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QT n. 12, 17 giugno 2006 Servizi

Una felice decrescita (cominciando dallo yogurt)

Le suggestioni di Maurizio Pallante contro lo strapotere del PIL.

"Da una parte c’era Montezemolo, grande grande, e dall’altra c’ero io, piccolo piccolo". Questa la battuta con cui Maurizio Pallante ha sintetizzato la sua presenza al Festival dell’Economia. Autore de "La decrescita felice", testo presentato il primo di giugno nell’ambito della manifestazione organizzata a Trento, Pallante a un festival intitolato all’economia non poteva che fare la parte dell’eretico.

Maurizio Pallante

Chi parla di decrescita risulta inevitabilmente tale in mezzo a chi si straccia le vesti se il Pil cala, o semplicemente non cresce. "Se prendo l’auto tutte le mattine e mi metto in colonna con migliaia di altre persone per recarmi in città sul posto di lavoro a muovere un mouse, il Pil cresce; se pago una baby-sitter che accudisca mio figlio, perché io non posso vederlo che la sera, quando sono stanco e non ho voglia di giocare con lui, il Pil cresce; se non reggo lo stress, e vado in farmacia a comprarmi uno psicofarmaco, il Pil cresce; se mi ammalo respirando l’irrespirabile aria di città, e mi ricoverano in ospedale, il Pil cresce".

Il Pil, osserva Pallante, misura tutto quanto è merce, ma non tutto quanto è merce favorisce il benessere: e allora perché si continua a usare la crescita di produzione e consumi come termometro per misurare la salute di individui e collettività?

Una domanda apparentemente semplice, cui però politici, economisti ed imprenditori si rifiutano di rispondere, se non vagamente. "Se non nascondendosi dietro al nuovo feticcio, quello dello sviluppo sostenibile: nessuno sviluppo può essere sostenibile, la sostenibilità si cerca altrove".

Dove? Nella decrescita, risponde Pallante. Ma cos’è questa decrescita? Il pensatore astigiano in proposito è molto esplicito: decrescita è ridurre lo spazio destinato alle merci e ampliare quello destinato ai beni. Che differenza c’è? "Merce è tutto quanto viene prodotto e consumato con la mediazione del denaro, bene è tutto quanto mi autoproduco o comunque ottengo da altri come dono. Io non penso che si possa fare del tutto a meno del mercato, ma credo che si possa stare meglio riducendone la portata e aumentando la sfera dei beni e dei doni reciproci".

Pallante usa sempre l’esempio dello yogurt. "Se me lo autoproduco mettendo il latte a fermentare nella yogurtiera, ottengo quattro vantaggi: riduco i trasporti, riduco gli imballaggi, mangio uno yogurt più buono (perché contiene davvero i fermenti lattici vivi) e, da ultimo, risparmio pure: lo yogurt costa 5 euro al litro, se me lo faccio ne spendo solo uno, quello per pagare il latte".

Autoproduzione e doni reciproci possono aiutare a recuperare quel rapporto coi nostri bisogni che la società dei consumi ha alterato da decenni. Praticare l’autoproduzione e la gratuità reciproca induce a considerare solo i bisogni reali; liberando così il tempo dal lavoro necessario ad acquistare montagne di prodotti superflui, e invece destinandolo alle attività interpersonali, ludiche o culturali. E sono proprio queste ultime, nonostante siano considerate non produttive, a risultare invece fondamentali per il reale benessere psichico e sociale. La decrescita felice, appunto.

Il dilemma è: come arrivarci? Come riappropriarsi del proprio tempo, dei propri luoghi, della propria vita?

Fila al dibattito con Pallante.

"Se decido di abbandonare la città e me ne ritorno al paese, vivendo in prevalenza di autoproduzione, comunque tutti i giorni i miei figli dovranno andare a scuola in città, incrementando il traffico dei pendolari, e probabilmente in città troveranno un lavoro e, se non vorranno trasferircisi, continueranno a pendolare" - ha obiettato una signora dal pubblico dopo che Pallante aveva osservato che l’emigrazione dalle campagne alle città è stata il frutto dell’impostazione produttivista e consumista della società.

"E chi lo dice che devo portare per forza i figli a scuola in città?". A nulla siamo obbligati, sostiene Pallante: sono tutte scelte che compiamo, anche se inconsapevolmente. "Se io ed altri decidiamo di rimanere in paese, potremo decidere di dare ai nostri figli un’educazione in loco, senza bisogno di farli spostare. Educazione a cosa? Non a produrre e a consumare, ma a vivere. Cosa che, diventati adulti, potranno senz’altro fare nella loro comunità, senza bisogno di spostarsi".

Le scelte riguardano prima di tutto i comportamenti personali, ma alla lunga non può mancare una scelta collettiva che sola può permettere la realizzazione di una società della decrescita. Tuttavia, sembra volerci dire Pallante, senza cominciare dal proprio piccolo, senza cominciare dal proprio yogurt, nessuna scelta collettiva verrà mai compiuta.