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QT n. 10, ottobre 2016 L’editoriale

La palude degli accidiosi

Più di vent’anni fa incominciava nel Comune di Trento l’esperienza del centro sinistra trentino. E ancora a palazzo Thun rischia di concludersi. Lorenzo Dellai, nei primi anni Novanta del secolo scorso, spaccava in due quello che restava della DC aprendo alla sinistra, inaugurando una formula vincente esportata in altri municipi e nel 1998 in Provincia. Un’alleanza politica durata ininterrottamente fino ad ora. L’elezione di Ugo Rossi ha dato più peso alla componente autonomista, ma nei fatti lo schema è sempre quello. Da piazza Dante Dellai considerava il Comune di Trento come il “cortile di casa”, condizionando pesantemente le scelte strategiche dei suoi due successori, Pacher e Andreatta. Da deputato voleva fare altrettanto, con un pesante intervento nella composizione della giunta comunale uscita dal voto del maggio scorso. Proprio l’anomala composizione della Giunta - di bassissimo profilo, con due assessore esterne ripescate tra i non eletti di PATT e UPT (che in realtà si chiamava Cantiere civico democratico) - ha segnato l’inizio della crisi di Andreatta.

Municipio di Trento

Mentre scriviamo non sappiamo se la situazione sia precipitata con le dimissioni del sindaco e con le elezioni anticipate oppure si sia trovata una soluzione capace di accontentare i bassi istinti di tutti. Poco importa: la vicenda di Trento segna la fine del modello dellaiano del centro sinistra. Con ripercussioni anche in Provincia. Il livello di dibattito politico si è concentrato nel capoluogo sulla poltrona da assegnare a Salvatore Panetta, non certo lo statista che ci guiderà al futuro. È soltanto suo malgrado il simbolo della peggiore politica, anzi dell’assenza completa di politica, del disfacimento dei partiti. E Andreatta è la vittima di una stagione conclusa.

Più volte avevamo evidenziato come la presidenza di Ugo Rossi fosse iniziata nel segno dell’ambiguità rispetto al quindicennio precedente. Occorreva smarcarsi dall’impostazione dellaiana, ammettere e correggere gli errori, dare una nuova visione, un nuovo slancio a partire dalle decisioni concrete. Solo in questo modo si poteva rinsaldare lo schema precedente. Ci voleva almeno una rottura di immagine. Invece niente. Si è proseguito come prima, più di prima, in ogni settore: dalle grandi opere al valzer delle acquisizioni immobiliari; dal turismo alla cultura, fino alla gestione della burocrazia provinciale. L’unica differenza è il passaggio delle poltrone da uomini targati Margherita a quelli ascrivibili al PATT.

La nostra osservazione non era legata ad un sentimento di acrimonia verso Dellai, benché non avessimo mai nascosto le sue colpe dirette nel declino generale del Trentino. Nasceva da un ragionamento politico: i cicli di potere finiscono, soprattutto poi quando si hanno meno soldi: o si cambia o si sprofonda nella palude. Nei fatti è avvenuto così. La palude degli iracondi e degli accidiosi, come descritta nell’inferno dantesco.

Gli esponenti della coalizione si mordono vicendevolmente, cercando di arraffare quello che possono e di conquistare un centimetro di potere in più. Ma in realtà sono accidiosi, inetti al governo. Oppure stufi, bolliti, ormai a fine corsa. Si discute su aspetti concreti? Non sia mai. Troppo impegnativo. E le decisioni vengono prese in un sottobosco oscuro privo di trasparenza.

Come per ogni cosa, anche un ciclo politico prima o poi finisce. I nostri governanti ci hanno abituato a considerare una eventuale caduta della coalizione di centro sinistra (che ormai assume le sembianze di un totem mostruoso) come un evento catastrofico per il Trentino. Prima lo spauracchio era Berlusconi, oggi Grillo. A ben guardare, però, non ci sono alternative credibili e si va avanti, allo sfinimento. Anche all’interno della coalizione tuttavia ci sono gruppi che cercano di far saltare il banco. Non certo perché hanno in mente un’idea diversa di Trentino, ma perché in questo momento sono lontani dalla stanza dei bottoni. Così si rispolvera il vecchio “centrismo”, si esalta il “modello” Rovereto…

In fondo tutti annaspano nel buio. Si va avanti a vista. La stabilità di governo, improntata ad una sostanziale conservazione dello status quo, sembra andare bene alla maggioranza dei trentini. Soprattutto sembra piacere ai circoli che contano. Per ora la diga tiene. Ma la montagna sta franando. E un’onda di fango e detriti potrebbe scavalcare la diga, piombando a valle e distruggendo tutto. Può avvenire in un attimo. La diga resta intatta, a contemplare il disastro. Così lo scheletro del centro sinistra è ancora perfettamente integro. Assomiglia però sempre più a un simulacro. Finché una folata di vento più forte sarà capace di abbatterlo definitivamente.