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La cultura laica a Trento

Il Trentino sempre e solo cattolico: l’esperienza di una donna laica.

Paola Giacomoni

Bene fa questa rivista a sollevare la questione del “pensiero unico” in Trentino (Pensiero unico: il Trentino, sempre e solo cattolico). Talvolta lo penso anch’io, che qui da noi la cultura cattolica impedisca ad altre tradizioni politiche e culturali di esprimersi compiutamente e di dare un contributo non marginale alla storia locale. Lo dico perché, provenendo da una famiglia laica, o almeno non di baciapile, ho spesso patito una cultura dominante poco propensa a vere aperture a stili di vita non conformi alla tradizione cattolica, disinteressata e anche ignorante com’è di altre tradizioni di pensiero, ben presenti invece in altre regioni italiane.

Lo dico perché solo pochi anni fa la scelta di non avvalermi dell’insegnamento della religione a scuola per mia figlia veniva sentita da qualche insegnante come un peso fastidioso anziché come un diritto costituzionale (poi fortunatamente le ho cambiato scuola e i problemi si sono risolti).

Lo sottolineo anche perché quando ero consigliere comunale, lo stile dell’indipendenza di giudizio e la predilezione per le strade non ancora battute che mi contraddistingueva, oltre gli schemi e le paratie di partito e di gruppo, era visto come una scelta stravagante e in parte estranea, poco comprensibile e soprattutto poco prevedibile, quindi non controllabile, non affidabile secondo le logiche consuete. E ancora perché recentissimamente, durante la presentazione di un nuovo corso di studi su Rosmini a Rovereto, Dellai, grande personalità dominante e di notevole intelligenza politica, si è tuttavia congratulato per il processo di beatificazione in corso del filosofo roveretano, confermando così apertamente l’immagine del principe vescovo, dall’atteggiamento ben poco laico e anche istituzionalmente inappropriato, che alcuni critici gli hanno cucito addosso.

Da laico uno si sente spesso fuori posto a Trento. Molti anni fa l’amico Mauro Paissan mi diceva che parlare della possibilità del rafforzamento di un pensiero laico a Trento è pura illusione. Ma ho vissuto e lavorato molti anni a Bologna, viaggio spesso per lavoro e per passione e tuttavia vivo di nuovo da molto tempo in Trentino senza pentirmene. In fondo frequentare ambienti aperti e liberi non è poi così difficile, per fortuna posso invitare colleghi universitari da tutto il mondo a tenere conferenze, convegni, cicli di lezione su temi e sentieri di ricerca nuovi, che vengono apprezzati e ben valutati da tutti. Posso fare scelte di vita libere senza sentirmi oppressa da giudizi da parrocchia.

Credo che l’idea di fondo di un Trentino come tradizionale luogo di passaggio, come stazione di posta tra mondo latino e mondo germanico, e oggi direi come apertura al mondo, ci abbia garantito e ci garantisca da una chiusura totale, pericolo sentito molto concretamente nella seconda metà del secolo scorso.

Ai primi del Novecento mio nonno aveva una piccola trattoria proprio sulla statale del Brennero: di lì passavano da sempre soldati e viaggiatori di ogni nazionalità, che toglievano la piccola aria stagnante di provincia e costringevano a confrontarsi con lo straniero, l’estraneo, il diverso, non più considerabile come un nemico. Anche se il diverso non sempre era gentile, non sempre civile, non sempre fragrante. L’italianità del Trentino è sempre stata questo: esposizione al passaggio casuale, all’incontro con lo sconosciuto e il viaggiatore, ben più del Tirolo iperconservatore di Andreas Hofer, vero talebano antinapoleonico, come è ben descritto nel bellissimo film di Xaver Schwarzenberger che ho visto qualche anno fa a Vienna, e non da noi.

Anche l’effetto sociologia è inscrivibile in questa dimensione di inevitabile apertura al rischio per chi non vuole e non può chiudersi nella dimensione rassicurante della dimora confortevole ma soffocante, ricca e autosufficiente. E se certo ci è voluta l’astuzia e l’intelligenza di un solandro per immaginarlo, è stata poi la risposta non univoca della città all’arrivo di studenti e docenti da tutt’Italia a trasformarlo in un’occasione di definitiva sprovincializzazione, il cui effetto ancora dura nella fisionomia dell’attuale, ben più ampio ateneo. L’occasione della ricorrenza del 20 settembre mi ha comunque sorpresa positivamente: il giorno della breccia di Porta Pia è stato scelto infatti come data di fondazione di alcune associazioni laiche, come la Società italiana di filosofia, nata esattamente cento anni fa a Roma, a cui per decenni i cattolici non parteciparono proprio perché ambiente di cultura positivista, progressista.

Forse non tutti i laici trentini possono essere definiti semplicemente come non chierichi, cioè come quei credenti che stanno fuori dal presbiterio, ma come persone libere e attive, capaci di dare ancora un contributo significativo alla storia e alla cultura di questa provincia e non solo.