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QT n. 4, 24 febbraio 2007 Servizi

Lettera da Verona

Centri sociali: mentre Pacher sfratta l’ex-Zuffo, Interzona decide a Verona il prossimo sindaco.

Scrivo a caldo queste righe dopo avere letto che il sindaco Pacher ha concesso agli ex-occupanti dello Zuffo l’uso di un tendone. Credo di avere sottostimato la capacità di ironia del sindaco: evidentemente voleva mandare un messaggio tipo “Gli orsi devono stare nei circhi!” o qualcosa del genere. Comunque seguiranno commenti e polemiche ed io qui non voglio entrare.

Voglio invece raccontare una vicenda simile, quella del gruppo di “Interzona”, che dagli anni Novanta opera nella zona degli ex Magazzini generali a Verona. Il retroterra culturale degli ex-Zuffo e degli Interzona è grosso modo simile: mescola un po’di spirito libertario alla Berlino degli anni d’oro ad un po’ di cultura alternativa stile post-punk e altre controculture varie.

Da qui l’attività di concerti di rock alternativo e teatro d’avanguardia, approfittando di uno spazio di archeologia industriale tanto cadente quanto suggestivo.

Se poi passiamo alla politica, non è che questa sia gente che vota per la legge e l’ordine, anzi. Tuttavia, al contrario delle esperienze dei Centri Sociali Autogestiti di quegli anni, Interzona ha sempre mantenuto un basso profilo: ricordo a malapena qualche manifestazione contro il razzismo e poco altro. Non che fosse un collettivo disinteressato alla politica, anzi! Tuttavia non si sono mai presentati alla città attraverso l’attività politica, ma solo attraverso quella culturale.

Ma andiamo con ordine. Negli anni Ottanta a Verona gli spazi giovanili erano inesistenti. Parlo di sala-prove per gruppi, o locali da concerto che fossero vagamente alternativi al bar sotto l’angolo. Per quanto molti dei miei coetanei ci provassero, la risposta dell’amministrazione comunale era sempre picche: “Spazi non ce ne sono!”, ma si capiva che se ci fossero stati non li avrebbero certamente dati a sedicenti musicisti come noi. Così si favoleggiava della vita a Bologna, di sale da concerto come il QuBo (credo si scrivesse così, ma la memoria...) e delle sale prove comunali gratuite. Intendiamoci, non è che avessimo così bisogno dei politici: Verona è grande e le nostre soddisfazioni ce le siamo prese lo stesso.

Poi però, ai primi 90 è successo qualcosa di incredibile. Tutti quelli che ci dicevano sempre di no, che non c’era posto per i musicisti e che i “locali fracassoni” dovevano chiudere tutti alle undici, ebbene: tutti questi politici finirono in galera. Sì, proprio così! Quasi tutti gli esponenti del pentapartito veronese hanno avuto guai con la giustizia per effetto di Tangentopoli. Le statistiche nazionali dicevano che, in proporzione al numero di abitanti, Verona era la città più inquisita d’Italia.

Il risultato fu che, col sindaco e mezzo Consiglio comunale in galera, Verona per circa sei mesi fu governata da un Commissario del governo.

E qui avvenne il miracolo. Tra le varie scartoffie che giravano per il Comune saltò fuori questo progetto. C’era una associazione che chiedeva di affittare un pezzo di uno stabile glorioso ma cadente, la vecchia cella frigorifera degli ex-Magazzini generali, per svolgerci attività culturali. Un posto degradato, dormitorio per immigrati nella notte, un luogo che nessuno avrebbe mai potuto utilizzare. Avrebbero pagato un equo affitto al Comune, avrebbero pagato i lavori di miglioria (bagni e riscaldamento, mica uno scherzo: si trattava di indebitarsi!), in cambio della sicurezza di lavorare là dentro per diversi anni come associazione culturale.

Improvvisamente, quello che era impossibile per tante buone ragioni nell’era pre-Tangentopoli (anche allora era questione di procedure, liste d’attesa, carte da bollo e regolamenti), divenne realistico quando Verona fu governata da un anonimo funzionario.

Il Commissario del Governo fece due conti molto pragmatici: non aveva clientele elettorali a cui dare conto e si accorse che con quell’associazione la città faceva un affare. Sistemava uno stabile malridotto e fatiscente e in più ne avrebbe ricevuto l’affitto. Meglio di così... Fu così che iniziò l’altalenante serie di fortune e sfortune di Interzona. Parlo del punto di vista culturale, ovviamente.

Quanti concerti altrimenti inascoltabili e capodanni indimenticabili! Per i concerti sembrava ci fosse una predilezione per i gruppi più ostici concepibili. Poi puntarono sul teatro, inguardabile anche quello. Se facevano cinema, dovevano essere i cortometraggi di qualche bulgaro... te li raccomando! Scelte discutibili, controcorrente e autolesionisticamente anticonformiste... però Interzona c’era. Un delirio, ma chi l’ha vissuta e la vive tuttora deve divertirsi non poco. E anche noi della città, almeno sapevamo che c’era qualcuno che non si lamentava e basta, che lottava contro l’apatia e che si rimboccava le maniche. Ed infine produceva una cultura che era al di fuori dei dettami televisivi.

