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QT n. 3, marzo 2017 Servizi

Chi ha paura di Mauro Rostagno?

I motivi del perdurante ostracismo dell’Università alla memoria del ’68. Ma sorgono nuove iniziative: a Catanzaro, Genova, Trapani. E ora, finalmente, anche a Trento.

La targa al secondo piano di Sociologia.

Al dipartimento di Sociologia dell’Università “Magna Grecia” di Catanzaro è stata intitolata un’aula a Mauro Rostagno. A Trento invece, dove Rostagno ha studiato, operato, guidato il movimento degli studenti, in rapporto – spesso contrastato, sempre fecondo – con mezza città, Sociologia e l’Ateneo hanno risposto un vistoso no alla stessa proposta. Salvo poi dare un contentino: una targa su un muro al secondo piano, dove pochi passano. E peraltro non disconoscendo l’importanza del movimento studentesco trentino, con l’esposizione nell’atrio (ma di Lettere, non di Sociologia) di tre grandi foto di manifestazioni del ‘68. E allora, perché questo diniego, che sa tanto di rifiuto di una parte della propria storia?

La motivazione che diede a suo tempo l’allora rettrice Daria De Pretis, è al contempo grottesca e rivelatrice: intitolargli un’aula sarebbe inopportuno, in quanto Rostagno è stato un contestatore di “riti e consuetudini accademiche”. Insomma, l’Università è l’Accademia, cioè il sapere istituzionalizzato e imbalsamato; chi lo mette in discussione va condannato all’oblio.

Per questo il tema ci sembra importante: nel rifiuto di riconsiderare il proprio stesso passato, l’Università di Trento sembra rivelare una difficoltà a guardare entro se stessa, entro la propria storia; di più, si confina dentro una visione mummificata del sapere.

Perché quello che infatti il movimento del ‘68 – e al suo interno soprattutto Mauro Rostagno – pose con grande vivacità all’ordine del giorno era proprio il tema del sapere: come viene elaborato, trasmesso, a cosa e a chi serve, con quali rapporti con la società e con il potere. “Io ho letto mille libri” si vantava (l’immodesto) Rostagno: a significare che la critica – necessaria ed aspra – doveva partire dalla conoscenza.

Ora a Trento quell’impostazione sembra bruciare ancora: studenti che mettessero in discussione i docenti sui temi cruciali del sapere e del potere, tornerebbero a rappresentare un’eresia. E in parte lo si capisce, in un Ateneo che agli studenti riduce e decentra biblioteca e sale studio per alleviare le fallite speculazioni edilizie dei poteri forti cittadini. (E può essere un gustoso esercizio di immaginazione pensare alle fantasiose ed urticanti modalità di protesta con cui oggi Rostagno & amici contesterebbero il quotidiano spostamento di un chilometro cui gli studenti si trovano costretti dall’accademico vassallaggio alla speculazione).

Manifestazione del movimento studentesco del '68, in una foto di Giorgio Salomon esposta nell'atrio di Lettere: gli ultimi due a destra sono Marco Boato e Mauro Rostagno.

Una memoria “divisiva”

Il punto di fondo è che la memoria del ‘68 “non è con-divisa”, anzi è ancora “divisiva”, scriveva tre anni fa Gaspare Nevola, ordinario di Scienze Politiche a Sociologia.

Per vari motivi. Il primo, perché nel ‘68 non ci fu solo il movimento studentesco, ma anche chi, allora, era in minoranza: fuori dai denti, Renzo Gubert, allora studente cattolicissimo, poi docente capofila della lobby cattolica, infine senatore, tradizionalista anzi fondamentalista cattolico. Gubert nel ‘68 era financo ammirevole nel sostenere, da solo, idee ritenute strampalate e retrive (immaginatevi il tema della sessualità) davanti ad assemblee talora sghignazzanti ma sostanzialmente tolleranti; poi, da professore e da politico, nell’università ha contato decisamente di più. Ma Gubert è in fondo solo un paravento: non ci si può rifugiare dietro il suo profilo, assolutamente irrilevante in quegli anni, per infliggere postumi ostracismi a un intero movimento sociale e culturale.

