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Scuola pubblica e crocifisso

La sentenza del giudice dell’Aquila contro l’affissione di un crocefisso in una scuola pubblica ha sollevato un vespaio di polemiche anzitutto perché a promuovere il ricorso al giudice è stato il presidente di un’associazione autoreferenziale, l’Unione Mussulmani d’Italia, disconosciuta dalla stragrande maggioranza dei mussulmani italiani, il cui presidente, Adel Smith, ha dato più volte prova del suo atteggiamento di irriverenza verso la religione cristiana.

L’analisi che la società civile dà alla sentenza dell’Aquila deve però saper prescindere dalla riluttanza che personaggi prevaricatori e irrispettosi come Adel Smith suscitano. Il presupposto dal quale partire è che una religione di Stato in Italia non esiste, che la separazione tra vicende di Stato e vicende religiose è un dato assodato e - come dire - metabolizzato, in Italia e in Europa. D’altronde, quello di unire Stato e religione non è uno dei rimproveri chiave che la cultura occidentale muove ai Paesi mussulmani? Non mi pare coerente affermare la laicità della scuola pubblica e poi affiggere un crocefisso in ogni aula di scuola. E per laicità non si intende un’assenza di qualche cosa, al contrario, si intende un principio positivo di disposizione al dialogo e al rispetto delle diversità culturali, religiose ed etniche. Questo principio pare a chi scrive irrinunciabile nella scuola pubblica, che è la scuola di tutti senza distinzione.

Un anno fa, si ricorderà, il Consiglio Comunale di Rovereto fu convocato da una mozione d’urgenza dei consiglieri di An e della Lega che chiedeva l’affissione del Crocefisso nell’aula consiliare di Palazzo Pretorio che dopo due anni di restauro i consiglieri andavano a rioccupare. L’aspetto grottesco della vicenda, fu che il crocefisso in quell’aula c’era sempre stato, ma i "pii" proponenti non se ne erano mai accorti. La mozione fu accolta, ma l’alto valore simbolico del Crocefisso fu strapazzato. Da effigie di colui che si immolò per amore degli uomini, da simbolo del perdono universale, in una parola da "oggetto" di fede, esso subì la riduzione a "testimonial" della civiltà occidentale, contro l’Infedele.

Mi opposi fermamente a quella mozione, votata anche da alcuni consiglieri della Margherita, proprio perché credo che il Cristo sulla croce sia un simbolo profondo per chi ci crede, un "fine" alto e supremo, non un mezzo di propaganda politica sfacciatamente populista.

Viviamo tempi di obnubilamento della ragione e del buon senso se a difesa della religione crisitiana ci affidiamo a chi non si vergogna di tirar fuori a seconda dei casi proposte razziste, omofobe o xenofobe; di fronte all’intollerante Adel Smith di turno, bene sarà diffidare di certi personaggi che fanno della ricerca del consenso a buon mercato il loro unico "valore". Che si stia facendo strada l’idea del Cristo testimonial, un po’ come Gilberto Simoni sponsorizza le bellezze del Trentino? A chi daremo i soldi di tale operazione commerciale, alla Chiesa o allo Stato?

Dopo secoli di lotta per la separazione del potere temporale da quello spirituale, dopo la raggiunta separazione tra la sfera pubblica e quella privata, riecco rifuso in un brodo primordiale il senso civico col moralismo culturale e religioso. E la peggiore risposta a certo oltranzismo di matrice islamica eccola arrivare dal leghista Divina il quale ha depositato in Consiglio Provinciale un disegno di legge che impone il crocefisso in tutte la aule delle scuole del Trentino.