Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca

Trento 1953

Il “Viaggio in Italia” di Guido Piovene cominciò dalla nostra regione. Con risultati discutibili...

Quinto Antonelli

Sul Sole 24 ore di domenica 28 gennaio è apparso un articolo che poi ha incuriosito anche i quotidiani locali: “In Trentino sulle orme di Piovene”. In realtà del Trentino si dice assai poco: per ricordare il centenario della nascita di Guido Piovene (Vicenza, 1907 - Londra, 1974) e il suo “Viaggio in Italia”, uscito giusto cinquant’anni fa, il giornalista Antonio Armano si è recato nei luoghi da cui quel viaggio era partito, Bolzano, Terlano e Bressanone. Ma lì si è fermato: lì ha scoperto la “movida bolzanina”, il museo di Ötzi, i rustici residenziali, magiche prospettive di portici, piazze e chiese, “scorci nordici di un gotico fiabesco”. Gli è sembrato sufficiente. I giornalisti locali non hanno fatto meglio, con l’aggravante di non conoscere il volume di Piovene (ancora disponibile, volendo, in un’edizione Dalai Castoldi del 1999).

E allora leggiamole noi queste poche pagine dedicate al Trentino.

Dunque, il suo viaggio in Italia si compie tra il 1953 e il 1956 su incarico della Rai e i testi, che in un primo momento erano letti alla radio (accompagnati da registrazioni fatte sui luoghi visitati), vennero raccolti in volume che uscì per Mondadori nel 1957.

La prima tappa, da Bolzano a Belluno, si svolge tra il settembre e l’ottobre 1953. Piovene giunge a Trento con l’intenzione di cavarsela con poco. A Bolzano si era già fatto un’idea generale della regione e della sua autonomia, dello squilibrio economico tra le due province (Bolzano, per reddito e “potenza economica” è, nel ’53, al 38° posto tra le province d’Italia, Trento al 95°. Bolzano ha 4.600 disoccupati, Trento 23.000), della storia passata e recente (Maria Teresa e il regime fascista “quando si usava il manganello perfino contro chi portava le calze bianche secondo il costume locale”), dell’enorme sviluppo idroelettrico che stava cambiando persino il paesaggio.

Così Piovene inizia la visita alla città lasciandosi accompagnare pigramente da una guida turistica: solo più tardi, parlando col delegato vescovile dell’Azione Cattolica, darà un vero senso alla tappa. Intanto la città gli sembra graziosa e linda; il mercato della frutta “con le vecchiette in abito nero che vendono le noci, i mirtilli e i funghi dei boschi” ha una sua grazia modesta; con il sole il Castello del Buonconsiglio riacquista una letizia rinascimentale. I dintorni, come il lago di Toblino, sono romantici. (Anche l’aggettivazione è autunnale).

Ma Piovene ha fretta e si capisce che la città in sé gli interessa poco (avrebbe potuto entrare in un’osteria ed assaggiare il vino o semplicemente andarsere per le strade ed ascoltare i discorsi della gente, come farà molti anni dopo Guido Ceronetti in un altro memorabile “Viaggio in Italia”). Lo sollecita di più la vita politica, per quanto ad un veneto come lui non possa riservare tante sorprese.

Il riferimento a De Gasperi è obbligato, così come al forte movimento cattolico guidato da un clero “influente, avanzato in politica (nel plebiscito fu republicano) ma rigido, anche per se stesso, sui principi di fede e sulla condotta morale”. Il “nucleo” liberale gli sembra residuale, erede malinconico di quel razionalismo anticlericale ben più vigoroso all’inizio del secolo. La sinistra è ignorata, perché, come scrive nella premessa, “non si può vedere tutto”. Nomina Gigino Battisti per dire che volle “ostentatamente” funerali non religiosi e “la vedova Battisti”, privata perfino del suo nome, solo in quanto riferimento di una parte dei “socialdemocratici” della città (ma perché non accennare almeno ai suoi interventi in favore dei tedeschi del Sudtirolo, visto che l’argomento sembra interessarlo?).

Piovene ha fretta. È impaziente di raggiungere la meta successiva, l’amata Cortina, “rifugio romantico” della sua giovinezza. Tira via. Non vede neppure la presenza politica degli autonomisti, quel Partito Popolare Trentino Tirolese che nelle elezioni regionali del 1948 aveva preso il 16% dei voti e si era collocato alle spalle della Democrazia Cristiana. Un aspetto specifico del Trentino, che lo rende così diverso dal Veneto.

Ma Piovene è annoiato, gli sembra di aver perso del tempo. Finché non entra nei locali dell’Azione Cattolica per un lungo colloquio con monsignor Alfonso Cesconi (che Piovene venetizza in “Cescon”): qui capisce che la sosta di Trento ha una sua ragione, senso, sostanza, e non ha più fretta.

