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QT n. 15, 16 settembre 2006 Servizi

L’accordo di Parigi e il destino delle marmotte

Oltre ai contrasti e dispetti vecchi e nuovi: la genesi storica, le ragioni profonde, i risultati impensati di un ottimo accordo poi tante volte malamente gestito.

A Castelfeder non erano in moltissimi, ma decisi: hanno acceso fuochi "ai confini austroungarici" (cioè a Salorno) di rimpianto per il Tirolo disunito, e al convegno all’Accademia Cusano a Bressanone hanno concluso con un ennesimo proclama a favore dell’autodeterminazione, dopo avere discusso a lungo se l’esito della "questione sudtirolese" sarà la riunificazione all’Austria o la creazione di un nuovo staterello "libero". Gli Schützen hanno così celebrato il sessantenario dell’Accordo Degasperi-Gruber ed è stata la celebrazione più visibile. Il 5 di settembre in consiglio provinciale si è tenuta una manifestazione che ha "celebrato" l’insignificanza dell’accordo Degasperi-Gruber.

Brennero, 1980: manifestazione per l’autodeterminazione del Sudtirolo.

L’estrema destra sudtirolese sente che nella Svp, - in cui predomina la politica di un colpo al cerchio (sostegno al governo Prodi in cambio di concessioni) e uno alla botte (recupero dell’elettorato della destra tedesca con la proposta di tematiche nazionaliste) - c’è attenzione nei suoi confronti, e riparte lancia in resta, assecondata da distrazioni, connivenze e furbizie. I cartelli del parco dello Stelvio in estate sono sostituiti da nuovi, solo tedeschi; funzionari della Provincia "dimenticano" di scrivere relazioni ufficiali e informazioni in italiano: provocazioni rientrate in parte per le reazioni, fra cui però non si contano quelle del partito di maggioranza, che gioca più di sempre "alla Berlusconi", affermando e smentendo contemporaneamente. Si litiga con il ministro dell’ambiente per rivendicare il diritto a uccidere 2400 marmotte, animaletto innocuo che fischia al nostro passaggio sui sentieri alpini, di cui nel resto dell’Europa civile è vietata la caccia, con la scusa che danneggia le colture. Quali colture a 2000 metri? La mancata strage diventa un attacco all’autonomia. A Bolzano si boccia in aula il testo del piano sociale presentato dal resto della giunta, provocando la reazione indignata (almeno sui giornali) del sindaco. In questo clima di piccoli dispetti e ricatti verso i partner politici, di lamentela e prepotenza, di insofferenza verso la collaborazione, insomma di incapacità di apprezzare quanto si è raggiunto in materia di convivenza, è caduto l’anniversario dell’accordo di Parigi.

Ha cominciato Trento, a metà di agosto, con l’attribuzione del premio intitolato ad Alcide Degasperi al presidente emerito della Repubblica, Ciampi, alla presenza del nuovo presidente e del capo del governo. Troppo per Durnwalder, che sia Dellai a fare la figura del primo, in una regione in cui è lui il primo, si sa. "I trentini hanno l’autonomia solo grazie alla Svp" è il ritornello ricorrente. In altra sede si sostiene che sia stato Degasperi, diavolo in persona, ad allargarla proditoriamente al Trentino, ma come si è detto le contraddizioni non fanno problema.

Luis Durnwalder

Durnwalder ha dichiarato di non essere stato invitato. Bum! Figurarsi se Dellai non lo voleva nel momento del suo trionfo: dopo il successo del Festival dell’Economia, ora le maggiori autorità della Repubblica a Trento a valorizzare un atto diplomatico, che per quanto successivamente tradito e solo molto tardi attuato, costituisce un riferimento cruciale per la costruzione di un’Europa capace di convivenza. La sua segreteria non ha accusato ricevuta. Il presidente del Trentino ha smentito. Per favore, signor Dellai, la prossima volta gli mandi l’invito con ricevuta di ritorno o glielo consegni a mano, ma in presenza di testimoni.

D’altro canto, finito il momento di gloria (vera gloria, sia chiaro, per il grande merito dei partecipanti, che hanno saputo finalmente unire l’apprezzamento delle autonomie speciali e il rispetto delle minoranze con il senso dello Stato), il trentino si è affrettato di nuovo ad inchinarsi al collega bolzanino, dandogli ragione sulla questione della toponomastica monolingue.

