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QT n. 4, aprile 2018 Cover story

La rivolta delle pecorelle

Il disciplinato gregge trentino, nei secoli governativo, diventa “antisistema”. Come mai? Analisi e spiegazioni di un voto inaspettato e lacerante.

A Roma la bufera non se la aspettavano, ma il temporale sì. Invece a Trento, a piazza Dante confidavano nel tradizionale solicello primaverile (“Faremo cappotto” - prevedeva Ugo Rossi), e invece anche qui è stata bufera: il cappotto lo hanno fatto gli altri.

In Trentino quindi è successo qualcosa di più, di diverso: come mai l’”isola rossa” (o rosa, rosa-pallido) come i commentatori nazionali chiamavano il tradizionale fortino del centro-sinistra in un nord soprattutto forza-leghista, come mai un territorio sempre “governista”, passato (con l’episodica eccezione delle elezioni del ‘94) da una ferrea tradizione democristiana a un’altrettanto solida di centro-sinistra, si è allineato all’ondata nazionale “antisistema”? Come mai una popolazione di tranquille pecorelle, senza che nessuno se lo aspettasse, si mette a bastonare o addirittura cancellare i partiti al governo, punire i moderati (o pseudo tali) di Forza Italia, premiare i 5 Stelle ed esaltare i leghisti?

In queste pagine, attraverso un’analisi articolata dei risultati (di cui ringraziamo Cristiano Vezzoni professore associato di Sociologia dei Fenomeni Politici all’Università di Milano) e una serie di interviste e riflessioni post-voto, cerchiamo di rispondere a queste domande.

La fine del dellaismo

Sul significato di fondo del voto a livello nazionale parliamo nell’editoriale, e su come si inquadri in questo momento storico-sociale, rimandiamo alla riflessione del prof. Gaspare Nevola. In tali dinamiche si inseriscono le particolarità trentine: l’inedita, inaspettata, ribellione delle pecorelle. Vediamo allora meglio i risultati del 2018 in Trentino, in rapporto a quelli del 2013 (Tabella 1, per comodità riportiamo anche i dati nazionali nella Tabella 2).

TABELLA 1 - Voto per la Camera in Trentino. Confronto 2018-2013
Partito 20182013Differenza
Partito Democratico61.01372.851-11.838
SVP-PATT15.61214.641971
Civica Popolare-Scelta Civica6.89863.713-56.815
Altri c-sx12.952012.952
Centro-sinistra Autonomista96.475151.205-54.730
Lega83.51022.51360.997
Fratelli d’Italia10.4661.9258.541
Forza Italia26.51746.187-19.670
Noi con l’Italia-UDC1.9431.348595
Centro-destra122.43671.97350.463
Movimento 5 Stelle74.68563.76810.917
Liberi e Uguali9.33413.434-4.100
CasaPound3.1421.0642.078
Altro7.1675.7041.463
TOTALE VOTI VALIDI313.239307.1486.091

Elaborazione a cura di Cristiano Vezzoni dell'Università di Milano e Itanes

TABELLA 2 - Voto per la Camera in Italia. Confronto 2018-2013
Partito20182013Differenza
Sinistra radicale (RC, PAP)507.856860.028-352.172
SEL-LEU1.095.3961.089.2316.165
Partito Democratico6.032.1438.646.034-2.613.891
Altri Centro-sinistra1.323.049332.319990.730
Totale Centro-sinistra7.355.1298.978.353-1.623.224
Forza Italia4.535.7427.332.134-2.796.392
Lega5.634.5771.411.5104.223.067
Fratelli d’Italia +La Destra1.402.732889.401513.331
Altri Centro-destra425.828476.020-50.192
Totale Centro-destra11.998.87910.109.0651.889.814
Movimento 5 Stelle10.522.2728.704.8091.817.463
Scelta Civica + alleati03.591.541-3.591.541
Destra radicale (CP, FN, FT)430.558184.575245.983
Altri366.390286.49979.891
TOTALE VOTI VALIDI32.276.54334.078.191-1.801.648

Elaborazione a cura dell'Istituto Cattaneo dai dati (esclusi Valle d'Aosta e Estero) del Ministero dell'Interno.