Monsignor Cesconi, delegato vescovile per l’Azione Cattolica ed eminenza grigia del cattolicesimo politico, la prende larga: gli racconta di come stavano le cose cinquant’anni prima, del riformismo sociale della Chiesa, del movimento cooperativistico (casse rurali, cantine sociali, società di allevamento, consozi vari). Quello che era, ancora nel ’53, il fondamento economico della Provincia.

1955, Trento, Teatro Sociale: congresso della Democrazia Cristiana.

Piovene è conquistato dalla parola del prete: da quella “precisione spontanea che danno la familiarità col latino, l’abitudine alla sottigliezza mentale che si spinge lontano ma resta legata alla corda degli studi ortodossi”. Gli sembra intelligentissimo, colto, modesto, psicologicamente duttile e moralmente intransigente e, addirittura, “caldo di cuore”. Ad un certo punto pensa che monsignor Cesconi possa incarnare “la situazione di Trento” (gli viene da pensarla in questo modo, ma neanche lui sa veramente che cosa diavolo significhi: una certa formazione controriformistica trentina? la cultura cattolica locale? un’antropologia religiosa? un abito mentale? un modo fare?).

Intanto monsignor Cesconi ribatte alle accuse di clericalismo: i sacerdoti sono votati alla cura delle anime, senza esercitare un’azione politica diretta. Certo esercitano una funzione educativa, hanno allevato una generazione di politici che ora occupano le istituzioni pubbliche in maniera capillare.

(Avrà saputo Piovene dell’effettivo ruolo dell’Azione Cattolica trentina: “nodo - come scrive Severino Vareschi - che raccordava l’ecclesiale e il sociale, l’ideologia e la politica, la propaganda e la devozione e, non da ultimo, provvedeva al rastrellamento di risorse economiche”? Avrà conosciuto Flaminio Piccoli, allora presidente diocesano della stessa Azione Cattolica e direttore del quotidiano “L’Adige”, di proprietà congiunta della DC, dell’AC e del Vescovo?).

Fatto sta che mentre monsignor Cesconi parla, sorge davanti a Piovene il panorama del Trentino: “E’ il regno della piccola proprietà, dei poveri Comuni autonomi, accentrati spesso nel prete. Il modo di vivere è arcaico; piccoli i desideri; pressoché nulla l’ambizione a distrazioni così dette moderne. L’orizzonte è occupato dal lavoro nei campi, dalla Messa domenicale e dai modesti svaghi al suono della fisarmonica. Si sviluppa negli individui un misto di obbedienza devota e di attaccamento caparbio all’indipendenza economica; ciascuno re della sua povera casa. Si hanno qui dunque le condizioni migliori della piccola proprietà, che infatti qui funziona bene, ancorata com’è con disciplina a casse rurali, consorzi, cooperative e cantine sociali”.

1952, Trento, Piazza Duomo: processione del Corpus Domini. (Foto tratte dal volume di Giuseppe Ferrandi “Con la guerra alle spalle”)

Naturalmente non conosciamo l’illustrazione di monsignor Cesconi, ma è certo che gli effetti visivi che balenano davanti agli occhi di Piovene sono deprimenti (stringono il cuore). Deprimenti e contraddittori: come facevano a funzionare bene tutte quelle piccole e povere cose? E infatti non funzionavano: possibile che Piovene non sapesse del rinnovato fenomeno emigratorio che proprio in quegli anni investiva il Trentino? E di quell’esodo pilotato dalla stessa Regione verso il Cile che ebbe inizio tra il 1951 e il 1952 (con risultati traumatici) ne avrà parlato monsignor Cesconi? Così, per completare il panorama.

Ma i pensieri di Piovene prendono un’altra piega. Ascoltando il monsignore capisce quanta influenza abbia avuto Trento sul resto d’Italia (ecco che la tappa trentina si giustifica!). Insomma gli sembra che la classe politica democristiana abbia tentato di “trentinizzare” l’Italia, “creando artificialmente una condizione analoga dove gli orizzonti morali sono ben differenti: dove il prete non ha voce in politica e il contadino sogna da cittadino”. Piovene dice e non dice, ma, se interpreto bene, l’intuizione ha un suo valore: detto diversamente, il Trentino avrebbe esportato un modello egemonico (basato sulla triangolazione Azione cattolica-partito-opere economico-sociali), che però riflette anche le paure della Chiesa nei confronti di una società industriale e secolarizzata.

Capito questo, Piovene se ne va verso Cortina, dove piove, fa freddo e gli alberghi sono chiusi.