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QT n. 5, 10 marzo 2007 Servizi

La sinistra senza Se e senza Ma: dove va?

Come, per seguire la coscienza, si trascurano le conseguenze: gli esiti deleteri dell’indisponibilità al compromesso della sinistra dura e pura.

Quale rapporto tra etica e politica? Tra grandi finalità e inevitabili compromessi? Il tonfo del governo Prodi, dovuto ai puri e duri della sinistra radicale, ha riaperto queste tematiche. Vecchie almeno quanto la democrazia.

Max Weber

Qui vogliamo ragionarci, perché il discorso implica conseguenze di grande portata.

“Non me la sentivo di votare per l’intervento in Afghanistan. E’ una questione di coscienza” ha dichiarato il senatore Franco Turigliatto (Rifondazione Comunista). Analoghe le parole di Franco Rossi (Comunisti Italiani).

Coscienza e politica non è una tematica nuova, dicevamo. La aveva esemplarmente sviluppata, come rileva nel suo editoriale Renato Ballardini, Max Weber, distinguendo tra l’etica dei principi, che porta ad agire in base ai propri principi, e l’etica della responsabilità, che pone alla base dell’agire la valutazione delle conseguenze. La seconda, dice Weber, è l’etica propria della sfera politica.

E infatti i nostri duri e puri invece votano “per obbedire alla propria coscienza”; trascurando le conseguenze. Prodi cade? Vabbè. Gli succede un Berlusconi 3 che i soldati li manda non solo in Afghanistan ma anche in Iran? “Non li manda con il mio voto”.

Come appunto dice Weber: viene a mancare la responsabilità.

In realtà il governo Prodi non è caduto. Ma della successiva ricucitura di una maggioranza traballante è forse utile (oltre il folklore politicante di queste settimane di dichiarazioni incrociate puntualmente contraddette) approfondire gli esiti di fondo.

Di fatto la posizione dei duri e puri ha evidenziato una difficoltà della cosiddetta “sinistra radicale” (usiamo anche noi questo termine, anche se spesso caricato di significati negativi da parte della stampa moderata): la difficoltà a gestire al proprio interno il compromesso.

Tutte le alleanze tra forze diverse presuppongono la mediazione, il compromesso. E l’alleanza di centro-sinistra è notoriamente molto ampia, da Mastella a Caruso: per tenere assieme tutti, sono indispensabili mediazioni ampie, compromessi continui, i cui risultati di volta in volta scontenteranno questo o quello.

Dentro questa cornice, la sinistra radicale ha finora svolto un ruolo positivo, anzi, prezioso. Ha posto all’ordine del giorno tutta una serie di tematiche di vitale importanza: la degenerazione della flessibilità del lavoro, la qualità della vita dei pensionati di oggi e di domani, il senso politico dei nostri interventi militari all’estero, la laicità dello Stato. Tutti temi di grande, oggettiva importanza, sui quali il confronto è stato ampio, ha spesso coinvolto la società ed ha partorito esiti ancora solo provvisori, certamente discutibili, ma non indegni.

Bene, tutto questo viene messo a repentaglio dal manifestarsi di un’indisponibilità al compromesso. Una parte della sinistra radicale non ci sta più.

Il senatore Fernando Rossi

Le conseguenze sono due.

La prima è che – eliminata per varie ragioni la soluzione del ritorno alle urne – il governo si è di fatto riposizionato al centro. Inevitabilmente. Se non si può più contare sui senatori dell’estrema sinistra, è giocoforza coinvolgere quelli disponibili di centro-destra. Di qui l’acquisto di Follini, le blandizie all’argentino Pallaoro, la nuova centralità di Mastella e addirittura di Andreotti. Cose che si pagano. Proprio sul piano dei contenuti: i Dico, le pensioni, Vicenza. Bel risultato.

Seconda conseguenza. La maggioranza si è scoperta non più autosufficiente. Può andare in minoranza, su questo o su quel provvedimento. Ed ha quindi ribaltato il proprio precedente assunto: prima si diceva, se siamo in minoranza si va al voto; ora si dice, su ogni provvedimento può esserci una maggioranza variabile. Si accettano i voti del centro-destra. Anche queste sono cose che si pagano, ancora sui contenuti: temi come il conflitto di interessi, la legge sulle Tv, le leggi ad personam, la giustizia azzoppata, su cui già prima c’era una colpevole timidezza, sono scivolate fuori dell’agenda politica.

