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Bilinguismo di classe

Imparare davvero l’altra lingua? Basta andare in una scuola privata...

L’esame di patentino di bilinguismo, questo bar/mitzvah della sudtirolesità, questa prova di iniziazione per diventare cittadini/e con diritti o lavoratori e lavoratrici nella terra dell’autonomia etnica, fa di tanto in tanto parlare di sé. Tanto è importante il burocratico certificato, suddiviso in quattro livelli dall’A al D, tanto poco importante sembra essere per i dirigenti politici la vera conoscenza delle due (tre) lingue. Anzi.

Nei giorni scorsi sono stati resi noti i nuovi dati sugli esami e sono risultati di cui i responsabili politici della scuola non possono davvero andare orgogliosi. In tutti i livelli la percentuale di promossi si è sensibilmente ridotta. Appena più della metà dei candidati supera il più difficile, mentre nel 2001 era il 66,5 per cento. Preoccupano i risultati del patentino di livello B, che viene richiesto nell’impiego pubblico come requisito per i posti riservati ai detentori del diploma di maturità. Solo il 23,8 per cento l’ha superato. Alla fine del corso di studi superiori dunque metà degli studenti non sono sufficientemente bilingui. La cosa non sembra preoccupare il vertice della Provincia, che è consapevole che l’insufficiente conoscenza della seconda lingua riguarda sia i giovani e le giovani di lingua italiana che quelli di lingua tedesca. Gli unici che sfuggono sono i ladini: il trilinguismo delle loro scuole di valle dà i suoi buoni frutti.

Ma ciò non è sufficiente per convincere i rigidi tutori della purezza etnica a estenderne il modello alle scuole di lingua italiana e tedesca. Mentre gli Stati dell’Unione Europea e non solo si danno da fare come matti per crescere nuove generazioni plurilingui, e la conoscenza delle lingue si prospetta come la condicio sine qua non della economia globalizzata, le scuole sudtirolesi di regola non producono cittadini bilingui. Non è un caso, ma l’effetto della volontà precisa della dirigenza politica.

La strumentalizzazione da parte del partito etnico di maggioranza assoluta del principio della tutela della scuola in lingua madre, contenuto nell’articolo 19 dello statuto, ha portato al boicottaggio sistematico di ogni sforzo dei docenti. Ci sono stati gli anni degli scambi vietati fra scuole di lingua diversa entro i confini sudtirolesi, poi il divieto dell’immersione, cioè del metodo dell’uso veicolare della lingua, la proibizione di diverse modalità didattiche.

Per far sì che i ceti ricchi sfuggissero a queste ridicole imposizioni e per impedire che gli imprenditori intelligenti mandassero i figli nelle scuole italiane, si sono finanziate le scuole private, dove i metodi didattici moderni vengono – eccome – usati; a tal punto che a Bolzano non esiste un liceo classico di lingua tedesca pubblico, ma solo privato e chi non sia di religione cattolica o non voglia dare un’istruzione confessionale ai propri figli, li deve mandare a Merano. Costretti a far conto sui trasporti pubblici, che non sembrano affatto avere come loro obiettivo di far arrivare gli studenti a scuola all’ora dell’inizio delle lezioni, e ad altre difficoltà logistiche, vedono ridotto il loro diritto all’accesso all’istruzione. Così molti/e giovani sono costretti/e a fare i salti mortali. Comunque non ne risente solo la formazione linguistica, e qui di essa si vuole parlare.

Sembrava che i tempi dei divieti prepotenti fossero passati, ma ora la SVP sembra intenzionata a introdurre nella legge sulla scuola la soppressione delle sperimentazioni che con sistema molto "italiano" avevano permesso di introdurre almeno nelle scuole con lingua d’insegnamento italiana metodi didattici moderni, ancorché ufficialmente vietati dal partito etnico dominante.

Ci sono dei momenti nella storia recente del Sudtirolo, in cui non si crede ai propri occhi. Alcune decisioni prese dalle autorità ricordano certe superstiziose pignolerie della burocrazia asburgica risalenti ai tempi di Francesco I o di Ferdinando I, capaci di paralizzare per decenni ogni innovazione, contro ogni buon senso. Alla fine degli anni Ottanta, già in vista della chiusura della vertenza, venne approvata la norma di attuazione che prevedeva l’esame linguistico per i bambini che volessero frequentare le scuole per l’infanzia dell’altra lingua. Qualcuno che diede il proprio poco convinto assenso confidava sulla non applicazione di una tale previsione. Eppure parecchi bambini furono respinti dalle scuole di lingua tedesca, con la scusa che non erano all’altezza, mentre nei centri maggiori le scuole italiane erano praticamente mistilingui. Dopo lo scandalo suscitato dal divieto di scambio fra due licei di lingua diversa, si approvò una legge in cui lo scambio veniva permesso, ma le classi che lo attuavano potevano vedersi solo una volta.

E’ penoso ricordare che queste e altre norme draconiane si basano su pregiudizi, su affermazioni prive di fondamento scientifico, sulla prepotenza che non presta orecchio agli studiosi di ogni parte del mondo che inutilmente si affannavano a testimoniare come l’apprendimento di una seconda lingua – e anche di una terza – rafforzi la conoscenza della prima. Mentre le famiglie si amareggiano nel veder crescere figli per niente bilingui e si svenano per mandarli all’estero, la strumentalizzazione dei diritti degli uni contro gli altri sembra non avere mai fine. Ora la Commissione dei sei ha dovuto approvare una norma di attuazione che tiene conto della sentenza della Corte di giustizia europea, emessa nel "caso Angonese", un aspirante dipendente provinciale respinto perché, pur bilingue, non aveva il patentino. A malincuore verranno ammesse altre certificazioni, come ad esempio i diplomi del Goethe Institut. La richiesta di far valere l’esame di maturità, in cui la seconda lingua è sempre presente, fatta da alcune forze politiche, anzitutto quelle di destra, viene sdegnosamente respinta.

Pur comprendendo che non si possono adottare scorciatoie, si rimane indignati di fronte all’indifferenza calcolata di quanti, dopo avere fatto di tutto per impedire alle nuove generazioni di crescere plurilingui, le tartassano con una prova che non corrisponde per nulla a quanto nel percorso scolastico è stato loro offerto per prepararvisi..