di oggi si attestano su una media di oltre mille tamponi al giorno. Contiamo di poter incrementare ancora e arrivare a 1.500 tamponi giornalieri.

3. Per quanti tamponi si hanno materiali? Come ci si sta muovendo per avere approvvigionamenti adeguati al numero di tamponi programmati?

Dopo un primo momento in cui la disponibilità di reagenti chimici sul mercato era limitata ora possiamo dire di aver superato questa difficoltà. Ad oggi abbiamo scorte per più di un mese di attività e per oltre 40 mila test. Il Cibio – nostro preziosissimo alleato in questa battaglia contro il Covid-19 – sta lavorando per arrivare a produrre reagenti in proprio. In questo senso sarebbe davvero una svolta importante poter essere autonomi sul fronte dei reagenti.

4. Come si cura l’infezione senza ricorrere al ricovero ospedaliero, e quale personale è a ciò dedicato?

I positivi al coronavirus che non necessitano di ricovero e sono curati a domicilio sono seguiti principalmente dalle cure domiciliari. Per gli oltre 60 operatori sanitari che in questa fase dell’epidemia seguono le persone in isolamento a casa, il lavoro quotidiano non manca: nella fase più acuta dell’emergenza dovevano essere monitorare e controllare due volte al giorno oltre 2700 persone. Si parlava quindi di 5.500 telefonate al giorno, circa 60 per ogni sanitario, per verificare lo stato di salute dei pazienti e richiedere i vari parametri: temperatura, presenza di tosse, fatica a respirare. Ad alcuni pazienti è stato fornito anche il saturimetro. Un supporto su questo fronte è venuto dall’App TreCovid19, grazie alla quale i pazienti a casa possono comunicare i parametri direttamente agli operatori. Ovviamente l’app viene utilizzata solo quando i pazienti sono stabili e quando non si evidenzia una sintomatologia preoccupante.

Quanto ai farmaci, oltre all’utilizzo dell’eparina, un farmaco anticoagulante utilizzato per prevenire le trombosi e altri fenomeni come l’embolia polmonare, si sta utilizzando in alcuni casi anche il plaquenil, un farmaco antimalarico utilizzato per curare l’artrite reumatoide che si sta rivelando particolarmente efficace anche nei casi di Covid-19. L’utilizzo di questo farmaco non è però ancora codificato dal produttore, nonostante la raccomandazione dell’Agenzia italiana del farmaco, e il suo utilizzo risulta ancora controverso per efficacia ed effetti collaterali. Si tratta comunque di un trattamento che va cominciato molto presto, quando compaiono i primi sintomi. Il farmaco può essere prescritto da un medico delle cure primarie o dal medico di famiglia oppure da un medico delle Usca (le Unità speciali di continuità assistenziale) attivate per l’emergenza. La prescrizione è in questo caso una vera indicazione di cura.

5. E quanti medici, infermieri, ausiliari ci sono oggi dentro gli ospedali e quanti sul territorio?

È difficile quantificare nel dettaglio il numero di operatori impegnati nell’emergenza. Di fatto tutti i nostri ospedali sono stati coinvolti, così come gran parte degli operatori impegnati sul territorio (medici dell’igiene, cure domiciliari etc.) Rovereto è stato indicato fin da subito come ospedale di riferimento per pazienti Covid e nella fase più acuta dell’emergenza sono stati coinvolti anche l’ospedale di Arco e quasi totalmente il Santa Chiara, che comunque ha garantito tutta la gestione delle urgenze non Covid (in parte insieme a Rovereto) come traumi, emorragie cerebrali, e tumori particolarmente aggressivi. Anche tutti gli ospedali di valle sono stati parte attiva nella gestione dell’emergenza. La positività di alcuni operatori ha imposto poi una ridefinizione delle turnazioni e qualche «scambio» di personale tra reparti. E quindi anche il supporto del personale non direttamente coinvolto nella gestione di pazienti Covid è stato fondamentale per andare a «coprire» il posti lasciati da colleghi che magari sono andati per un periodo nei reparti di terapia intensiva. Il carico di lavoro per le nostre strutture e i nostri operatori è davvero stato immenso. Siamo arrivati ad avere oltre 100 posti letto disponibili nelle terapia intensive (triplicando i posti letto ordinari), che fortunatamente non sono serviti tutti. Non possiamo ovviamente abbassare la guardia neanche ora che il numero dei contagi è in diminuzione e dobbiamo lasciare un certo margine di posti nelle terapie intensive. Il carico di lavoro è stato gravoso anche per chi si è occupato – e si occupa tuttora – dei pazienti in isolamento al proprio domicilio. L’attività delle cure domiciliari è strategico per limitare il numero dei ricoveri e il contatto con chi è casa deve essere costante per intercettare eventuali criticità.

Oltre che sul nostro personale, nella fase emergenziale abbiamo potuto contare anche sul prezioso contributo dei medici e degli infermieri inviati dal Dipartimento della protezione civile nazionale a supporto delle Regioni, sul personale rientrato dalla pensione e sugli specializzandi.

6. Le dotazioni per il personale sanitario (mascherine, visiere, camici ecc) sono adeguate? Sono state interpellate aziende trentine per le forniture

Non nascondo che ci siano state delle criticità sul fronte delle forniture di dispositivi di protezione individuale – mascherine FFP2, FFp3 e camici – dovute principalmente alle difficoltà di far arrivare nel nostro Paese materiale prodotto all’estero. Abbiamo dovuto nei momenti peggiori razionare i dispositivi, ma garantendo sempre ai nostri operatori dotazioni adeguate per lavorare in sicurezza. La situazione al momento è sotto controllo e abbiamo una buona scorta di dispositivi di protezione individuale, anche grazie alla riconversione di alcune aziende trentine che ora stanno producendo mascherine. La riconversione non è immediata ovviamente, perché si tratta di prodotti che devono rispettare gli standard tecnici indicati dal Ministero della salute. Certamente per il futuro occorrerà fare un ragionamento di sistema sulla questione delle forniture di dispositivi, perché purtroppo la delocalizzazione della produzione all’estero ha pesato in alcuni momenti dell’emergenza.

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