Il che rimanda a una più generale critica alla sinistra intransigente: dietro la leggerezza nell’affossare Prodi, c’è l’indifferenza verso il berlusconismo. L’antiberlusconismo risulta così, come peraltro giustamente contesta il centrodestra, una carta soprattutto elettorale (a dire il vero, tale obiezione si può farla in varia misura a tanta parte del centro-sinistra): se invece fosse una convinzione profonda, comporterebbe una più partecipata preoccupazione verso temi come la legalità, la giustizia o il devastante impatto della sottocultura televisiva. L’equazione “Prodi=Berlusconi” che vediamo riapparire anche nell’intervista a Tommaso Iori (consigliere al Comune di Trento, con sofferenza uscito da Rifondazione dopo l’episodio Turigliatto, vedi “Battere la destra per fare una politica di destra? No, grazie”), ci sembra indice di una cultura ristretta, di una visione parzialissima della società e della politica; fatte le debite proporzioni, ricorda l’analoga cecità con cui negli anni ’30 il movimento comunista, attraverso la teoria del “socialfascismo”, equiparava socialisti e fascisti.

In conclusione: a forza di essere duri e puri, l’estrema sinistra ha spostato il quadro politico e – quel che più conta – l’azione di governo, verso il centro; ed ha aperto nuovi spazi al centro-destra. In cambio la coscienza ora è tranquilla…

C’è però, in questo sganciamento dalle istituzioni (e dalle responsabilità) un altro versante che preoccupa, e su cui vale la pena riflettere.

Il fatto che l’estrema sinistra avesse una rappresentanza istituzionale, aveva a nostro avviso un significato che trascendeva i due-tre seggi parlamentari. Significava dare rappresentanza, prospettiva politica, a certe istanze sociali. Ai “movimenti”, di cui (ancora “Battere la destra per fare una politica di destra? No, grazie”) parla Iori con una certa mitizzazione, ma che sono una realtà. Fatta di tante cose: generosità, ribellismo, disagio giovanile, nuovo protagonismo sociale, ricerca di nuova cultura. Attraverso tanti attori, che possono essere più o meno simpatici: centri sociali, terzomondisti, disobbedienti, pacifisti. In questi mondi c’è di tutto, spesso c’è l’attuale “meglio gioventù”. Ho riferito a due persone della Trento che conta, un parlamentare e un magistrato: “Ma lo sai che tuo figlio è andato in giro a scrivere sui muri frasacce antifasciste?” “Ah, bene! – mi hanno risposto entrambi, dopo un primo attimo di sconcerto – Vuol dire che ha idee e passione”.

Il senatore Franco Turigliatto

Idee e passione. Ma scarsa rappresentanza. Nelle istituzioni le porte gli si stanno chiudendo in faccia. Il disegno di Rifondazione Comunista, offrire loro una sponda nelle istituzioni, rischia di entrare in crisi. Se da una parte chi doveva tenere questi collegamenti si chiama fuori; se dall’altra le istituzioni si spostano a destra, questi giovani li si lascia a loro stessi.

Pronti a reprimerli, sull’onda delle richieste del perbenismo di destra.

L’esempio più chiaro viene forse da Trento. Dove il tremebondo sindaco Alberto Pacher (Lettera da Verona), timoroso di perdere i consensi dei benpensanti, non riesce ad avere un rapporto positivo con i giovani del Centro Sociale della ex-Zuffo, che in fin dei conti chiedono solo – pagando l’affitto – una sede dove svolgere le loro, meritorie, attività culturali. Andate a quel paese, se no in Consiglio Comunale i leghisti mi attaccano.

Dove li si vuole spingere questi giovani? Ai gesti irresponsabili?

E’ una politica che, se non fosse cieca, sarebbe delinquenziale.

Lo stesso tema, su altra scala, si pone a livello nazionale. Da una parte i rappresentanti di quest’area sociale, in crisi di coscienza, abdicano alle proprie responsabilità e si rifugiano nell’irrilevanza politica; dall’altra il quadro politico scivola a destra. Questi giovani rischiano di non trovare più interlocutori nelle istituzioni, solo gente che, per principio, vuole bastonarli. E a questo punto, non si sa dove possono approdare.

Il sogno del centrosinistra, riuscire a coniugare le richieste di un’area vastissima, dai centri sociali agli industriali, oggi appare più lontano.