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Drodesera, il lusso di poter rischiare

Non si ferma il Festival di Dro. Ha raggiunto risultati indiscussi: una notorietà solo pochi anni fa impensabile, l’attenzione dei giornali nazionali, i continui riconoscimenti che hanno gli artisti che (spesso ancora sconosciuti) ospita, e gli spettacoli che produce ("Il Corriere della Sera ha indicato, tra i dieci migliori spettacoli teatrali del 2006, due nostre coproduzioni" sottolineano con orgoglio gli organizzatori, Dino Sommadossi e Barbara Boninsegna). Non solo: la Centrale di Fies, sede permanente del festival, ogni anno più attrezzata e funzionale, una splendida architettura industriale che via via diventa centro culturale, funge ormai, da maggio ad ottobre, da base per varie compagnie di giovani, che qui provano le loro ultime produzioni.

"Signorine" di Virgilio Sieni, in scena il 30 luglio.

A questo punto, ci si aspetterebbe che l’organizzazione tirasse il fiato, limitandosi a consolidare il livello raggiunto. Invece no, il festival va avanti, cerca orizzonti nuovi, prendendosi qualche rischio. Il primo rischio è nell’apertura, veramente ampia, ai giovani, che rappresentano le speranze del domani, ma non è detto che siano la realtà dell’oggi. Gli spazi sono notevoli: un progetto speciale "Creazione contemporanea", che assieme ad altre realtà produttive ospita, sostiene e promuove cinque giovani compagnie, che vedremo esprimersi a Fies; lo spazio dedicato al (peraltro già affermato) Teatrino Clandestino, presente con ben 12 lavori; la ribalta per le compagnie vincitrici e segnalate al Premio Scenario; e poi altri spazi, al Teatro Sotterraneo, a Paola Bianchi, a Cosmesi.

Certo, il Festival non va allo sbaraglio: contemporaneamente presenta nomi affermati, alcuni dei quali habitués a Dro (Virgilio Sieni, Societas Raffaello Sanzio, Roberto Castello; e quel Rodrigo Garcia che con il suo teatro brutalmente provocatorio lo scorso anno ci aveva proprio stufato (della serie "Ma quand’è che finiscono di fare cazzate?"), ma che pure è ai vertici degli indici di gradimento della critica nazionale; e con l’olandese Lotte van den Berg si ripropone di bissare il successo ottenuto lo scorso anno dall’islandese Erna Omarsdottir. Però globalmente, scorrendo il programma delle dieci giornate, non può non balzare agli occhi l’ampiezza delle proposte gestite dalle nuove leve artistiche.

Il secondo rischio, secondo noi, è nell’aver puntato, in quest’edizione, su forme artistiche in cui la parola è secondaria o assente: danza e soprattutto performance. Scelta molto rigorosa - "Si erano proposti due personaggi di levatura e successo come Emma Dante e Davide Enia (già presenti a Dro negli anni scorsi, e decisamente affermati n.d.r.), ma abbiamo dovuto a malincuore dire di no, per tenere una coerenza di linea" ci dicono gli organizzatori – ma tutt’altro che tranquilla. La performance è un genere molto difficile; e secondo noi è attualmente arenato in un minimalismo – di gestualità, di azione e, molto spesso, di emozione – che non ci sembra portare da nessuna parte. Vedremo.

Non basta. Il festival apre a una terza scelta, anch’essa tutt’altro che scontata e che potrebbe suscitare le solite noiose polemiche. Si tratta di una sezione dedicata al tema "Arte e pornografia". Gestita con rigore (la curatrice si è laureata - alla Cattolica! - con una tesi sull’argomento), la sezione, ospitata in una parte della Centrale vietata ai minori e allestita come quartiere a luci rosse, indagherà, con humour (vedi il porno-karaoke) ma anche con serietà, sulla pornografia nel mondo odierno, in particolare sul "realcore", il porno verace dei siti Internet fai-da-te.

In conclusione: scelte coraggiose, che indicano la volontà di non riposare sugli allori, di cercare nuovi orizzonti. Complimenti.