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QT n. 5, 8 marzo 2008 Servizi

Debiti sì o no?

Studenti trentini graziati dalla mannaia degli esami di riparazione? Rischi e potenzialità di una scelta educativa che ha sollevato molte polemiche. E che rischia di ignorare il nodo della questione: a cosa serve andare a scuola?

La Provincia Autonoma di Trento è l’unica in Italia che non ha recepito la direttiva del ministro Fioroni relativa alla cosiddetta reintroduzione degli esami di riparazione, che impone l’obbligo ad ogni studente di recuperare a settembre eventuali insufficienze accumulate a giugno, pena la non ammissione alla classe successiva. In altre parole, chi non supera a settembre le verifiche nelle materie insufficienti viene bocciato. Sistema piuttosto simile a quello in vigore fino al 1995, prima che venissero introdotti il concetto di "debito formativo" e la formula dei corsi di recupero. In realtà, anche la direttiva del Ministro Fioroni stabilisce che ogni scuola sia obbligata a organizzare corsi di recupero estivi per dare la possibilità agli studenti di arrivare preparati alle verifiche di settembre ed evitare così la bocciatura.

Corsi "estivi"? Possiamo immaginare lo sgomento dei dirigenti scolastici e dei docenti al solo pensiero di riaprire la scuola durante il mese di agosto per svolgere i corsi di recupero agli studenti, che per un motivo o per l’altro a giugno non hanno ottenuto la sufficienza in qualche disciplina. Ed in effetti, tale deve essere stata la reazione anche in Provincia, dal momento che il presidente-assessore Dellai è subito corso ai ripari e, avvalendosi dell’autonomia in materia di politica scolastica, ha bloccato la direttiva ministeriale e l’ha sostituita con un’altra che ricalca la vecchia impostazione (per una terza proposta, quella della Consulta degli Studenti,  vedi Se perfino gli studenti si mobilitano...).

Analizziamo in breve cosa prevede la direttiva Dellai (per una sintesi di entrambe le delibere si veda lo specchio riassuntivo a fianco).

Dellai vs. Fioroni

Delibera Fioroni

- In caso di insufficienze a giugno si viene rimandati a settembre (né promossi né bocciati).
- Durante il periodo estivo la scuola deve organizzare corsi di recupero.
- A settembre, prima dell’inizio delle lezioni, si sostiene un esame nelle discipline insufficienti.
- Qualora anche un solo esame non venga superato si viene bocciati.
- Nessuno arriva all’Esame di Stato con debiti formativi.

Delibera Dellai

- In caso di insufficienze a giugno o si viene bocciati o si viene promossi con l’obbligo di recuperare i debiti nel corso dell’anno scolastico successivo.
- La scuola organizzerà corsi di recupero durante il mese di settembre.
- Entro la fine di settembre si sosterrà una verifica nelle materie insufficienti.
- Chi non supererà positivamente la verifica di settembre potrà farlo nel corso dell’anno.
- In caso di mancato recupero delle insufficienze nel corso dell’anno il consiglio di classe a giugno potrà bocciare lo studente.
- Per essere ammessi all’Esame di Stato basta che il consiglio di classe consideri "complessivamente positiva" la posizione di uno studente.

A differenza che nel resto d’Italia, in Trentino lo studente il cui profitto a giugno venga ritenuto insufficiente in una o più discipline viene bocciato (qualora le insufficienze siano ritenute particolarmente pesanti dal consiglio di classe), oppure viene promosso con l’obbligo di studiare autonomamente durante l’estate e di partecipare a settembre ai corsi di recupero organizzati dalla scuola. Entro il 30 settembre, inoltre, lo studente dovrà sostenere una verifica per dimostrare di aver colmato le proprie lacune. Qualora, però, ciò non avvenga, lo studente avrà un anno di tempo, secondo le più diverse modalità decise da ogni singolo Istituto, per recuperare il "debito". In caso di mancato recupero entro giugno, il consiglio di classe potrà decidere di bocciarlo.

E’ bene evidenziare il verbo: "potrà", e non "dovrà". E’ teoricamente possibile, quindi, che in casi particolari il consiglio di classe possa decidere di promuovere uno studente nonostante egli non abbia ancora recuperato i propri debiti pregressi. Una bella differenza con il modello previsto da Fioroni, per il quale, invece, chi già a settembre non ha dimostrato di aver colmato le lacune viene necessariamente respinto.

Trattasi di strana forma di rigorismo romano e di lassismo trentino? A quanto sembra, il dibattito emerso in provincia a seguito della contro-delibera di Dellai si è giocato proprio su questa dicotomia: rigorismo-lassismo. Eppure, a ben guardare, la proposta nostrana non è di per sé indice di permissivismo estremo e di mollezza educativa. Consentire ad uno studente di avere, oltre all’estate, anche un anno di tempo per ripianare i debiti non è insensato, poiché permette di realizzare opportune strategie di recupero in un tempo adeguato. Tuttavia, è evidente che questo sistema, se lasciato a se stesso, può produrre nefaste conseguenze.

Quali? Ad esempio, l’idea che non sia importante impegnarsi per superare le proprie difficoltà, poiché la promozione è pressoché automatica. O che il concetto stesso di "debito" non sia poi così rilevante e che possa essere diluito nel tempo, fino addirittura a scomparire senza essere saldato. Per questo motivo il ruolo assegnato al consiglio di classe, e di conseguenza ai docenti, è strategico.

