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QT n. 11, novembre 2015 Cover story

Senza veleni si può fare?

Dato per assodato che quello dei pesticidi è un problema attuale e urgente, il meglio che si può fare è spostare la discussione su quali sistemi si possano adottare nel breve periodo in attesa che il progresso delle tecnologie e della ricerca porti al completo superamento dei fitofarmaci di sintesi. Parlando con tre ricercatori della Fondazione Mach: Alberto Dorigoni, Pietro Malfatti e Pierluigi Magnago, si sono definite tre possibili strade.

Varietà resistenti

Da molti anni nel comparto melicolo c’è una corsa alle nuove qualità di mele e in particolare a cloni geneticamente selezionati per avere dei perfezionamenti sulla colorazione, sul gusto e sull’aspetto, come nel caso della Gala e della Fuji.

Sorprende constatare come una delle più grandi innovazioni ottenute negli ultimi cinquant’anni dalla ricerca in campo frutticolo, le “cultivar di melo”, piante resistenti alle malattie e in particolare alla ticchiolatura, non siano ancora riuscite a ritagliarsi un benché pur minimo spazio sul mercato.

Spesso le nuove varietà e i cloni più recenti sono stati selezionati privilegiando l’aspetto esteriore, la brillantezza e il colore del frutto, a scapito delle qualità organolettiche. Troppi consumatori - come si suol dire - “mangiano con gli occhi”, e contribuiscono con le loro scelte a orientare la ricerca in questa direzione” sostiene Flavio Pezzi, presidente della Società frutticoltori di Campodenno e già presidente trentino della Confederazione Italiana Agricoltori.

Queste varietà resistenti contengono naturalmente il gene che le protegge da varie malattie e, in alcuni casi, sono piante che necessitano di 3-5 trattamenti a stagione contro i 28 che mediamente vengono attuati sui meleti non resistenti. Al contempo tuttavia presentano spesso difetti nell’aspetto, nel gusto o nella conservabilità, il che ne rende difficile la commercializzazione.

Una possibilità rapidamente applicabile sarebbe l’inserimento di queste piante resistenti nelle aree più sensibili, vicino ai luoghi pubblici e alle case, così da non danneggiare più di tanto l’agricoltore e al contempo limitare il fenomeno della deriva, nel quale una piccola parte del prodotto viene liberata nell’aria andando a depositarsi al di fuori del campo coltivato.

Genetica

Quello della genetica è un discorso molto complesso che meriterebbe una riflessione a parte. Al momento in Europa non è possibile coltivare piante modificate geneticamente. Nello scenario comune l’ingegneria genetica consentirebbe di inserire uno o più geni, presi da un diverso organismo o un’altra pianta, nel genoma della pianta facendola sopravvivere a diverse malattie e annullando o riducendo drasticamente l’utilizzo di pesticidi. Le biotecnologie vegetali in questi ultimi anni si sono ulteriormente evolute. Sono oggi disponibili infatti biotecnologie denominate “New Breeding Technologies (NBT)”, che consentono di intervenire in modo preciso e “chirurgico” sul genoma delle piante d’interesse agrario inducendo resistenze ai patogeni.

Agrotecnica

L’agrotecnica comprende una serie di strategie mirate ad un’organizzazione razionale delle colture e dei sistemi di coltivazione. Una delle tecniche utilizzate nell’azienda sperimentale da parte dei tre ricercatori era l’utilizzo di box di legno per indurre la confusione sessuale degli insetti. “La confusione sessuale è un metodo di lotta contro molti parassiti che danneggiano le coltivazioni agricole. Il metodo consiste nel diffondere nell’aria il feromone sessuale che emette la femmina di ogni specifico insetto bersaglio, in misura tale da impedire al maschio di localizzarla e di fecondarla” spiega Alberto Dorigoni.

Nel campo poi troviamo filari di meli avvolti da delle reti con lo scopo di impedire agli insetti di entrare e depositare uova sull’albero. Queste reti hanno anche il vantaggio di proteggere le piante dalla pioggia diretta ostacolando così l’attacco di altri patogeni.

Stiamo poi valutando l’efficacia di macchinari conosciuti, ma poco diffusi” ci spiega Pietro Malfatti fermandosi dietro un trattore e vicino a filari di meleti ben potati. E ci mostra la “scavallante”, una macchina che scavalcando i meleti dall’alto irrora le sostanze verso l’interno e non verso l’esterno come i normali atomizzatori. “Questo metodo consente di limitare significativamente il problema della deriva e di recuperare dal basso parte del fitofarmaco applicato sulle piante con un risparmio per l’agricoltore e per l’ambiente”.

Queste ed altre tecniche (fertilizzazione naturale dei campi precedentemente coltivati, aumento dello spazio tra gli alberi, distribuzione più omogenea e capillare dei rami) testimoniano come sia possibile, e auspicabile, intervenire rapidamente nelle zone più sensibili. Alcune soluzioni sono già disponibili, basta trovare il coraggio e la volontà di investire in questa direzione.