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Canna libera: sì o no?

Un dibattito all’Università. Con qualche sorpresa.

Quando all’università organizzi una conferenza alle 3 di pomeriggio di metà giugno, con il caldo, la sessione d’esami, i Mondiali e tutto il resto, ti aspetti arrivi al massimo qualche decina di persone, particolarmente motivata o lì per caso. Se invece a presentarsi sono in più di cento e si ostinano a rimanere ai propri posti anche dopo tre ore filate di interventi e dibattito, si capisce che l’argomento non è uno qualunque. Una constatazione che ha fatto anche l’assessore alla salute Donata Borgonovo Re, presente tra i relatori, quando ha chiuso l’incontro dicendosi fortemente “addolorata” di vedere così tanti giovani interessati a discutere di se e come rendere le canne legali.

Il dibattito era incentrato proprio su questo. Promosso dall’associazione Club Alpbach Trentino il 18 giugno al dipartimento di Sociologia, aveva come scopo approfondire le ragioni a favore e contro la liberalizzazione delle droghe leggere. All’incontro erano presenti, in veste di relatori, il neuroscienziato Gian Luigi Gessa, professore emerito all’Università di Cagliari, l’assessore della Provincia Borgonovo Re e il questore di Trento Giorgio Iacobone.

Nel suo intervento di apertura, il prof. Gessa ha cercato di inquadrare il tema, esponendo una serie di informazioni storiche e mediche sulla diffusione e gli effetti della cannabis. Grazie a una lunga serie di studi in materia possiamo infatti fissare dei punti fermi circa le conseguenze dell’utilizzo di cannabis, per rispondere alle domande più importanti: la sostanza provoca dipendenza? Provoca danni alla salute a breve o lungo termine? Gessa non minimizza questi aspetti, ma anzi ricorda, con rigore scientifico, che la cannabis può produrre effetti negativi sulla salute e indurre, seppur in casi limitati e percentuali estremamente ridotte, dipendenza fisica e psicologica.

In proposito, si sofferma sull’argomento più citato da chi combatte l’utilizzo della cannabis: fumare le canne provocherebbe schizofrenia. Gessa spiega che sì, si può tracciare un rapporto causale, per quanto debole, tra il fumo (specialmente negli adolescenti) e la patologia, ma i colpiti risultano quasi sempre persone già predisposte per fattori ambientali o genetici a sviluppare schizofrenia. Questi aspetti, dice Gessa, non vanno trascurati quando si discute di liberalizzazione. Ogni regolamentazione dovrebbe partire dal principio di riduzione del danno, limitando l’incidenza della criminalità organizzata, controllando la qualità delle sostanze e riducendo la possibilità che i giovani, principali consumatori di cannabis, abbiano a che fare con un mercato in cui si vendono anche altre sostanze più pericolose. Con questo approccio non ideologico, il professore ha lasciato perplessa buona parte del pubblico, che si aspettava da lui una presa di posizione più netta a favore della liberalizzazione.

Per il questore il problema va posto in termini più semplici: le droghe fanno bene o fanno male? Se fanno male, possiamo permetterci di farle circolare liberamente? La risposta, però, non può essere costituita solo dalla repressione, bensì, afferma Iacobone, dalla “parola”. Così come nel passato si è iniziato a chiamare “tossici” coloro che facevano uso di eroina, contribuendo drasticamente - a detta di Iacobone - alla diminuzione dell’utilizzo di questa sostanza, allo stesso modo oggi si dovrebbe iniziare a chiamare “tossici” quelli che si “fanno le canne”.

Soluzione semplicistica, ma che viene in parte assecondata dall’assessore Borgonovo Re, che imposta il suo intervento su basi contrarie a qualsiasi utilizzo a scopo ricreativo, allarmata dal fatto che lo spinello del sabato sera nel giro di pochi weekend diventi la siringa del mercoledì pomeriggio. Ma se di regolamentare il consumo non si parla, l’assessore suggerisce che anche da noi potrebbe partire a breve la sperimentazione della cannabis per uso terapeutico, come già avviene da alcuni anni in altre regioni.

Proprio su questo, però, Gessa stupisce ancora chi cercava di etichettarlo in un modo o nell’altro, quando dichiara che personalmente è contro a liberalizzare prima l’utilizzo a scopo terapeutico, perché questo è in altri paesi il cavallo di Troia che permette alle multinazionali di inserirsi in un mercato potenzialmente immenso e dettare le regole, avendo ovviamente in testa solo il profitto.

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Alberto Gianera e Andrea Carboni sono membri del Club Alpbach Trentino.