Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca
QT n. 13, 28 giugno 2008 Cover story

Le caserme, gli amministratori, gli utopisti

Si spostano le caserme, si liberano 43 ettari in centro città per occuparne 27 in campagna, si acquisisce a buon prezzo spazio per un parco, per l’ospedale, per edilizia popolare: un’operazione urbanisticamente esemplare. Eppure pacifisti e Centro sociale protestano...

E’ stata notevole la mobilitazione contro le nuove caserme di Mattarello: un tentativo di blocco dei cantieri finito con un rude intervento delle forze dell’ordine, una petizione al sindaco, presentata da oltre cento persone, un’attività propagandistica che si è rapidamente estesa sui giornali attraverso articoli, e interventi di opinionisti terzi. Gli oppositori alle caserme – soprattutto un comitato di cittadini di Mattarello e il Centro sociale Bruno – hanno in poco tempo raggiunto l’attenzione della pubblica opinione. Al punto da costringere la Provincia a rispondere attraverso un pieghevole, distribuito a tutte le famiglie del sobborgo, che spiega le motivazioni e la portata dell’operazione.

Il depliant con il rendering delle caserme, distribuito dalla Provinia autonoma a tutte le famiglie di Mattarello.

E’ quindi indubbio che la mobilitazione contro le caserme ha saputo porsi all’attenzione.

Questo vuol dire che è nel giusto? Noi abbiamo seri dubbi, che qui presentiamo.

Attualmente le caserme sparse nella zona sud di Trento occupano un’area di 43 ettari. In zone un tempo periferiche, ma che ora sono divenute molto appetibili quando non decisamente pregiate, come quelle dell’area lungofiume. D’altra parte, il Ministero della Difesa, passato dall’esercito di leva a quello professionale, non ha bisogno di aree così ampie, mentre invece si trova a dover razionalizzare i propri insediamenti in funzione delle nuove esigenze.

Di qui un accordo del 2001 fra la Provincia e il Ministero: le caserme si spostano in un’altra area, più ridotta (27 ettari a nord di Mattarello), la Provincia acquista le aree e costruisce le strutture, e in cambio il Ministero cede i 43 ettari attualmente occupati. Costo dell’operazione: 192 milioni ai costi attuali.

La cosa si può valutare da diversi punti di vista. Incominciamo da quello immobiliare: la Pat acquista 43 ettari al costo di 215 milioni (immaginiamo pure che a consuntivo i 192 milioni crescano), il che vuol dire 5 milioni ad ettaro; per avere un termine di paragone, la società proprietaria dei terreni all’ex-Michelin ha messo a bilancio i propri 11 ettari a 110 milioni, cioè 10 milioni ad ettaro.

Insomma, dal punto di vista immobiliare, si tratta di un buon affare.

E da un punto di vista urbanistico? L’ente pubblico acquisisce vaste aree in zone strategiche della città: il lungofiume e i quartieri residenziali di Trento Sud. C’è la possibilità di ridisegnare ampie zone della città, di costruire servizi, case popolari (finalmente!), di realizzare, in continuità con quanto iniziato da Renzo Piano, il parco lungo il fiume da anni vagheggiato.

Manifestazione in prossimità del cantiere delle nuove caserme

A dire il vero, gli amministratori – soprattutto Dellai, e Pacher a ruota – hanno già localizzato in parte (20 ettari) di queste aree il nuovo ospedale, realizzazione molto discutibile (un nuovo ospedale quando quello "vecchio" è di quarant’anni fa, e l’attuale è stato appena ristrutturato da capo a fondo, ci sembra francamente un lusso fuori di testa, compatibile solo con la preoccupazione di assicurare comunque lavoro ai costruttori). Ma questo è un altro discorso.

Manifestazione in prossimità del cantiere delle nuove caserme

Rimane invece il disegno di fondo. Il metodo con cui si sviluppa la città.

E’ la metodologia in uso in quasi tutta l’Europa: l’amministrazione decide in quali nuove aree si debba sviluppare la città, le acquista a valore agricolo, le infrastruttura, le dota di servizi, e solo a quel punto le mette a disposizione dei costruttori. In Italia questa pratica civile, che azzera la speculazione sui terreni, non si attua: e così la nazione (e soprattutto i ceti deboli) devono sovvenzionare la rendita, mentre gli investitori (a cominciare dagli imprenditori) trovano più comodo investire in speculazioni che in aziende, e le città si sviluppano in malo modo, seguendo non la razionalità urbanistica, ma gli interessi di questa o quella cordata di immobiliaristi ammanicati col potere.