Un risultato di (tradizionale) ignoranza verso i principi cardine dell’autonomia, - primo il bilinguismo - e uno sgambetto all’Ulivo bolzanino, che gli elettori e le elettrici capiscono non contare proprio niente. E per farlo contento, ha anche tirato fuori la vecchia storia dell’Euregio Tirolo, roba da Lega secessionista di metà anni Novanta.

Lorenzo Dellai

E’ pur vero che Bolzano è infinitamente meno interessata a stabilire rapporti fraterni con il Tirolo di quanto non sia Trento, ma non pare necessario nel momento in cui in Europa rinasce il micronazionalismo, riprendere vecchi fantasmi. Tuttavia, la voglia di litigare, prima con Dellai, poi con il ministro degli esteri D’Alema - che ammonisce la destra austriaca sull’opportunità di non inserire nella premessa alla Legge Fondamentale il riferimento alla funzione di potenza tutrice nei confronti dei sudtirolesi, - serve a nascondere l’atteggiamento ostile del partito di maggioranza verso l’accordo di Parigi, ancora oggetto di mitologia etnica e ben lungi dall’essere riconosciuto per ciò che è e cioè l’atto originario dell’autonomia sudtirolese.

Sia chiaro, a suo tempo nessuno avrebbe mai immaginato che quell’accordo avrebbe portato a questi risultati, un’autonomia territoriale e una convivenza pacifica fra popolazioni diverse e un benessere elevato. Neppure i ministri inglese e americano di allora, Bevin e Byrnes, che lo definirono "il migliore risultato della conferenza di pace". Esso andava in direzione opposta a come andava il mondo, pronto a un nuovo conflitto, questa volta "freddo", ma solo per l’orrore dei 30 milioni di morti che avevano caratterizzato quello guerreggiato. Finita la guerra, la popolazione sudtirolese, esasperata dalla lunga oppressione fascista, delusa dalla sconfitta tedesca, si aspettava, un po’esagerando forse nel passare sopra le proprie responsabilità, che l’errore e l’ingiustizia fatta nel 1919 venisse riparata, restituendo alla madrepatria il paese che l’Italia aveva dimostrato di non saper rispettare e governare decentemente. Soprattutto volevano la riunificazione i tirolesi del nord. Gli alleati vincitori della guerra decisero diversamente.

Difficile dire se ci fosse spazio per un esito diverso, con gli USA che non volevano indebolire troppo i due paesi per non farli cadere nelle mani dei sovietici. Entrambi giocarono le loro carte, entrambi sconfitti, entrambi con una buona o discreta scusa.

L’Italia aveva da esibire la Resistenza, attivo e doloroso contributo alla liberazione, ma aveva anche la colpa di essere stata il primo paese fascista. L’Austria affermò di essere stata la prima vittima dell’occupazione tedesca, una posizione debole, perché smentita da un grande entusiasmo popolare verso il nazismo e da una forte presenza di esponenti austriaci nelle fila del regime nazista ai più alti livelli militari e civili.

Sul confine nord vinse l’Italia, che cedeva invece a ovest e ad est, mentre l’Austria conservò la Carinzia, che la Yugoslavia vincitrice voleva per sé. Nell’agosto del 1946, messi di fronte alla realtà delle cose, i ministri degli esteri Degasperi (che era anche primo ministro) e Gruber, cercarono, sotto la pressione inglese, ma anche per loro personale convinzione, di trovare un accordo che garantisse nuove e migliori condizioni alla permanenza della minoranza austriaca in Italia. In questo modo cominciarono a cambiare il corso della storica inimicizia fra Italia e Austria.

Il seguito non fu dei migliori. L’Italia non fu all’altezza dei propri impegni.

Cominciò lo stesso Degasperi, ripristinando prefetti e questori fascisti, e imponendo quindi un’amministrazione statale nazionalista e ignara se non francamente ostile ai diritti delle minoranze. Le conseguenze furono quelle che sappiamo: lungaggini esasperanti nell’attuare le previsioni dell’accordo e dello Statuto d’autonomia, la sistematica demolizione della classe politica Dableiber che aveva fatto un atto di fiducia nel governo democratico italiano.