Più comprensibile il timore di una equazione sociologia a Trento=Brigate Rosse. Un’identificazione a lungo coltivata dai media, e che in effetti ha penalizzato la facoltà trentina. Ma che è il frutto di una brutale semplificazione: l’unico terrorista rosso uscito da Sociologia è stato Renato Curcio con la moglie Margherita Cagol, mentre le BR furono fondate a Milano, un anno dopo che i due avevano lasciato Trento.

In realtà il movimento trentino, sia nella sua declinazione più istituzionale, capeggiata da Marco Boato, sia in quella più culturalmente fantasiosa, capeggiata da Rostagno, fu sempre, nel panorama del movimento italiano e anche nella successiva adesione a Lotta Continua, tra le sedi più moderate, del tutto aliene dalla violenza. Da una parte Boato, già a vent’anni politico fino al midollo; dall’altra Rostagno, immaginifico amante della cultura e della vita, strutturalmente nulla avevano a che fare, pur nel loro totalizzante impegno sociale, con le tetre elucubrazioni e farneticanti esiti dei brigatisti. E così gli altri a Sociologia. E difatti Rostagno, preso atto del fallimento del movimento, non pensò certo alla lotta armata, ma al contrario si dedicò al pacifismo estremo (e lisergico) del centro culturale Macondo e dei santoni indiani; prima di ritornare al più specifico impegno civile, nelle comunità per tossicodipendenti prima e in un rigorosissimo giornalismo antimafia poi, che difatti gli costò la vita. Rostagno della violenza omicida non fu mai in alcun modo né teorico né partecipe, bensì, concretamente, vittima.

Insomma, la sovrapposizione Curcio-Rostagno, sociologia-terrorismo, è una totale fesseria. “Il fatto è che non c’è stata una vera storiografia di quegli anni, si è messo tutto nello stesso calderone, incentrandolo attorno a Renato Curcio – ci dice Nevola. – Oggi ripercorrere quel periodo, colmare questo buco nella nostra storia, è un compito doveroso. Dando a Cesare quel che è di Cesare: per questo io ero favorevole all’intitolazione dell’aula a Mauro Rostagno, primo atto di un approfondimento di quelle vicende”.

Il fatto è che, contro Rostagno, contro il ‘68, si sono mosse altre forze, altre culture. Sostanzialmente l’establishment: cittadino ed universitario.

Infatti la ferita che più lacera è quella a suo tempo provocata da una gioventù che, magari con errori, ingenuità ed eccessi, non dava comunque per scontate tante verità preconfezionate. Un atteggiamento da parte di studenti che “non intendevano essere solo secchielli da riempire del sapere altrui, ma portatori di nuovi, diversi punti di vista” - afferma Nevola.

Questo è il portato più innovativo del ‘68, che ancor oggi, a potenti e baroni non va giù.

Le risposte ai baroni

Eppure non è detto che le idee debbano soccombere di fronte ai conformismi. Abbiamo visto come l’aula Rostagno, ignominiosamente bloccata a Trento, sia rispuntata a Catanzaro. E non crediamo sia un caso se, a rievocare la figura del contestatore trentino, idealista ed egualitario, in Calabria non sia stato chiamato un accademico, o un ex-leader, ma un semplice attivista, dipendente dell’Università, Antonio Marchi. Marchi aveva già dato vita a diverse iniziative per ricordare Rostagno (come ad esempio un itinerario in bici Trento-Trapani per omaggiare la tomba dell’amico Mauro) e a Catanzaro ha parlato della vita e dell’impegno del contestatore\idealista\giornalista, e degli “ideali di libertà, giustizia ed uguaglianza per le quali Mauro si è battuto fino alla fine dei suoi giorni”.

Antonio Marchi ricorda la figura di Rostagno all'Università di Catanzaro.

Retorica? Forse. Ma chi conosce la generosità di Antonio Marchi sa che questa è vita concretamente e coerentemente vissuta. E permetteteci di dire che è bello che a Catanzaro abbiano pensato di associare la sua figura a quella di Rostagno.

