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QT n. 4, aprile 2021 Servizi

Studiare con la DAD

Da un questionario somministrato agli studenti di un liceo di Riva emergono gravi difficoltà e scontentezze. Ma tanti di questi problemi c’erano anche prima del Covid

Renata Attolini

Di didattica a distanza si parla ormai da mesi, a tutti i livelli, esprimendo punti di vista a volte antitetici. Questa volta a parlarne sono gli studenti di una classe del Liceo Andrea Maffei di Riva del Garda, coordinati dal loro professore di scienze Paolo Minghetti, e lo fanno scientificamente, attraverso un questionario sottoposto a 450 studenti.

L’esigenza di analizzare, di condividere, di comunicare e di porre il problema a tutti gli attori coinvolti in questa scelta si è fatta sentire, sempre più forte, di connessione in connessione, davanti a telecamere che non potevano mascherare la noia, la depressione, la demotivazione.

Tempo di concentrazione. 10 minuti 4,5%; 20 minuti 19,9%; 30 minuti 36,9%; 40 minuti 25,3%; 50 minuti 4,5%; Altro 8,8%.
Difficoltà incontrate a lezione. A concentrarmi 37,6%; A seguire la lezione 36,1%; A gestire tempo libero è lo studio 21,6%; Nessuna 4,0%; Altro 0,7%.
Emozione durante la didattica a distanza. Annoiato 31,2%; Stressato 25,3%; Triste 9,5%; Felice 3,0%; Ansioso 16,6%; Tranquillo 12,2%; Altro 1,9%.
Comprensione degli argomenti. Si 11,6%; In parte 42,7%; Metà 30,9%; Quasi niente 9,5%; No 0,7%; Altro 4,5%.
Aiuto da parte dei professori. Sì, molto 5,2%; Abbastanza 36,5%; Poco 37,0%; No, per niente 13,4%; Altro 7,9%.

Per inquadrare il problema va detto che in questo anno scolastico le lezioni si sono svolte completamente in presenza da settembre a ottobre; completamente a distanza da novembre a Natale; metà in presenza e metà a distanza nei mesi di gennaio e febbraio; nuovamente a distanza dalla seconda settimana di marzo.

Le lezioni a distanza si dividono in attività sincrona, la video-lezione, e asincrona, cioè le attività che ogni studente deve svolgere individualmente. Le ore di lezione in diretta sono passate dalle 16 ritenute inizialmente idonee per la salute psicofisica degli studenti, alle 20 a settembre, fino alle 27 di gennaio.

L’indagine degli studenti punta il dito sugli aspetti organizzativi e sull’atteggiamento degli insegnanti, per spiegare le sensazioni negative e i comportamenti con i quali hanno risposto alla situazione.

Dalle risposte alle domande chiuse emerge che oltre la metà degli intervistati ha difficoltà di concentrazione ridotta sia nell’intensità che nella durata, una forte sensazione di noia, scarsa comprensione degli argomenti trattati. Solo il 5,2% degli studenti si sente aiutato adeguatamente dai professori, mentre il 50,4% dichiara di ricevere poco o nessun aiuto. La maggior parte di loro (85,5%) passa dalle 2 alle 4 ore al computer per le attività asincrone oltre a quelle delle lezioni online, vedendo così ridotto drasticamente il tempo libero. Infine ben il 95,7% degli studenti intervistati ritiene che le verifiche, svolte solo nella settimana in presenza, dovrebbero essere assegnate anche nella settimana online.

La lettura delle riposte alle domande aperte evidenzia ancor più le difficoltà incontrate dai ragazzi. Se da una parte ci si trova a combattere con il senso di solitudine, lo stress, l’ansia, la perdita di motivazione, attribuibili soprattutto al momento tragico che si sta vivendo, dall’altra emerge un’incapacità da parte di troppi insegnanti di organizzare il lavoro in modo da contrastare, per quanto possibile, gli aspetti negativi di un nuovo modo di fare scuola. Quasi tutti gli intervistati fanno riferimento a un aumento del carico di lavoro, uno scarso rispetto dell’orario di connessione da parte dei docenti, il ricorso a modalità di lezione poco coinvolgenti e poco chiare, l’accumulo di verifiche nella settimana in presenza.

Del quadro che i ragazzi fanno dei loro insegnanti, pur tralasciando espressioni eccessive come “ci rovinano l’esistenza” e “ci stanno distruggendo”, si evincono aspetti critici che vale la pena approfondire: mancanza di fiducia nei confronti degli studenti e accuse alla loro, almeno presunta, mancanza di organizzazione; lezioni, quasi esclusivamente frontali, poco coinvolgenti; eccessiva insistenza sull’esigenza di finire il “programma”; ossessione per la verifica come unica fonte di valutazione; mancanza di collegialità e persino di dialogo tra professori; disinteresse per ogni forma di ascolto e confronto con gli studenti.

95 idee

Nel frattempo, a Torino, il Collettivo Rinascimento Studentesco ha “depositato” in piazza 95 idee per un’istruzione migliore. Spulciando tra i foglietti colorati, emerge un quadro molto simile a quello tracciato dai ragazzi del Maffei. Si chiede un maggior coinvolgimento degli studenti e l’attenzione a ciascuno per non lasciare indietro nessuno; il superamento della lezione frontale per un insegnamento attivo e partecipativo; un sistema di valutazione che non riduca lo studente a un voto e tenga conto dei diversi percorsi di crescita; la valutazione e formazione continua dei docenti su aspetti disciplinari, pedagogici e metodologici; la scuola come punto d’incontro tra associazioni, collettivi e cittadini della zona; un uso etico, consapevole e critico del digitale a scuola.

Davanti ad una frase del questionario -“Sono dell’idea che la didattica a distanza potrebbe anche funzionare, ma è evidente che sia (per molti casi) l’esaltazione di tutti gli aspetti negativi che già si vivono in classe” - può sorgere il ragionevole dubbio che i problemi della scuola esistessero già prima del Covid e che sia indispensabile superare la diatriba sulla presenza o non presenza a scuola, per fare in modo che quello che è stato un problema diventi un’occasione per affrontare finalmente i nodi irrisolti della scuola.

Resiste ancora, in Italia, un’immagine di scuola separata dal contesto socio-culturale di cui è servizio formativo; una scuola che utilizza la moneta fuori corso dei rituali didattici: lezione frontale, libro di testo, interrogazione.

È una scuola che non tiene conto del fatto che le conoscenze, sono relative e provvisorie, messe costantemente in crisi dai rapidissimi cambiamenti in ogni campo del sapere, e che i ragazzi sono bombardati da miliardi di informazioni da agenzie di conoscenza alternative, a cui la scuola deve saper dare ordine e senso.

È una scuola che si richiama ancora al programma, che non esiste più, soppiantato dal 2012 da indicazioni provinciali e nazionali che invitano ad abbandonare l’idea di un sapere enciclopedico, verso un curricolo essenziale che metta al centro i contenuti e gli strumenti fondamentali del conoscere, che promuova processi e metodi per l’apprendimento, che sviluppi competenze per la vita.

La scuola non può più limitarsi ad informare, deve abbandonare definitivamente l’idea di riempire le teste di nozioni per imparare a fornire ai ragazzi la capacità di imparare a conoscere in modo critico, consapevole, autonomo, collaborativo, perché la conoscenza non è univoca e dogmatica, ma cresce, si modifica, evolve, cambia, e i suoi protagonisti cambiano con lei.