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La sberla di Rovereto

Franco Valduga

E’ stata una bella sberla sonora, non c’è dubbio. Tirata non tanto da Guglielmo Valduga, quanto dall’elettorato: Valduga ha avuto solo il merito di fiutare l’aria e di lanciare la sua proposta: una lista al di fuori e in certo senso contro i partiti, incentrata sulla sua persona, sulla sua "abilità". Una mossa che appariva temeraria, oltre che venata di berlusconismo: quale risultato poteva raggiungere un’iniziativa simile, che partiva con un 6-7 per cento di voti socialisti e repubblicani (ma anche un quasi 9 per cento di voti che nel 2000 erano andati alla lista di Chiocchetti) ma doveva superare abbondantemente il 20 per cento per arrivare al ballottaggio? E invece lo ha raggiunto il risultato: un 25 per cento di voti, ai quali si sono aggiunti al ballottaggio, oltre a voti delle destre, una buona metà di quelli che al primo turno erano andati alle liste di sinistra.

E’ sufficiente imputare questo risultato alle - chiamiamole - impuntature di Maffei, giunte sino al ricatto verso il suo stesso partito per essere ricandidato? O alle "ostilità" fra Maffei e Ds, mai superate, arrivate fino al disimpegno dei Ds al ballottaggio, malamente coperto da un poco convinto appello al voto?

Non è certo imputabile a Maffei il cedimento di Rovereto Insieme al primo turno. Cedimento non tragico in sé (un calo del 2-3 per cento non spaventa più nessuno): ma era diffusa la convinzione di arrivare al ballottaggio, ben oltre il 20 per cento, dunque. Invece la formazione politica che nelle elezioni precedenti aveva il consenso maggiore, che ha visto la partecipazione convinta di molti volti nuovi nella campagna elettorale, che gli sgarbi li aveva eventualmente subiti senza per questo rompere l’alleanza di giunta, è addirittura arretrata. Ecco, questo sì deve impensierire, impegnare in una ricerca per niente facile che richiede una estrema capacità di ascolto.

Ci deve essere pure stato qualcosa che ha scontentato chi già aveva votato Rovereto Insieme (o Ds, in altre elezioni) tanto da spingerlo a votare diversamente. Ma non se ne esce prendendosela con Rovereto Insieme, con i membri non Ds della formazione cioè.

Mi sembra che anche Rasera sia d’accordo su questo. Va rivista eventualmente la formula, ma l’esperienza non va buttata. C’è bisogno di uno strumento di raccordo e discussione fra i partiti (non solo di sinistra, anche di quello che si chiama "centro") e il "popolo della sinistra", che serva come momento non solo di confronto e di elaborazione, ma anche di formazione politica, specialmente per i giovani.

Se non ci preoccupiamo di dare una sana formazione politica ai giovani, saremo sempre più esposti alle avventure di nuovi rappresentanti di una vecchia classe dominante, o di chi usa la politica a fini personali.

Altre considerazioni merita invece l’avventura di Valduga.

Malgrado un passato un po’ troppo disinvolto (specialmente nell’ultima legislatura provinciale), non è detto che egli sia irrimediabilmente orientato a destra. E nella sua maggioranza ci sono consiglieri di un’area che almeno di nome si rifà al socialismo, che possono aver puntato su di lui spinti anch’essi da quella che si può chiamare un’eccessiva sicurezza, o baldanza, delle due maggiori formazioni del centrosinistra cittadino. Un raccordo va per lo meno tentato. Non per le nomine, ma per portare avanti le linee generali di sviluppo della città (e della zona).

Ma non si devono sottovalutare gli aspetti pericolosi della sua iniziativa. Non è cosa da poco che non abbia voluto liste di partito. In pratica ha sostituito alla democrazia fondata sui partiti (associazioni di cittadini che rappresentano interessi di più ampi strati sociali) una democrazia pur sempre elettiva ma fondata su una persona: che sa, decide e fa, che per farsi eleggere dà vita addirittura al "suo" movimento anche se non sembra dirigerlo, come fa Berlusconi, da padrone come un’azienda. E’ una via che porta al potere personale, per quanto elettivo: più vicina alla dittatura che alla democrazia rappresentativa. Ma, a guardar bene, questo non è forselo sbocco naturale di una lunga campagna di delegittimazione dei partiti e di una deriva alimentata a volte dai partiti stessi, compresi quelli della sinistra?

Che altro è infatti il sistema elettorale a collegi con un unico eletto, o l’elezione diretta dei sindaci e dei presidenti delle giunte provinciali e regionali, presentate persino da dirigenti di partiti di sinistra come possibilità per ognuno di eleggere direttamente i propri rappresentanti in barba alle segreterie dei partiti? Poi i candidati sono stati sempre designati dalle "segreterie" dei partiti (necessariamente, per i candidati alle elezioni nazionali), ma questo non c’è obbligo di confessarlo.

E non era delegittimazione dei partiti la favola che erano troppi, che si doveva semplificare, andare verso un sistema bipolare, una destra e una sinistra e basta (ma poi tutti a rincorrere i voti di quello che chiamano centro, che dunque esiste ma chissà perché non dovrebbe essere rappresentato da partiti politici)? Malgrado tutti i marchingegni messi in atto, anzi per effetto di questi, sia i partiti che le liste sono aumentati anziché diminuire. Ma anche questo non è obbligo riconoscerlo.

Valduga si è trovata la strada spianata da un’ulteriore bella pensata: la norma della nuova legge elettorale comunale approvata nel dicembre scorso dalla maggioranza di centrosinistra che nella provincia di Trento (ma non anche in quella di Bolzano...) assegna in ogni caso il premio di maggioranza a chi vince il ballottaggio. Non è più necessario che il complesso delle liste collegate al candidato sindaco per il ballottaggio abbia avuto almeno il 40 per cento dei voti al primo turno. Comunque andasse, Valduga non era obbligato a scomodi collegamenti per il secondo turno. In caso di vittoria, la maggioranza sarebbe stata garantita comunque. Poteva tentare, insomma.

E difatti le due liste collegate a Valduga, con il 25 per cento scarso di voti al primo turno, vanno in Consiglio con 25 seggi su 40: il 62,5 per cento.

Nel 1953 fu chiamata giustamente "truffa" una legge elettorale che dava il 66 per cento dei seggi al complesso di partiti che però, apparentandosi, avessero raggiunto almeno il 50 per cento più uno dei voti. Anche allora, ovvio, per garantire la stabilità dei governi.

Quella legge fu battuta dall’elettorato e segnò la fine della vicenda politica di De Gasperi. Oggi di truffa non parla più nessuno. Giustamente forse, perché più che altro si tratta solo di ordinaria follia.

Ma è proprio questo il pericolo? Vogliamo accorgercene?