I risultati finali sono noti, eppure impressionano: balzo in avanti del centro destra (+50.000 voti, dovuti alla Lega, non certo a Forza Italia, in forte declino) e a livello inferiore, dei 5 Stelle (+11.000); batosta del centro-sinistra autonomista, che perde oltre 54.000 voti. E così i vincenti di 5 anni fa, che allora doppiavano gli avversari (151.000 voti contro 72.000) ora perdono in tutti i collegi.

Ma questo ormai lo si sa. Più interessante vedere quello che succede dentro ai partiti al potere. E lì il Partito Democratico riesce a lenire le pur vistose perdite (11.838 voti) attraverso l’apporto di “altri di centro-sinistra”, cioè Lista Bonino e minori (12.952 voti); il PATT rimane praticamente fermo, sotto un 5% che non giustifica la presidenza in Provincia; e soprattutto scompare il partito di Dellai. Quello che nel 2013 era Scelta Civica e a queste elezioni Civica Popolare Lorenzin (dal nome della ministra della Salute, non un vezzeggiativo di Dellai Lorenzo) viene annichilito: passa da 63.000 voti a meno di settemila. E allora appaiono più gravi i risultati degli alleati: il PD (che, per favore, non dia la colpa a Grasso e Liberi e Uguali, che anzi hanno preso meno voti di SEL e Ingroia nel 2013); e il PATT. I quali non sono riusciti a intercettare nulla del tracollo degli alleati. O meglio, forse hanno intercettato qualche voto, ma altrettanti ne hanno persi verso Lega, 5 Stelle e astensione (che peraltro in Trentino è diminuita).

Insomma il primo verdetto risulta molto chiaro: queste elezioni hanno certificato la fine di Dellai. Ma anche – sembra – del dellaismo: nel suo campo nessuno, tra i successori, tra i seguaci, tra gli alleati convinti e quelli controvoglia, nessuno è riuscito a subentrargli nel consenso, nemmeno in minima parte.

La piccola clientela

Per capire i perché di una frana così rovinosa, dobbiamo vedere dove essa è stata più forte. Ci può essere utile il Grafico 1 (anch’esso dovuto alle elaborazioni del prof. Vezzoni). In esso ono rappresentate le perdite del centro sinistra rispetto al 2013: del PD e degli “altri di centro-sinistra” (si intendono PATT e UPT, o meglio, il partito di Dellai che ha assunto diverse denominazioni), differenziate fra Trento, Rovereto e il resto della provincia.

Come si vede, le perdite sono gravi e generalizzate. Ma mentre il PD perde ovunque attorno al 20% (e scusate se è poco), gli alleati riescono a fare molto peggio, perdono ovunque del doppio, e soprattutto perdono, oltre il 50% dei consensi fuori da Trento e Rovereto. E questo è decisivo: nel centro-sinistra c’era una sorta di divisione dei ruoli: il PD vinceva in città, Dellai e il PATT nelle valli. Ora il PD cala in città, gli altri nelle valli crollano.

La riprova è nel Grafico 2 che, nello stesso collegio, differenzia il voto tra i capoluoghi (Trento, Rovereto e Pergine) e gli altri Comuni del collegio (per intenderci, Cles, Malè, Dro, Tione, Levico, Predazzo ecc). Come si vede, uscendo dai capoluoghi, il PD – sempre – diminuisce i propri voti; ma gli altri non li aumentano. La coalizione è franata – e rovinosamente - nelle valli.

Il discorso si fa ancora più evidente se parliamo di persone, di candidati. Prendiamo Franco Panizza: noneso, indefesso lavoratore della politica intesa come rapporto spicciolo con la gente, onnipresente (ha qualche sosia?) sul territorio, in matrimoni, cresime, presentazioni di mostre, inaugurazioni di campetti di calcio, un piccolo piacere al Toni e un interessamento per il figlio della Lina… a Trento ha vinto con 2.600 voti di scarto, ma a Cles, Rabbi, Romeno e così in tutta la val di Sole e nella sua val di Non, ha perso di brutto, e nel conto finale è stato staccato di oltre tremila voti dallo sconosciuto e vagamente fascistoide Andrea de Bertoldi.

