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QT n. 18, 27 ottobre 2007 Servizi

Centro sociale Bruno: dopo il trasloco

Il centro sociale si è spostato dall’ex Mayer alla vecchia dogana. Con quali prospettive?

"Sono sconvolta, ho scoperto adesso che Seba ha solo 15 anni!". La ragazza che ha denunciato con tanta enfasi il suo stupore ne avrà sì e no 17 di anni, forse 16. E’ un sabato sera e mentre i suoi coetanei si preparano per uscire, lei, con un manipolo di amici, pennello e spatola alla mano, sta aiutando a rimettere a posto i locali del nuovo centro sociale occupato, il Bruno, migrato nei locali della vecchia dogana, di fronte alla stazione della Trento-Malé.

E’ successo lo scorso 14 ottobre, quando gli occupanti hanno deciso in piena autonomia di abbandonare l’ex Mayer, edificio dell’Opera universitaria, teatro per sei mesi delle iniziative dei Disobbedienti, evitando così di finire nel circolo vizioso occupazione-repressione.

Quel giorno si tenevano, in Trentino come nel resto d’Italia, le primarie per il Partito Democratico: con un video ironico che fa il verso a quello di presentazione del "Vivaio", la scuola di formazione di Lorenzo Dellai, gli attivisti del Bruno hanno voluto sottolineare il contenuto politico del loro gesto.

"I fiori non nascono solo in un vivaio e la politica non si fa solo nei palazzi; - spiegano rubando e modificando leggermente le parole del presidente della giunta provinciale - un’altra politica entra in azione per riconquistarsi spazi e autonomia, per continuare un percorso che non può permettersi di arrestarsi o tornare indietro", scrivono sul loro blog (http://centrosocialebruno.blogspot.com)per spiegare la nuova occupazione.

"Più che il timore dello sgombero dall’ex Mayer – racconta Federico Zappini, uno dei portavoce del Bruno e nostra guida nei locali dell’ex Dogana – la decisione di andarcene è stata dettata dalla volontà di fare una scelta autonoma, per non farci dettare i tempi da altri".

Federico Zappini non ha 15, ma 25 anni, e accanto a lui, oltre ai "vecchi" militanti come Donatello Baldo e Stefano Bleggi, anche tante persone comuni, di tutte le provenienze: studenti medi, universitari, ricercatori precari dell’Irst, immigrati, insegnanti, figli di sindaci e di assessori comunali...

"Il nucleo duro – spiega Zappini – è composto da una cinquantina di persone, che si accollano le responsabilità più gravose. Poi c’è il giro largo, di quelli che ti fanno qualche favore, che ti danno un aiuto, un po’ di solidarietà". Infine ci sono gli "utenti", che partecipano alle iniziative: "Il Bruno ha compiuto un anno. Sono stati 365 giorni di iniziative, di musica, di dibattiti. Tutti autofinanziati, senza supporto finanziario da parte delle istituzioni".

Centinaia le persone che hanno frequentato il centro sociale nelle sue varie manifestazioni, dall’ex Zuffo all’ex Meyer. E che hanno fatto una scelta "politica", partecipando ad appuntamenti organizzati in spazi occupati, disobbedendo alla legge che sancisce l’intangibilità della proprietà privata, dimostrando di credere più nel dettato costituzionale, che ne determina anche i limiti in funzione sociale.

Ma un (nuovo) centro sociale per fare che cosa? E perché tanta insistenza nel rivendicare uno spazio autonomo, autogestito, al di fuori dei normali canali che legano solitamente associazioni e gruppi all’amministrazione pubblica?

"Spazi come questi – sostiene Zappini – servono a una città. Non so se ai giovani o ai meno giovani, non saprei fare un identikit di chi frequenta il Bruno. Quello che so è che il centro sociale è un posto in cui si sviluppa un nuovo modo di fare militanza politica, che permette al singolo di sentirsi parte di un progetto collettivo".

In un epoca di crisi della politica e di "vaffa days" non è poco: "Vogliamo creare spazi di politica altra, per modificare una città che ha sempre più paura del diverso", spiega Zappini, che cita l’esempio della battaglia di Officina Sociale contro il progetto di restyling di piazza Dante.