Come ci conferma Michele Dossi, docente del liceo scientifico "Da Vinci" di Trento: "Il consiglio di classe è sempre sovrano e ha il compito di valutare attentamente ogni singolo caso. Tuttavia è bene darsi delle regole. Nel nostro Istituto, ad esempio, si è deciso che l’esito della verifica di settembre abbia un valore particolare, tanto che al momento dello scrutinio di giugno può essere decisivo per stabilire se promuovere o respingere uno studente".

Anche in altre scuole trentine si è molto discusso (e si sta ancora discutendo) sulle modalità con cui attuare la direttiva di Dellai. Ad esempio all’Istituto "La Rosa Bianca" di Cavalese si è optato a metà anno per la finestra di sospensione della durata di una settimana, durante la quale si sono svolti i corsi recupero e, parallelamente, i corsi di potenziamento per coloro che non avevano debiti da assolvere.

La scuola che vorrebbero

Concorrenza, prima di tutto

Cosa fare per migliorare la scuola? Una cosa è certa: un’ennesima riforma studiata dal ministero non servirebbe a nulla. Bisogna introdurre più concorrenza fra le scuole. Per farlo, occorre dare alle famiglie la possibilità di scegliere: le scuole cattive rimarranno senza studenti e ci sarà la coda per iscrivere i figli alle migliori. Ma le famiglie devono essere informate. Le scuole dovrebbero pubblicare dati sui loro allievi: quanto tempo hanno impiegato a trovare lavoro? Quanto guadagnano? In quanto tempo si sono laureati? Dove, con che voti?

Francesco Giavazzi, economista

Il fascino di cambiare il mondo

Non è assolutamente vero che la scuola debba selezionare. A questo ci pensa già la vita. La scuola deve fornire anzitutto la fiducia di base di potere entrare nel mondo, con gli strumenti che le sono propri (insegnanti-libri-compiti), per capirlo meglio, il mondo, per interpretarlo, ed anche criticarlo e poi cambiarlo. La scuola deve sapere offrire questo fascino assieme alle asprezze della fatica dell’apprendimento e del sapere, contro l’idolo diffuso della facilità.

Giuseppe Raspadori, psicologo

Docenti, maestri di vita

Gli attuali curricola delle superiori poggiano sulla Riforma Gentile del 1923. Un secolo fa! Il mondo è cambiato, gli studenti arrivano a scuola con più informazioni e più abilità tecnica di noi docenti, non necessitano quindi di altre informazioni, ma di educatori preparati, di maestri che siano prima di tutto maestri di vita.

Letizia De Torre, Sottosegretario alla Pubblica Istruzione

In ogni caso ai dirigenti scolastici ed ai docenti spetta un compito impegnativo, per evitare che il sistema trentino si trasformi davvero in un bengodi del lassismo e della faciloneria. Per questa ragione, prima di tutto, se dagli insegnanti non parte un’attenta riflessione sugli obiettivi del loro lavoro, la scuola rischia di implodere e di diventare una farsa continua, incapace di fare quello che le compete, cioè educare.

Cerchiamo di essere chiari. Il tema dei debiti formativi, degli esami a settembre e di tutto quello che ne consegue parte dal fatto che alcuni studenti raggiungono determinati obiettivi ed altri no. Ebbene, a dispetto dei quintali di carte e di direttive sugli obiettivi educativi che passano a scuola, in concreto sono ancora pochi coloro che si pongono seriamente la domanda cruciale, che deve venire prima di qualsiasi altra riflessione: qual è lo scopo della scuola? Ovvero, cosa vogliamo ottenere a scuola, quali sono i criteri per cui possiamo dire che un ragazzo ha fatto un percorso adeguato o meno, che ha preso 7 invece che 5?

Si badi bene, sono interrogativi tutt’altro che vani. Una società, e in primo luogo la classe docente, non può evitare di chiarire che cosa vuole ottenere dal sistema scolastico. Solo allora, quando gli obiettivi della scuola saranno chiari e condivisi, sarà possibile tracciare i criteri di valutazione e stabilire di seguito chi può essere promosso e chi invece deve recuperare le lacune, e quali.

Sarebbe interessante chiedere a insegnanti, intellettuali, politici, agli stessi studenti, a che cosa deve servire la scuola. Si scoprirebbe, magari, che alcuni desiderano una scuola che prepari soltanto alla competizione del mercato e ad inserirsi quanto prima nel mondo del lavoro. O che altri attribuiscono alla scuola il compito di formarsi una coscienza morale per sapere che senso ha vivere e in base a quali valori. O che altri ancora considerano la scuola il luogo in cui si deve riflettere per abituarsi a risolvere problemi e trovare soluzioni. Se non ci si accorda su questo, è inutile accapigliarsi sulla sterile querelle rigorismo-lassismo.

Ancora oggi noi docenti ci ritroviamo, magari con un filo di angoscia, a dare un 5 o un 7 in base a criteri ballerini, fondati spesso sul "si è sempre fatto così". Non è più tempo di nascondersi dietro a un dito. E’ ora di esigere chiarezza. Cosa vuol dire "sufficiente" o "insufficiente" in matematica, o in inglese, o in storia? Significa ripetere a memoria una lezione? Oppure risolvere quesiti semplici e complessi? O sapersi vendere in modo adeguato a seconda del contesto (capacità altrimenti detta "arte della ruffianeria")?

Non è per nulla chiaro, almeno non per tutti. E finché non si risolverà questo nodo, a costo di mettere anche in discussione il classico modello dell’insegnante, spesso testardamente difeso dai sindacati, parlare di riforme, delibere, direttive sarà soltanto un buffo esercizio legislativo, lontano anni luce dalle esigenze dei ragazzi e dalla comprensione della gente.