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QT n. 11, novembre 2023 L’editoriale

Israele, non è andata come si pensava

Il ritorno dell'irrazionalità , anti seminiamo e miti etnico-religiosi. E la perdita di credibilità dell'America, incapace di controllare la destra israeliana.

E’ difficile parlare della guerra in Palestina. Ci sono temi, drammi umani e storici che generano troppa emotività, troppa ideologia, per non parlare dei troppi interessi.

Ci proviamo comunque anche in queste righe, oltre che nei servizi interni di studiosi come Gianni Bonvicini e Carlo Saccone.

Innanzitutto l’irrazionalità. Che purtroppo, molto purtroppo, è un agente della storia. E che qui prende le vesti dell’antisemitismo. Una belva nefasta, che non ha ragione alcuna, che pensavamo battuta per sempre, e che invece ritorna.

Poi i miti etnico-religiosi, come la “Grande Israele”, per cui un popolo è “destinato” a un ruolo sovraordinato. Infine l’odio etnico, con gli sgarbi che diventano soprusi, e i soprusi ferite irrimarginabili, che tutto giustificano, anche le atrocità, in una terrificante spirale distruttiva.

A noi, che siamo osservatori non troppo distanti, occorrerebbe lucidità. Che non vuol dire cinismo, per il quale di teste mozzate nella storia ce ne sono state tante, dagli Assiri alla colonna traiana, alle piramidi di teschi erette da Tamerlano, alle teste nobiliari issate sulle picche dei sanculotti.

O per converso, il disumano realismo di chi giudica fatale la scomparsa dei popoli più deboli, dagli indigeni d’America ai genocidi del secolo scorso.

A nostro avviso il conflitto israelo-palestinese non va fatto iniziare l’8 di ottobre con i suoi orrori. Inescusabili eppure spiegabili, se retrodatiamo opportunamente la vicenda.

Alla fine della seconda guerra mondiale l’Europa pensò di emendarsi da secoli di persecuzioni anti-giudaiche e dall’ultima atroce barbarie dell’Olocausto, a spese di un piccolo popolo mediorientale, i palestinesi, che dovevano restringersi per fare spazio ai nuovi arrivati. I decenni successivi, il felice insediamento israeliano, le guerre, la crescente importanza del mondo arabo e la concomitante regressione territoriale dei palestinesi, portarono ad una situazione sempre più complicata. Che si sarebbe potuta risolvere con la formula “Due popoli, due stati”, il diritto ormai largamente acquisito (ma non da tutti riconosciuto) di Israele ad esistere, ma non ad espandersi.

Non è andata così.

Ci si è messa di mezzo anche la religione, instillando la convinzione di predestinata superiorità da una parte, l’odio dall’altra.

La politica, la grande politica internazionale, ha pensato che ci si potesse dimenticare di quel lembo di terra, che se la facessero fuori tra di loro. Scelta cinica ma saggia? Non tanto, anche perché il vuoto in natura non esiste ed ognuno ha continuato ad armare una delle due parti.

Aveva provvisoriamente vinto il più ricco e forte; con i palestinesi ridotti a un non senso urbanistico, economico e sociale come la striscia di Gaza; oppure a un territorio come la Cisgiordania, punteggiato da centinaia di insediamenti israeliani, interconnessi da strade proibite ai palestinesi.

A rendere la sconfitta più ingestibile fu la conseguente vittoria dell’estremismo di Hamas a Gaza, e la stentata sopravvivenza di un regime giocoforza inane e per di più corrotto, in Cisgiordania. Problema risolto: i palestinesi sembravano destinati a uscire dalla storia, un po’ come gli aborigeni australiani.

Ancora una volta: non è andata così.

A questo punto, a nostro avviso è in gioco la credibilità del grande supporter di Israele, l’America. Non solo nel senso, ovvio, che una sconfitta di Israele immediatamente si ripercuoterebbe sul grande fratello. Ma anche che il perdurare di uno strangolamento – lento o accelerato, comunque cruento – di ciò che resta dei territori palestinesi renderebbe impresentabile l’America (e a ruota l’inetta Europa) agli occhi del pur variegato mondo non occidentale. Un esito molto più rovinoso della pur disastrosa fuga dall’Afghanistan.

Noi non tifiamo per nessuno, ma per una soluzione. Il ritorno alla formula due popoli due stati, vale a dire il diritto di Israele ad esistere ma non a quello di espandersi.

Sembra facile a dirsi.