L’associazione, vicina al centro sociale Bruno, protagonista dell’occupazione della Liberty, impegnata nel campo del disagio sociale, aveva preso posizione contro il progetto del Comune, nel quale era totalmente assente la questione sociale. La denuncia di Officina Sociale, che chiedeva attenzione e alternative per immigrati, senza fissa dimora e tossicodipendenti che frequentano il parco, ha fatto breccia e lo scorso primo ottobre il progetto è stato stoppato dal consiglio circoscrizionale Centro storico-Piedicastello.

Il Cso è dunque prima di tutto uno spazio politico, luogo di "produzione di percorsi critici contro il potere" e di opposizione alle scelte sociali dell’amministrazione comunale, un "avamposto, un moltiplicatore di lotte e desideri" che ha lo scopo di modificare la città e ciò che le sta intorno.

Ambiente, immigrazione, mondo giovanile, situazione internazionale, lotte sociali: tutto questo si interseca negli spazi del Bruno: ora i bei locali dell’ex Dogana si stanno a poco a poco trasformando per essere pronti ad accogliere le nuove iniziative. Nell’enorme magazzino si terranno concerti e al Bruno ci saranno anche un bar, una libreria dell’usato, una biblioteca, la sede dell’associazione "Ya Basta!", un negozio di vestiti usati e l’hacklab, un locale con computer collegati ad Internet, accessibili a chiunque.

Ma un centro sociale non rischia di diventare un ghetto, nonostante le buone intenzioni?

"La nostra carta vincente – risponde Zappini – è la capacità di farci attraversare da tante persone diverse", e cita l’esempio del gruppo di genitori di ragazzi del Bruno che, pur non essendo Disobbedienti, hanno sostenuto le battaglie dei loro figli e "hanno trovato anch’essi nel centro sociale i loro spazi di libertà".

E ancora: al piano superiore dell’ex Dogana partiranno presto corsi di flamenco, un laboratorio tessile e verrà creata una camera oscura, il tutto organizzato "non certo da compagni: il Bruno è uno luogo aperto a tutti coloro che non hanno spazio in città".

Gli attivisti trentini rivendicano la loro libertà d’azione rispetto al movimento dei Disobbedienti che ha in Padova il suo centro propulsore e rivendicano la propria particolarità, che fanno discendere dall’autonomia trentina.

"Con i fratelli e sorelle del Nordest – dice Zappini – abbiamo partecipato a tante lotte locali e nazionali. Ma ciascuno, nei propri territori, adegua la sua azione alla realtà del posto. Questo ci ha portato anche a sviluppare percorsi culturali o attività sociali che possono sembrare strane per un centro sociale".

Viene in mente il ciclo di conferenze intitolato "Storie dal Paese mancato", durante le quali si è parlato di personaggi come Don Milani, Enrico Mattei, Adriano Olivetti, portando al Bruno esponenti della cultura trentina come don Marcello Farina e Vincenzo Passerini.

Un po’ Disobbedienti, un po’ bravi ragazzi trentini?

"Assolutamente no; non siamo né meno cattivi né più fantasiosi degli altri compagni in giro per l’Italia". E ricorda i copertoni bruciati in tangenziale il giorno dello sgombero dell’ex Zuffo, la manifestazione dei centri sociali del Nordest in città, il duro confronto con il sindaco Alberto Pacher.

"A noi – dice l’attivista del Bruno – restano solo le bugie e le promesse mancate dell’amministrazione comunale, che ha trasformato la questione ‘centro sociale’ in un problema di ordine pubblico".

Amministrazione che dal giorno della nuova occupazione non si è ancora fatta viva: non c’è nessuna trattativa in corso, il che agli occupanti, sembra non importare granché, anche se preferirebbero essere legittimati da un contratto di comodato d’uso gratuito.

"Ma la legittimazione ci viene da noi stessi: nessuno può più pensare di mettere in discussione la nostra esistenza. E’ lampante che siamo un soggetto politico".

Il Comune pare invece aver abdicato al suo ruolo politico nei confronti di una realtà che non ha fatto che rafforzarsi dall’inverno scorso e che ora dalla periferia è arrivata nel cuore di Trento, riuscendo a rappresentare i bisogni di un settore consistente della città: soprattutto i giovani e gli studenti, che a Trento hanno pochi luoghi di incontro e socializzazione.

Un silenzio inquietante, che sancisce, ancora una volta, una preoccupante distanza tra politica e realtà, tra i bisogni sociali e chiacchiere di palazzo.