Anche Trento però, o meglio, una parte di essa, si è rifiutata di subire gli ostracismi baronali. “L’Università boicotta il ricordo di Rostagno? Ne prendiamo atto: e a ricordarla ci pensiamo noi, cittadini” - ci dice Gianni Palma.

Anch’egli militante del ‘68, ha dato vita, con Ettore Camuffo, a un gruppo d’iniziativa per ricordare Rostagno. E ha fatto centro.

Jannis Kounellis sceglie in Val di Cembra il masso di porfido per l'installazione a ricordo di Mauro Rostagno.

Il gruppo infatti è riuscito a coinvolgere l’artista Jannis Kounellis, che aveva conosciuto Rostagno, e a fargli progettare un’opera in memoriam, da collocare in piazzetta Rizzi, di fronte a Sociologia. Ora, Kounellis non è uno sconosciuto, bensì un artista di livello mondiale, esponente di primo piano della cosiddetta “arte povera”, con le sue opere esposte in piazze e musei ai quattro angoli del mondo e battute alle aste per milioni di dollari.

Kounellis è venuto a Trento due volte, per stabilire – in accordo con i tecnici del Comune – l’esatta ubicazione dell’opera; e per scegliere il masso di porfido con cui essa verrà realizzata. E il Comune? In apposita lettera il sindaco Andreatta, a seguito di un incontro col gruppo e con l’artista, chiarisce che il Comune non è disposto a metterci un euro, ma dà piena disponibilità per le autorizzazioni. E ci mancherebbe: la città incassa – gratis – un’opera di grande rilievo e valore, da pubblicizzare anche sulle brochure turistiche; gli acidi potentati, troppo adusi a comandare, per una volta tanto devono starsene zitti e incassare.

Kounellis purtroppo è morto due settimane orsono. Ma non ci saranno problemi: “Kounellis ha lasciato ogni indicazione su come i tecnici dovranno realizzare l’opera – ci dice Palma. – Il nostro gruppo ne pagherà i costi di installazione e la donerà alla città, che da quel momento ne diventerà proprietaria”.

Un’università figlia dei suoi studenti

Così anche Trento ricorderà, degnamente, Rostagno. Dopo Catanzaro, dopo Genova (dove gli è stata dedicata una piazza), dopo Trapani (in cui è attiva l’associazione “Ciao Mauro”).

È un po’ paradossale questo ritardo, nella città che pur ha visto la sua crescita e formazione culturale, nell’Università che proprio al prodigarsi del movimento studentesco deve la sua stessa nascita: ricordiamo, dal libro “Sociologia a Trento” di Giovanni Agostini, come furono gli studenti, andati in automobile a Roma, a convincere i decisori politici nazionali che la facoltà di Sociologia – osteggiata dal mondo accademico e dalle determinanti, fino allora, contrarietà dei partiti di sinistra – non sarebbe stata una fucina di perbenisti e clericali, bensì di giovani innovativi, irrequieti e laici, sospinti dal desiderio di cimentarsi in nuove discipline. Quella di Trento insomma, è stata un’Università che da Istituto privato dagli inutili titoli non riconosciuti, è diventata statale e ufficiale grazie proprio ai suoi studenti (tra cui senz’altro, e in primissima linea, Rostagno). Ed è sconcertante che oggi questo percorso la stessa Università, invece di valorizzarlo, vorrebbe disconoscerlo.

Ma in questo caso ci ha pensato la città a mettere le cose a posto. È un’ottima notizia.

La prossima dovrà essere che su quegli eventi si aprano, finalmente e senza remore e tremori, studi seri ed approfonditi.

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Chi volesse contribuire alla realizzazione del progetto ideato da Jannis Kounellis, può rivolgersi al “Comitato per il ricordo di Mauro Rostagno a Trento”, presso Palma & Associati, via S. Croce 74, Trento, tel. 0461 985100, e-mail g.palma@palmassociati.it