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QT n. 6, giugno 2017 Servizi

Fiumi e centrali: una vittoria

La conferma dei rilasci idrici nei corsi d’acqua è una vittoria dei comitati e dei pescatori trentini

Nel corso di un convegno tenutosi il 20 maggio a Malè l’assessore all’ambiente Mauro Gilmozzi ha confermato che la delibera dell’autunno scorso che riduceva i rilasci dagli invasi idroelettrici è superata. Dopo una lunga mediazione il Consorzio dei Comuni trentini ha deciso di rinunciare alle entrate dei sovra canoni idroelettrici che le società concessionarie erano costrette a devolvere agli enti territoriali. I corsi d’acqua del Trentino manterranno così elevata la qualità delle loro acque.

In questi ultimi due anni il calo del prezzo del petrolio e la riduzione dei consumi energetici nel nostro paese ha portato il prezzo del Kw/h prodotto dagli 0,95 euro agli attuali 0,45-0,46. I margini di guadagno delle società, partendo da Hidrodolomiti, si sono così drasticamente ridotti. A questo dato macro-economico si è aggiunto un lungo periodo di scarse precipitazioni, due inverni quasi asciutti, che hanno di fatto impoverito tutti i corsi d’acqua e quindi anche le potenzialità produttive.

La scelta iniziale della Provincia (autunno 2016) era stata drastica: ridurre i deflussi minimi delle acque dal 27% al 45 per poter permettere ai concessionari maggiori produzioni e guadagni. La giunta provinciale, nell’offrire questo regalo ai produttori, aveva dimenticato la forza unitaria del mondo dei pescatori e dell’ambientalismo trentino. A rafforzare la protesta si erano poi schierati diversi sindaci, stanchi di subire le pressioni dei privati, e il presidente del Parco Naturale Adamello Brenta.

L’assessore all’Ambiente è stato quindi portato prima a sospendere la delibera e poi a costruire un accordo politico con i comuni, invitandoli, in tempi di ristrettezze di bilanci già consistenti, ad un nuovo sacrificio. Aver accettato da parte dei sindaci e dell’assessore Gilmozzi un simile passaggio è un fatto politico di notevole valore e i meriti, il coraggio dimostrato, vanno riconosciuti. I diritti dell’ambiente e della qualità del territorio hanno prevalso sui pur importanti bisogni economici.

La corsa alle centraline

Il convegno ha affrontato anche il tema delle centraline idroelettriche. A causa degli incredibili incentivi offerti dallo Stato alla costruzione di nuove centraline le Alpi intere sono state sommerse da richieste di sfruttamento che sono arrivate ad interessare perfino dei ruscelli, sovrapponendosi le une alle altre. In Italia sono già state realizzate 2034 centrali con potenzialità produttive inferiori a 1 MgW che producono lo 0,19% del totale dei consumi energetici del paese. Si pensi che solo gli 82 grandi impianti idroelettrici presenti in Lombardia producono invece il 25% dell’energia idroelettrica nazionale. Se si deve investire, laddove possibile, lo si dovrebbe fare solo per impianti con capacità produttiva ben superiore ai 3 MgW. Gli incentivi nazionali costano ogni anno allo Stato oltre un miliardo di euro, una evidente diseconomia. Con questi soldi si potrebbe invece organizzare una incisiva campagna basata sulla riduzione dei consumi e su investimenti che portino maggiore efficienza nelle infrastrutture già operative. Inoltre, con questa valanga di richieste, si sta andando a raschiare il fondo del barile. E infatti in soli tre anni in Lombardia le richieste di nuovi impianti sono passate da 450 a 700, nel bellunese sono 150 le domande depositate in Regione Veneto, in Trentino nel corso degli anni sono state concesse autorizzazioni per 15.000 prelievi idrici (compresi acquedotti e centraline idonee per rifugi o malghe). Ad oggi sono depositate 130 domande (dal 2000 sono state rilasciate oltre 200 concessioni). Su alcuni torrenti vi sono richieste per più concessioni che si accavallano anche su uno stesso tratto. Ma l’assessore Gilmozzi anche qui è stato tassativo: il 95% di queste ultime domande di concessione saranno bocciate: il valore dell’acqua - ha dichiarato con convinzione - è ben altro.

L’azione delle sensibilità ambientali diffuse nella nostra provincia è stata energica. Dal convegno è emerso come questa emergenza coinvolga tutto l’arco alpino. I sindaci, anche quando sono sensibili al tema, sono generalmente disarmati e devono sottostare ai diktat delle varie Regioni. Altri sindaci provano a rispondere alle richieste dei privati avanzando progetti pubblici, senza rendersi conto che il piccolo impianto idroelettrico, come dimostrato dai numeri, non è assolutamente vantaggioso e invece che ricavi, nel medio e lungo periodo porterà nelle pubbliche amministrazioni ulteriori costi di gestione.

Nelle richieste depositate un po’ ovunque non c’è la presenza di piani economici seri. Non vengono mai valutate esternalità strategiche per il futuro: i valori del territorio, quelli ecosistemici, il paesaggio, l’offerta turistica legata ai corsi d’acqua, le ulteriori possibili variazioni del prezzo dell’energia. Va anche tenuto presente che l’Unione Europea nella nuova direttiva tesa a valorizzare i corsi d’acqua supera il concetto di deflusso minimo vitale (Dmv) per investire nel Deflusso ecologico. In pratica tutte le acque dovranno passare allo stato qualitativo “buono”; una lettura, a differenza della situazione odierna, non solo qualitativa, ma anche quantitativa. Infatti solo la quantità permette ciclizzazione delle sostanze organiche e dei microrganismi: togliendo acque, o variando le portate, o la velocità di queste, si influisce negativamente su fauna e vegetazione; nella valutazione qualitativa dei corsi d’acqua si dovrà quindi avere un approccio ecologico funzionale, una visione olistica del tema. I cambiamenti climatici in atto, sempre più evidenti nelle conseguenze sull’ambiente naturale, impongono scelte coraggiose ed avanzate. Come era accaduto all’inizio degli anni Novanta, sotto la spinta politica e culturale del compianto assessore Walter Micheli, invece di inseguire le emergenze sarebbe necessario anticipare e dare attuazione alle progettualità che l’Unione Europea sta proponendo.

Per noi in Trentino, dove il tema è ancor più rilevante che nelle altre regioni alpine, si dovrà affrontare un argomento finora rimasto debole nella trattazione. Chi controlla quanto avviene lungo i corsi d’acqua? Con quali strumenti? Non è forse il momento di riprendere un percorso formativo degli agenti intenso e ben strutturato? Queste ultime domande non potranno rimanere inevase ancora a lungo.