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Il crociato dell’omofobia

La strana teoria secondo la quale “La lotta contro la discriminazione contribuisce alla moltiplicazione delle persone con tendenze omosessuali”, quindi qualche insulto ridurrebbe il numero di gay

Renzo Gubert

Renzo Gubert è un uomo di destra, ma non tutte le tematiche classiche di quella parte politica lo appassionano in ugual misura: su migranti, sovranismo, sicurezza, ecc. non si spende più di tanto, soprattutto da quando (2006), pur proseguendo il suo impegno in politica (è presidente di una delle tre Democrazie Cristiane clandestinamente esistenti), non frequenta più il Parlamento. Ma c’è una questione sulla quale prosegue da decenni un incessante martellamento: l’avversione nei confronti degli omosessuali.

Ironizzando ma non troppo, scriveva una quindicina d’anni fa: “Confesso che sono ammalato di omofobia”; poi proseguiva seriamente: “Quando vedo due omosessuali che si scambiano effusioni, non posso annullare il sentimento di ripugnanza che nasce in me”. Alla base di questa repulsione, “la condanna morale della sodomia che nella Bibbia si trova esplicita”; del resto, “anche altre religioni, come quella mussulmana, o altre confessioni cristiane professano il medesimo insegnamento morale. Per di più rafforzato da sanzioni anche civili”. Sanzioni che Gubert non precisa se siano deprecabili o auspicabili anche in Italia.

Nel 2017 lo ritroviamo a difendere la correttezza del licenziamento di un’insegnante lesbica del “Sacro Cuore”, argomentando che “promuovere come ente pubblico, in modo diretto o indiretto, la cultura omosessuale... è chiaro sintomo di disorientamento, di decadenza di una civiltà, oltre che lesione del bene comune”.

Il Gay Pride non poteva naturalmente lasciarlo indifferente, per via di certe “scene lascive di amoreggiamento omosessuale... esibite in pubblico”. Neppure i detestati sessantottini, che pure “nel Santa Chiara occupato e trasformato in ‘comune’, praticavano la promiscuità sessuale” arrivarono a tanto: “L’omosessualità era ancora considerata un’anormalità, praticata in modo nascosto da pochi”.

E arriviamo ai giorni nostri, con una nuova sparata comparsa sull’Adige, dove Gubert fa un salto di qualità: non più solo condanna, deplorazione, ribrezzo, ma - partendo da un articolo di Avvenire - un testo con pretese accademiche che avanza la seguente teoria: l’accettazione dell’omosessualità aumenta il numero di omosessuali, giacché quella condizione deriva sì da predisposizione genetica, ma vi è altresì “un concorso di fattori ambientali, culturali ed esperienziali di importanza prevalente”. Riassumendo: “È evidente che se comportamenti omosessuali sono giudicati normali, aumenta la quota di omosessuali. E, per converso, se in una società l’omosessualità viene giudicata negativamente, tenderà ad abbassarsi la quota di persone che si sentono omosessuali”. Quindi “la lotta all’omofobia... contribuisce alla moltiplicazione delle persone con tendenze omosessuali”.

Ma ecco la ciliegina sulla torta: “Il giudizio sociale negativo, compresa entro certi limiti la presa in giro informale, bonaria, di compagni e amici, è uno strumento di controllo sociale del tutto normale per ridurre la quota di comportamenti socialmente non desiderati”. Con il che il bullismo è elevato ad attività meritoria: niente botte, per carità, ma qualche “frocio” non può che far bene.

Criticato dal direttore dell’Adige e da un lettore, Gubert replica che la “gente” non apprezza i gay (?), e quindi è sbagliato “finanziare con denaro pubblico corsi che demonizzano coloro che ritengono l’omosessualità una condizione umana non desiderabile, definendoli impropriamente omofobi... Ciò è retrivo autoritarismo”.

I commenti sul sito dell’Adige contestano quasi tutti, in maniera dura ma garbata, le idee di Gubert.

Alex, gay 49enne, spiega pazientemente al sociologo: “Quando una società è tollerante, gli omosessuali sono meno terrorizzati di esporsi, e quindi possono sembrare di più. Nel terrore scompaiono tutte le differenze: gli ebrei si convertono, gli omosessuali si reprimono e si sposano”.

E Stefano, 35enne etero, aggiunge: “Ho avuto compagni di classe effeminati che hanno subito umiliazioni al punto di dover simulare storie etero per essere considerati normali. Oggi alcuni di questi hanno trovato il coraggio di vivere la propria sessualità in modo più naturale, dichiarandosi per quello che sono, altri probabilmente stanno ancora nascondendo la loro natura, per non apparire diversi”.

Un solo paladino dell’omofobia, un tal Rino per il quale “quei corsi sono una schifezza, non permetterei a mio figlio di parteciparvi. Molto più utile far ai nostri giovani un corso di nuoto o di ballo”.

Le repliche sono educatamente scherzose: “Di ballo? Che audacia! Non ha paura che il suo virile figlio possa diventare omosessuale?”, “Forse non hai capito. Si tratta di corsi che abbiano come obiettivo la lotta all’omofobia non di corsi che ti fanno diventare il figlio ricchione”. ?