A Trento questo film lo abbiamo visto più e più volte. E si è ottenuto che le parti di città edificate nel dopoguerra – esclusa Madonna Bianca, dove infatti si è proceduto diversamente – sono le peggiori. E dove solo a posteriori, a costi spropositati, si è intervenuti a dare un po’ di razionalità e vivibilità: sistemando la viabilità, creando servizi, ricavando qualche area verde.

Anche dal punto di vista urbanistico non si può quindi che approvare l’operazione caserme. L’ente pubblico acquista a prezzi relativamente contenuti delle aree decentrate e le scambia con altre, ampie e strategiche, in punti delicati della città. Dove a quel punto si potranno operare gli interventi ritenuti più opportuni.

A questo punto si pone la questione: perché la protesta? Non è che su Mattarello si sia coagulato una sorta di partito del No a prescindere?

Due sono state le motivazioni dei contestatori.

Il blocco del cantiere delle nuove caserme: lo sgombero della polizia. (foto Sergio Rubini)

Quella iniziale è di tipo ambientale: si sfregia il sobborgo intaccando aree agricole. Quella successiva è pacifista: non si può permettere la costruzione di un insediamento militare.

Per entrambe ci sono delle obiezioni molto stringenti. Sulla prima: sarebbe ora di finirla con le contestazioni para-ambientaliste contro gli interventi pubblici. Quando ad acquistare terreni e a realizzare condomini è un immobiliarista, tutti zitti, quando invece è l’ente pubblico – soprattutto quando vuole realizzare edilizia popolare - ci si straccia le vesti.

Il blocco del cantiere delle nuove caserme: lo sgombero della polizia. (foto Sergio Rubini)

Sulla seconda motivazione: che c’entra il pacifismo con il trasloco di caserme già esistenti? Dove è lo scandalo se i militari vanno ad occupare aree più ridotte e decentrate?

E più in generale l’interrogativo di fondo. Non è che i movimenti di protesta abbiano difficoltà a focalizzare i problemi veri, e che si lascino guidare non da una conoscenza della realtà, ma da sommari pregiudizi ideologici?

Questi interrogativi siamo andati a porli ad alcuni esponenti del movimento "NO alla base militare". Ci ricevono, nel Centro Sociale Bruno, (estrosamente decorato, all’esterno e negli interni, da splendidi murales, alcuni vivacissimi, altri delicati) Franco Tessadri, consigliere circoscrizionale, del Comitato di cittadini di Mattarello, e Donatello Baldo e Stefano Bleggi del Centro Sociale.

Partiamo dal tema urbanistico, lo scambio di 43 ettari in piena città contro 27 in periferia. Dove è il problema?

Franco Tessadri, consigliere circoscrizionale a Mattarello.

Tessadri: "Queste permute sono realizzate su terreni demaniali, che sono pur sempre nostri. 43 contro 27, è la solita tiritera, ma questi 43 oggi sono sottoutilizzati, ne useranno da venti anni molto meno della metà. Se fosse un semplice spostamento, con 5-6 ettari avrebbero risolto il problema, in quanto le caserme attuali sono assolutamente sovradimensionate".

Baldo: "Che le caserme oggi siano in gran parte già dismesse, non c’è dubbio. Anzi, sono occupate da diseredati, come ci è capitato di vedere occupandoci dei senza dimora".

Proprio per questo l’esercito va ad occupare un’area minore. Rimane la positività dello scambio.

Baldo: "La grandezza dell’area ci dice cosa si intende farvi sopra, e su questo torneremo. Ma rimanendo al discorso urbanistico: non si possono fare le bomboniere in centro e le schifezze in periferia, poi la gente per forza si ribella.".

Tessadri: "Qualcosa si è mosso, sulla stampa ci sono stati gli interventi del consigliere provinciale Viganò, del sindaco di Villalagarina Manica, degli architetti Salvotti e Toffolon. Quest’ultimo ha sottolineato come si sarebbero più proficuamente tenere le caserme in un’area più ridotta a Trento, e salvare la campagna a Mattarello".

Bell’idea: tenere le caserme in Clarina, e fare costruire agli immobiliaristi come Dalle Nogare o Pisetta a Mattarello. E magari poi comperare gli appartamenti Itea da loro. Il fatto è che contro le speculazioni del solito giro di costruttori, comitati non ne sorgono.

Manifestazione davanti al Comune di Trento.

Baldo: "Il punto è che nessuno sa, nemmeno il sindaco, cosa ci metteranno dentro. Dellai ora parla di realizzare un Central Park, ma è evidentemente un’idea inventata sul momento. Per questo è un salvagente di democrazia il fatto che persone come noi siano andate a scartabellare negli uffici per avere più informazioni sul progetto".