E potremmo continuare con Tiziano Mellarini, segretario dell’ UPT e assessore provinciale alla piccola clientela: a Rovereto ha limitato i danni perdendo per 400 voti, ma in tutto il collegio, a iniziare dalla sua Ala di cui era sindaco, è stato surclassato da quella Donatella Conzatti che poche settimane prima del voto aveva lasciato il partito di Mellarini per andare con Forza Italia. E Lorenzo Dellai? Stendiamo un velo pietoso.

Insomma, il centro-sinistra autonomista ha perso soprattutto nelle periferie, e soprattutto con gli uomini che del rapporto clientelare erano gli alfieri.

La versione trentina della rabbia italiana

I dati parlano chiaro. Si è bocciato un metodo di governo, si è sfiduciato un sistema” ci dicono dal PD (ma non è la posizione del PD, che di posizioni non ne ha).

Il presidente della Provincia Ugo Rossi la pensa diversamente: “È stata la versione trentina di un voto nazionale. A ottobre, alle provinciali, riprenderemo i nostri voti”.

Quale dei due punti di vista, diametralmente opposti, interpreta la realtà?

Per vedere meglio, allarghiamo la visuale al voto sudtirolese, dove la SVP ha ancora una volta piazzato tutti i suoi. Ha eletto anche i non suoi, ma da lei appoggiati, come la bella impresentabile Maria Elena Boschi.

Ma la SVP è la SVP: un partito etnico, che può contare sull’esigenza di compattezza di una minoranza; e soprattutto una classe dirigente che è riuscita a fare della provincia di Bolzano una delle poche aree in Europa, e l’unica in Italia, che nella crisi è andata avanti, e di molto. La popolazione quindi (anche se fino a un certo punto: la Boschi è stata eletta con un esile 41%) della sua dirigenza si fida.

Trentino e Sudtirolo quindi, per la prima volta da tantissimi anni, si sono divaricati: nei risultati elettorali, che però risultano specchio di una fiducia confermata a nord di Salorno, entrata in crisi a sud.

Nelle valli la gente non ne può più: ci si sente presi in giro, con gli ospedali, gli uffici postali, i negozi periferici che chiudono” – ci dice Giuliano Beltrami, nome storico delle Giudicarie e della cooperazione trentina, attualmente candidato alla presidenza di Federcoop.

È la versione trentina, valligiana, del disagio, della rabbia italiana. Lì si smantellano pezzi di stato sociale, si incrinano le sicurezze di generazioni – la pensione, il posto di lavoro, la sanità (“Non potete più avere un lavoro sicuro, dovete scordarvi le pensioni di una volta, non si può mantenere l’attuale welfare…”); qui si attenta all’equilibrio dei territori: “Non possiamo più mantenere i servizi decentrati, li dobbiamo chiudere, la montagna si arrangi”.

E anche qui la domanda che sorge in tutta Italia: perché mai? C’è una guerra? Catastrofi naturali? No, anzi, la ricchezza prodotta aumenta. Ma va in poche mani, non le nostre.

Il ritornello, diventato ormai senso comune – conclude Beltrami - è sempre lo stesso: ‘per quello che vogliono loro, i soldi li trovano’”. Per le Albere, per Isa, i soldi si trovano e per acquistare un isolato dalle suore di Maria Bambina, pure, dicono a Trento. Per imprese decotte ma ammanicate come la LaVis, i soldi ci sono, dicono i contadini. Per centri di ricerca fasulli come Trento Rise, i soldi ci sono, dicono all’Università. Per impianti in perdita, i soldi ci sono, dicono gli ambientalisti. Per due caserme dei Vigili del Fuoco a 100 metri di distanza, i soldi ci sono, dicono nei paesi. In effetti soldi ce ne sono meno. E allora gli sprechi non si sopportano più.