Ma anche i politici sudtirolesi hanno le loro responsabilità. La Svp, nata l’8 maggio 1945, fondata ufficialmente dai Dableiber, ebbe per unico scopo l’autodeterminazione. Su questo obiettivo compattò la popolazione, superando le profonde lacerazioni prodotte dalla vicenda delle opzioni, passando sopra anche alle più gravi responsabilità e coinvolgimento di alcuni nel regime nazista. Fino all’ultimo momento delle trattative, perfino quando già era in vista l’accordo, la Svp diede ai suoi rappresentanti l’incarico di sostenere la riunificazione all’Austria e l’autodeterminazione, rifiutando di partecipare ai tavoli in cui si discuteva l’autonomia e concentrandosi nelle manifestazioni di piazza. E come scrive acutamente Claus Gatterer in "Im Kampf gegen Rom", mai si pose il problema o disse una parola sul destino della popolazione italiana residente, dando per scontato una sua emigrazione o espulsione.

Negli anni successivi, appena l’Austria superò le difficoltà istituzionali ottenendo il trattato di stato nel 1955, le pressioni della Svp per un ricorso internazionale e per una rimessa in discussione dell’appartenenza all’Italia ripresero e continuarono ancora quando si stava concretizzando l’attuale autonomia. Perfino nel 1990, dopo la caduta del tabù dello spostamento dei confini, forte fu nel partito la corrente che voleva che si abbandonasse tutto per chiedere l’autodeterminazione.

La tavola rotonda “A 60 anni dall’Accordo Degasperi-Gruber” organizzata il 6 settembre dal Museo Storico in Trento. Da sinistra: Renato Ballardini, Giorgio Grigolli, Iginio Rogger, Giuseppe Ferrandi, Karl Zeller e Leopold Steurer.

Nonostante il benessere, nonostante ormai il Sudtirolo si ponesse come un esempio di soluzione pacifica della convivenza etnica, in un’Europa insanguinata dalle nuove guerre civili etniche. E sappiamo che a metà degli anni Novanta, l’Euregio Tirol fu da molti esponenti della Svp, anche di primo piano, intesa come lo strumento per abbandonare la via dell’autonomia e ritornare ad una concezione politica ispirata al mito della purezza etnica.

In Austria, mentre i politici in massima parte guardano con soddisfazione alla situazione di fatto e di diritto del Sudtirolo, gli storici si appassionano nella discussione se Gruber chiuse troppo in fretta, per un atto di fiducia verso la pace o per inesperienza. L’ambasciatore Steiner, suo più stretto collaboratore, nella sua autobiografia, di cui si è parlato in queste pagine (L’ambasciatore), scrive che l’obiettivo più pressante per l’Austria era quello di far restituire la cittadinanza agli optanti per la Germania.

La richiesta della Svp era di cancellare semplicemente l’accordo Ciano-Ribbentropp del giugno 1939, come nulla fosse accaduto, ma l’Italia non poteva accettare e forse non era giusto.

Nel dopoguerra le espulsioni di popolazioni di lingua tedesca, accusate di connivenza con il nazismo, erano all’ordine del giorno e riguardavano decine di milioni di persone. Il timore che anche gli optanti sudtirolesi non potessero rientrare se emigrati o venissero costretti ad espatriare se ancora residenti in Italia, la consapevolezza delle difficilissime condizioni di vita in Germania e Austria, spinsero l’Austria (consapevole anche della propria debolezza: senza trattato, occupata anche dai russi, con tantissimi cittadini fortemente compromessi nel regime nazista) a mettere in primo piano la questione della cittadinanza.

"Il trattato del 1946 - scrive lo storico Stephan Lechner - ha significato soprattutto una cosa: un biglietto di ritorno in patria, ovvero il diritto definitivo a restare nella propria terra di coloro che optarono per la cittadinanza tedesca. L’Italia si impegnò infatti ad una generosa restituzione della cittadinanza italiana a quanti, nel 1939, avevano optato per il Reich tedesco".

Il presidente della Repubblica, Napolitano, ha fatto scalo a Bolzano e ha avuto un breve incontro con Durnwalder, prima di andare a Trento a chiarire che l’autonomia non è separazione, ma al contrario unione nel rispetto dei diritti e condizione di crescita democratica. Durnwalder ha usato i venti minuti a disposizione con lui per insistere sulla grazia ai terroristi, colpevoli di reati gravissimi e che si dichiarano non pentiti.

Chissà se quando verrà Prodi, per parlare di terzo Statuto, gli chiederà la competenza esclusiva sulle marmotte.