Il tempo passa, i sindaci cambiano, Sironi, di Forza Italia, preferì la filosofia del vivi e lascia vivere e Interzona ha resistito per due mandati di centro destra. Poi è stata la volta di Zanotto, sindaco per il centro-sinistra, del giro della Verona delle banche, e i rapporti tra Interzona e la politica si sono fatti più sereni. Poi però l’area dei Magazzini Generali dovette essere completamente ristruttarata e Interzona, nel 2005, ha chiuso le programmazioni per un anno e mezzo.

Poi, a fine 2006, la notizia: Interzona riapre per San Silvestro, come nella mitica serata inaugurale del 1993! E il Capodanno di quest’anno - almeno secondo chi ci è stato - è stato incredibile.

Nella ristrutturazione generale della zona dei Magazzini Generali, Interzona ha visto garantito un suo nuovo spazio, come riconoscimento dell’attività culturale svolta in piena autonomia per tutti gli anni trascorsi. E il prestigio dell’associazione lo si poteva vedere in modo tangibile: code per entrare fino alle cinque della mattina. Dentro Interzona, addirittura, il sindaco Zanotto a stringere le mani a tutti, che si lustrava gli occhi per tanto successo pre-elettorale. Già: perchè a primavera a Verona si rivota, e quindi perchè trascurare questo piccolo cimelio elettorale?

In realtà Interzona ha avuto un altro colpo di fortuna, inserendosi nel complesso gioco della ristrutturazione dell’area dei Magazzini Generali. Una zona che è passata di proprietà dal Comune alla Fondazione CariVerona e che pare destinata ad accogliere generiche attività culturali. In questo contesto, gli amministratori della Fondazione hanno avuto l’accortezza di riconoscere l’importanza della cultura contemporanea svolta da Interzona, con altruismo e spirito civico non sempre corrisposti pienamente dalla classe politica.

C’è una morale in tutto questo? Qualcosa che accomuna le due esperienze, Zuffo e Interzona?

Da un punto di vista generale, l’occupazione di stabili industriali in disuso avviene in tutta Italia almeno a partire dagli anni Ottanta. Le forme che prende l’occupazione ha due versanti, un lato “artistico”, in quanto nella fabbrica abbondonata si può suonare tutta la notte senza problemi, ma anche un lato “politico”: nell’occupazione si perseguono forme di antagonismo rispetto ai temi dominanti dell’agenda politica. In certi casi il lato politico serve a giustificare il metodo sbrigativo dell’occupazione, inoltre semplifica la vita: non si paga la Siae e visto che sei “estremista”, meglio lasciarti in pace. Così l’occupazione va avanti per anni, vedi per esempio il caso del CSA Pedro di Padova. Però senza il lato artistico questi centri perderebbero rapidamente le forme di consenso e contatto con la realtà urbana. Sono gli spettacoli che rendono vivi questi luoghi, molto più dei seminari, pur lodevoli, di democrazia diretta o sostegno al terzo mondo.

Da quel che si è capito, grazie anche Questotrentino, a Trento negli ex-Zuffo convivono esattamente queste due anime, e con queste due anime il sindaco Pacher poteva tenere un atteggiamento meno burocratico. Invece di farne una questione di leggi e regolamenti, liste d’attesa e richieste formali, poteva prendere atto che le borghesissime associazioni culturali trentine mai e poi mai si sarebbero sporcate le mani ristrutturando uno stabile cadente, come è successo alla Zuffo. Avrebbe potuto ringraziare dello sforzo, chiedere un affitto e fare un ragionamento di questo tipo: “Vi do la palazzina e se fate concerti seri vi do pure i soldi; ma se a Trento vedo una bandiera USA bruciata, vi sfratto tutti di nuovo!”. Non ne avrebbe guadagnato tutta la città?

Al contrario, il sindaco ha sposato l’impostazione al problema data dalle destre, in cui tutto si riduce a una questione di carte bollate e regolamenti. Con delle conseguenze assurde: le carte dicono che la palazzina invece di essere usata va abbattutta: complimenti per l’efficente gestione del demanio pubblico!

Un sindaco privo della creatività e dell’empatia di un buon politico, ma anche una destra che ha perso la sua occasione. A cosa serve infatti sbraitare contro i no-global in una Provincia dove regna la pace sociale? Sarebbe stato ben diverso se la destra avesse approfittato della vicenda per una critica, ben più incisiva, della politica fatta di contributi a pioggia alle associazioni culturali amiche.

Proprio con la loro radicalità quelli dell’ex-Zuffo dimostrano l’arbitrarietà eccessiva che separa il mondo delle associazioni sovvenzionate, con i loro rituali della politica provinciale, da tutto il resto del mondo. Un mondo che può non essere molto lontano dal centro destra, se si pensa che anche l’imprenditore del “SoulTrain”, locale da concerti di Trento, sta avendo i suoi guai. Infatti deve chiudere il proprio locale alle undici di sera, anche in questo caso colpevole di troppo successo e impigliatosi in uno dei tanti regolamenti che danno all’amministrazione pubblica un potere forse eccessivo nei confronti dell’iniziativa privata.