Ospedali e immigrati

Il caso forse più eclatante di questo convergere di incapacità politica e sfiducia popolare probabilmente lo abbiamo sul caso dei punti nascita, non a caso citato come prova della protervia cittadina da tutti i nostri interlocutori. Chiaramente tutti gli studi e tutti gli operatori sanitari concordano: un ospedale con poche nascite non è sicuro (e difatti le leader delle opposizioni di valle, quando si è trattato della sicurezza loro e dei loro nascituri, si sono rivolte a ospedali che trattano migliaia di parti: Patrizia Ballardini, presidente delle Giudicarie, non è andata a Tione, ma a Trento; la neo senatrice Elena Testor non è andata a Cavalese, ma a Bolzano... Concentrare quindi le nascite in alcuni centri molto attrezzati e molto sicuri dovrebbe essere visto come un’operazione positiva, da rivendicare. Ma così non è stata presentata: si sono lanciati messaggi opposti, si è lungamente cincischiato tirando in ballo l’uggiosa Autonomia, chiedendo deroghe a Roma, come se sulla sicurezza si potesse derogare, e addirittura ora Rossi confida in un governo “meno scientifico” che evidentemente approvi ospedali meno sicuri. Nelle valli il messaggio è stato così recepito: sulla vostra salute vogliamo risparmiare.

Non si vedono progetti veri. Riportiamo come anche i più avvertiti tra gli agricoltori ormai disperino sulle capacità della politica provinciale di perseguire un progetto credibile.

Poi la questione migranti – dicono tutti i nostri interlocutori – molto oltre il suo effettivo reale impatto”. In effetti, e paradossalmente, il centro storico di Trento, dove bivaccano gli spacciatori tunisini, ha votato centro-sinistra, i paesini di valle, dove immigrati non ce ne sono, se non forse una o due famiglie del tutto integrate con i figli che parlano dialetto, lì ha trionfato la Lega.

È evidentemente una questione di percezione, ma non è una questione peregrina. Se vivi in una comunità abituata all’ordine e alla tranquillità, quando arrivi alla stazione di Trento e vedi imperversare gli spacciatori di colore, o sali su linee autobus o vagoni ferroviari in balia di teppistelli immigrati, ti nasce fortissimo il timore di un imminente crollo di valori che ritieni fondanti e che forse hai mitizzato, come la sicurezza di essere tra persone con cui puoi lasciare la porta di casa sempre aperta, come in effetti fino a 15-20 anni fa potevi fare in diversi paesi.

Qui è stata micidiale la sinergia tra un supponente buonismo di pretesa sinistra, che questi sentimenti ha sempre sottovalutato o addirittura deriso, e una perdurante inconcludenza istituzionale. Così temi come l’indispensabilità dell’immigrazione in presenza di un verticale calo di natalità; la doverosa accoglienza ai perseguitati della terra; il contrasto alla piccola criminalità, si sono mescolati, sovrapposti, confusi. Si sono lasciate colpevolmente praterie a interessati seminatori d’odio, come tal Diego Binelli di Pinzolo che così ciancia: “Nelle valli non ci si sente più sicuri, basta leggere le cronache che quotidianamente raccontano di stupri e scippi”. Naturalmente in Val Rendena da anni non si registrano stupri, e mai ad opera di immigrati; ma si è lasciato crescere un clima tale per cui un mentitore come Binelli, invece di venire sbugiardato viene eletto in Parlamento.

Non solo la politica

Il punto è che non c’è più fiducia. Anche perché non è stata solo la politica a disilludere. In parallelo anche la cooperazione, come peraltro stiamo registrando da anni, è entrata in una crisi verticale. Inaspettatamente, e quindi ancor più crudemente, un altro pilastro della società trentina, ITAS, la Mutua del territorio, ha rivelato fragilità preoccupanti, quando non autentiche malversazioni,

È tutto un mondo, una classe dirigente, in cui si era forse troppo ingenuamente creduto, a risultare platealmente inadeguata e a suscitare crescente sospetto e diffidenza.

Il lascito democristiano è stato malamente recepito da Dellai (lo diciamo da anni). Ancor peggio da Rossi. Non è stato corretto da una sinistra, affamata solo di vicepresidenze (“Dovremmo saper porre obiettivi, correggere Rossi” si è detto in un intervento a una riunione post elettorale del PD; ma è stato l’unico, da nessuno ripreso). E così si è arrivati alla resa dei conti.