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Sventola la bandiera dei senza terra

Alla Campana dei Caduti il vessillo di Sinti e Rom

Foto di Chiara Orempuller

“Odia, quella gente/che non sventola la tua bandiera”, cantava l’Edoardo Bennato dei tempi migliori, fustigando il nazionalismo deteriore e guerrafondaio, morbosamente attaccato ad un inutile straccio colorato.

Ma c’è bandiera e bandiera: da sabato 29 maggio, tra le 89 che costeggiano il viale che porta alla Campana dei Caduti, sul Colle di Miravalle a Rovereto, c’è anche quella dei Sinti e dei Rom.

Con una cerimonia emozionante, preceduta dal convegno nazionale dell’Aizo (Associazione Italiana Zingari Oggi) intitolato “Rom, Sinti e gagè: culture in dialogo?”, il vessillo azzurro-verde con la ruota di carro nel mezzo è stato issato accanto a Maria Dolens, accompagnato dai discorsi della delegazione internazionale, composta da Rom e Sinti provenienti da tutto il mondo.

“Questi colori - ha spiegato Juan De Dios Ramirez Heredia, gitano spagnolo, avvocato, ex parlamentare europeo - rappresentano il cielo e la terra, gli unici confini di un popolo senza confini, che non possiede eserciti e non ha mai scatenato guerre”.

Una bandiera, quindi, che a differenza delle altre 89 non sventolerà su nessun territorio, come ha sottolineato lo stesso reggente della Fondazione Opera Campana dei Caduti, Alberto Robol. Qui sta la sua forza, ma anche la sua debolezza.

La bandiera è di solito rappresentazione di una raggiunta identità politica, favorita nell’età dei nazionalismi dal consolidarsi dei confini statali. Rom e Sinti, invece, questa unità politica (ancora) non l’hanno raggiunta: divisi in una infinita ricchezza di gruppi e sottogruppi - in Trentino vivono gli Estrekárja, o austriaci, ma ci sono anche sinti di altre regioni, Rom rumeni, del Kossovo, ecc. - con una lingua forse originaria dello stesso ceppo ma estremamente diversificata al suo interno, hanno un’oggettiva difficoltà nel trovare lo stimolo a un’azione politica comune.

Tanto più in Italia, dove la situazione di Sinti e Rom è molto più arretrata che nel resto d’Europa, dove queste popolazioni hanno trovato - in alcuni casi - canali di rappresentanza politica.

La situazione da noi è drammatica, come spiega Paolo Bonetti, professore di Diritto costituzionale all’Università Bicocca di Milano, relatore al convegno Aizo: “Sinti e Rom in Italia di fatto non possono accedere all’istruzione superiore e universitaria, quindi non abbiamo professionisti, avvocati, insegnanti provenienti da queste popolazioni. Queste minoranze sono costrette ad una grande povertà e sono sempre più schiacciate anche culturalmente”.

La soluzione potrebbe essere una legge dello Stato che dia a Rom e Sinti lo statuto di minoranza linguistico-culturale, ma anche qui l’assenza di un territorio di appartenenza fa sì che queste due popolazioni non possano essere tutelate dalla normativa esistente. Inoltre la condizione di Sinti e Rom presenti nel nostro Paese è estremamente diversificata: ci sono comunità Rom arrivate in Italia nel 1500 e poi ci sono quelli arrivati negli anni ‘90 con le guerre in ex-Yugoslavia...

La soluzione potrebbe allora essere quella di una legge dello Stato apposita per Rom e Sinti, che prevedesse anche azioni positive per favorirne l’inclusione sociale, lavorativa, scolastica. “Lo raccomandano - spiega Bonetti - l’Osce e la Commissione europea; ci sono le idee e i fondi per gli Stati membri, che però l’Italia non ha mai utilizzato”. Preferendo rinchiudere tutti in costosi e inumani campi nomadi, costringendo magari a “rinomadizzarsi” Rom in fuga dalle guerre balcaniche, da sempre stanziali e residenti in casa.

Come quei giovani Rom del Kossovo residenti in appartamento a Pergine, giunti a Rovereto per vedere la loro bandiera sventolare al vento. Finita la cerimonia, una ragazzina dal viso simpatico e sveglio si ferma davanti al vessillo indiano e dice agli altri: “Guarda, assomiglia al nostro!”. Ha ragione.

Poi saluta il gagè curioso: “Salam aleikum”.