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QT n. 18, 24 ottobre 1998 Documenti

Rodolfo Mondolfo, 1877 - 1976

Nato a Senigallia il 20 agosto 1877 dal matrimonio di Vito Mondolfo e di Grismonda Padovano, Rodolfo è l'ultimo di quattro fratelli di una famiglia di origine ebraica. Nella città marchigiana egli compì gli studi elementari e liceali per poi iscriversi, nel 1895, alla sezione di filosofia e filologia dell'Istituto di Studi superiori e pratici di Firenze.

Fu grazie al fratello Ugo Guido, che da Firenze si accingeva a trasferirsi a Siena per completare gli studi universitari, che egli entrò in contatto con i giovani studenti frequentanti la casa fiorentina di Ernesta Bittanti in Via lungo il Mugnone. Fra loro, Rodolfo, di qualche anno più giovane, poté incontrare e successivamente entrare in rapporti di amicizia con le sorelle Bittanti ed in particolare con Ernesta futura moglie di Cesare Battisti, con lo stesso Cesare, oltre a Gaetano Salvemini, ad Alfredo Galletti, a Gennaro Mondaini, e ad altri meno noti compagni di studio.

Fu in questo stesso gruppo di amici, con le discussioni appassionate e le lettere comuni sotto lo sguardo attento di maestri delle qualità di Pasquale Villari, che maturò una sorta di adesione collettiva al nascente Partito Socialista. Rodolfo, presa la tessera, mantenne per tutta la vita quella fede politica, declinandola però in qualificate forme di impegno intellettuale e scientifico più che come effettiva milizia di partito, a differenza della maggioranza dei suoi compagni: da Cesare Battisti, deputato socialista al Parlamento di Vienna prima di diventare esponente di punta dell'irredentismo, al fratello Ugo Guido, che fu dirigente socialista nella Milano di Turati e che nel secondo dopoguerra diresse la Critica sociale, e a Gaetano Salvemini che, pur abbandonando le file di quel partito, partecipò per tutta la vita alla lotta politica.

Le qualità dello Studio fiorentino e dei suoi maestri segnarono profondamente la fisionomia intellettuale di Mondolfo, incidendo, come naturale, sugli interessi del giovane studioso ed indirizzandolo verso la storia della filosofia.

Nel 1901 iniziò la carriera di insegnante nei licei come professore di filosofia, alla quale affiancò, a partire dal 1904, un'attività di libera docenza presso l'Università di Padova. Tre anni dopo, nel 1907, venne chiamato a ricoprire con una supplenza la cattedra di storia della filosofia dello stesso Ateneo, fino ad allora retta dal più importante esponente del positivismo italiano, Roberto Ardigò. Nel 1910 passò a Torino per poi vincere nel 1914 l'ordinariato presso l'Università di Bologna. Presso l'ateneo felsineo rimase in servizio fino al 1938 quando, per effetto delle leggi razziali emanate dal regime fascista, venne collocato forzatamente in pensione a partire dal 14 dicembre dello stesso anno.

Se le leggi razziali ed il pensionamento anticipato determinarono la decisione di lasciare l'Italia per l'Argentina -infatti i Mondolfo partirono nei primi mesi del 1939- fu già con l'avvento del fascismo che Rodolfo mutò i propri interessi scientifici e filosofici, abbandonando proprio lo studio di Marx e di Engels che erano stati oggetto di importanti ricerche fin dai primi anni del '900.

Al marxismo, come ha scritto Bobbio nell'introduzione all'antologia mondolfìana "Umanismo di Marx" egli giunse "storicamente", muovendo dai propri iniziali interessi per il pensiero illuminista e per il patrimonio teorico politico-giuridico della Rivoluzione francese.

Fra il 1925 e il 1926, chiudendosi gli ultimi spazi di libertà, per Mondolfo divenne obbligata, nonché estremamente produttiva sul piano scientifico, la scelta di dedicarsi agli agli studi di storia della filosofia antica. Nel campo degli studi sul pensiero greco egli riuscì a contrastare le dominanti interpretazioni idealistiche, rinnovando gli stessi e contribuendovi con opere ritenute fondamentali. In particolare tale interesse fu coltivato durante il lungo periodo argentino.

Egli seppe evidenziare la presenza nel pensiero antico di temi e di problematiche solitamente ritenute moderne, quali l'idea di soggettività ed il concetto di infinito. Decise di non rientrare in Italia, salvo in occasione di alcuni viaggi e di alcuni brevi soggiorni e rimase in Argentina fino alla morte, avvenuta nel 1976, che lo colse quasi centenario, all'età di 99 anni.

Con l'Italia, e più in particolare con il mondo accademico, non ebbe un grande feeling, ma piuttosto una difficoltà di rapporto che inevitabilmente incise sia sulla fortuna editoriale delle sue opere che in termini di attenzione storiografica al suo pensiero. Nonostante alcune eccezioni, la sua ricerca e la sua interessante figura di intellettuale e di pensatore non sono state oggetto fino ad oggi di una piena valorizzazione e di una adeguata riscoperta storico critica.

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