Tessadri: "Non c’è stato coinvolgimento democratico: un’opera così impattante non è stata discussa. Ora, dopo la nostra mobilitazione, Dellai risponde, dopo un anno e mezzo che poniamo domande: ma risponde sempre le stesse cose".

Manifestazione davanti al Comune di Trento.

Baldo: "Questo è uno degli aspetti grotteschi: in questi giorni la Provincia distribuisce agli abitanti di Mattarello un opuscolo in cui spiega il progetto. Ma lo fa ora, quando dice che tutto è già deciso, con le ruspe in azione, non nel 2001, quando – secondo lui – era il momento giusto per contestare il progetto. L’informazione la danno non per aiutarti a decidere, ma per dirti che devi ingoiare quello che loro hanno deciso".

Nel 2001 c’è stata l’approvazione nel consiglio circoscrizionale di Mattarello?

Tessadri: "Allora è stata fatta un’assemblea, rivolta soprattutto ai contadini coinvolti; invece si sarebbe dovuto coinvolgere l’insieme dei cittadini. Anche perché i 30 ettari sono zone agricole di pregio che, come – teoricamente – dice il Piano Urbanistio Provinciale, sono un bene ambientale, di tutta la collettività, da tutelare. E invece cosa fanno? Si mettono d’accordo con i contadini attraverso adeguati indennizzi, e il problema ambientale per loro è finito lì. Bravi!".

Bleggi: "Pacher sostiene che i passaggi urbanistici sono stati eseguiti, hanno percorso il loro iter democratico; non possiamo pensare che questi passaggi - e così sarà per la Tav - possano risolversi con semplici consigli comunali o circoscrizionali. Questa mancanza di discussione, la sosteniamo non solo noi, che magari nel 2001 eravamo rivolti solo a Genova e il nostro movimento aveva un’ottica più legata ai fatti internazionali che al territorio; lo dice Annalisa Orsi, vicesindaco di Besenello, che denuncia come le Agende 21 nate per gestire il territorio, non sono in realtà operative".

Il sindaco Alberto Pacher riceve una delegazione dei manifestanti.

Confesso di non conoscere l’Agenda 21...

Bleggi: "Appunto. Agenda 21 è stata lanciata dall’Onu e finanziata dalla Pat; fanno riunioni, magari scarsamente partecipate, per raccogliere le idee dei cittadini per uno sviluppo sostenibile del Trentino. I ragazzi dell’Agenda 21 poi fanno sintesi, per creare un progetto urbanistico per zone fra più Comuni. Però non vengono prese in considerazione".

Passiamo all’aspetto pacifista. Se le caserme rimangono a Trento, che ci guadagna il pacifismo?

Bleggi: "In effetti il problema non è tanto urbanistico, ma morale. Per iniziare: siamo sicuri che non arrivino nuovi militari? Nei 30 ettari ci sarà un 30% di area sottoposta a segreto militare: in altre situazioni questo significa stoccaggio di armi pesanti".

Ma il segreto militare c’è anche nelle caserme attuali.

Baldo: "Il problema va visto all’interno dell’attuale evoluzione dell’esercito in senso offensivo. Fare una nuova base vuol dire attrezzare le caserme per questo nuovo compito dell’esercito".

Tessadri: "Il punto è che questa ‘evoluzione’ la paghiamo noi, con i 192 milioni a carico della Pat, che a consuntivo aumenteranno ancora".

Bleggi: "Così in realtà noi finanziamo investimenti per fare la guerra. Questo noi, in quanto pacifisti, non possiamo accettarlo. E a questo punto non ci interessa più di tanto se per l’ente pubblico si tratta di un buon affare. Non per niente siamo contro le banche che con la guerra fanno ottimi affari".

Baldo: "Parliamo di diminuzione delle spese militari, e poi ci troviamo a finanziare le nuove modalità di fare la guerra. Non possiamo non opporci. A questo punto ci fa anche sorridere la cosiddetta ‘Educazione alla pace’ promossa dalla Pat, con i contributi al Forum della Pace, ai Sentieri della Pace, ecc, quando poi usano molti più soldi per la guerra".

Conclusioni? Le lasciamo ai lettori. Per parte nostra diciamo solo che, pur condividendo poco o nulla delle motivazioni urbanistiche della protesta, non possiamo non sottolineare l’evoluzione dei ragazzi del Centro Sociale Bruno, passati da proteste generiche su obiettivi lontanissimi (Afghanistan, globalizzazione) a quelle concrete su temi ravvicinati. Su cui forse si può più facilmente sbagliare, ma anche incidere, verificare la correttezza della propria azione, e magari imparare dagli errori.