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Bolsonaro o Lula? Per ora vince il Covid

Il presidente cambia i vertici dell’esercito, ma il leader del PT senza un passo indietro rischia al secondo turno

Tre fatti hanno pesantemente occupato pagine e file dei media brasiliani e internazionali nelle ultime settimane. Il primo: il presidente Jair Bolsonaro ha sostituito il ministro della Difesa Fernando Azevedo e Silva, causando le dimissioni dei tre comandanti di Esercito, Aviazione e Marina, Edson Pujol, Antonio Carlos Bernardes e Ilque Barbosa Junior. Il secondo: il Supremo Tribunale Federale (STF) ha annullato le due condanne a carico dell’ex presidente e leader del Partido dos Trabalhadores (PT), Inácio Lula da Silva, rimettendolo in corsa per le presidenziali del 2022.

Terzo: oggi il Brasile corre verso la cifra spaventosa di 350.000 morti per Covid, centinaia di ammalati ogni giorno non trovano posto nei reparti di terapia intensiva, qualcuno è intubato senza l’uso di sedativi, mentre nel Paese la produzione di bombole di ossigeno è giunta al limite massimo, e non superabile, di produzione. Questi accadimenti hanno portato molti osservatori a sentenziare che Bolsonaro ha perso l’appoggio dell’esercito, motore centrale del potere politico in Brasile, e che per la sinistra ora si aprono grandi possibilità di vincere le prossime elezioni presidenziali. Ma le cose non stanno così.

Il presidente brasiliano, tra febbraio e marzo, aveva aumentato le pressioni sui militari affinché si schierassero al suo fianco apertamente. Più o meno tramite un finto golpe (che lasciasse comunque lui al centro del potere), contro le sempre più decise insistenze dei governatori in favore di un duro lockdown nazionale per fermare il correre travolgente dell’epidemia.

Luiz Inácio Lula da Silva

Ma gli alti gradi militari non sono mai stati d’accordo con lui sul negazionismo. Anche se sono la fonte di ogni tipo di anticomunismo, che rappresenta il collante sociale ed ideologico della borghesia brasiliana a partire dal secondo dopoguerra, sulle tracce della potenza “coloniale” di riferimento, gli USA. C’è dietro di loro una parte dell’alta borghesia industriale, finanziaria e degli affari. Per questo quando Bolsonaro ha sostituito il ministro della Difesa Walter Braga Netto, la triade di generali ha dato le dimissioni. Nessuna vera rottura, non un pronunciamento democratico in Brasile, di un esercito che continua a stare dietro il sipario del potere, condizionandolo pesantemente con la minaccia latente di un intervento diretto. In verità nessun governo civile in Brasile e nel mondo ha conosciuto una presenza così massiccia di militari al suo interno come l’attuale. Che ai massimi livelli ha visto ministri (come quello recentemente dimissionato della Sanità, generale Eduardo Pazuello) ancora in attività nelle forze armate ma, soprattutto, ha conferito 6.000 incarichi durante i primi due anni del nuovo mandato a 6.000 uomini con le stellette. Poltrone strapagate e con alto tasso di potere nelle mani. Quindi oggi Bolsonaro continua ad avere un seguito tra la maggioranza dei gradi intermedi dell’esercito, ma ora ha anche piazzato uomini devoti nelle posizioni di comando e al ministero della Difesa.

Il giudice del STF Edson Fachin ha annunciato l’annullamento delle due condanne nei confronti di Lula, in passato tenuto in prigione per più di 500 giorni, relative a processi per corruzione. Reati venuti a galla a seguito delle indagini condotte dall’ex giudice del Tribunale Federale di Curitiba Sérgio Moro, in seguito ministro della Giustizia, poi “dimissionato”, nel governo Bolsonaro. Ma l’annullamento non si è basato sull’inesistenza dei fatti di corruttela (inchiesta Lava Jato), ha solo sentenziato che Moro non poteva essere il giudice naturale di Lula e che, secondo alcune intercettazioni, non è stato nemmeno un giudice “terzo” e indipendente.

Il leader per ora indiscusso del PT si è trovato così ad essere rilanciato nella battaglia per le presidenziali del 2022. Un sondaggio di PoderData di metà aprile ha determinato che nel secondo turno batterebbe Bolsonaro col 52% dei voti contro il 34%. Ma ha anche suggerito che altri due possibili candidati, il presentatore televisivo di Rete Globo Luciano Huck e l’ex governatore e ministro di sinistra Ciro Gomes, sconfiggerebbero l’attuale presidente in un eventuale ballottaggio. E due altri, tra cui lo stesso giudice Sérgio Moro, potrebbero arrivarci vicini. Il secondo sarebbe Luiz Mandetta, uno dei vari ministri della Sanità silurati dal presidente, in quanto favorevole ad una battaglia più seria contro il Covid.

Sempre PoderData rivela che se al secondo turno arrivasse invece l’attuale governatore di S. Paolo João Doria, paladino della battaglia anti Covid e fautore attivo di una vaccinazione a tappeto, con Bolsonaro se la giocherebbe alla pari. Ma che, stando alle preferenze di oggi, quest’ultimo sarà comunque uno dei due candidati che taglieranno il nastro del secondo turno. Con la possibilità di attrarre i voti di coloro che “si tappano il naso”.

Jair Bolsonaro

Un’altra indagine a campione, stavolta di DataFolha, ha stabilito infatti che un 30% degli aventi diritto al voto dicono che voterebbero per Jair Bolsonaro nei due turni elettorali. I sondaggi mensili quindi suggeriscono che il presidente non è affatto spacciato e che Lula potrebbe non essere il migliore candidato della sinistra alla presidenza.

Ma hanno anche suggerito che la lotta alla pandemia, nei prossimi mesi e probabilmente anche nel 2022, dovrebbe confermarsi come il vero discrimine elettorale. Se però si volesse tentare un’indagine di classe sul corpo elettorale e le sue preferenze attuali, si potrebbe azzardare che una parte della borghesia industriale, schifata dal negazionismo presidenziale nei confronti della pandemia, potrebbe votargli contro se non cambierà in fretta atteggiamento. Di qui un presidente che, in due mesi e con una giravolta di 365°, ha indossato, pur controvoglia, la mascherina e ultimamente ha dichiarato che ora la battaglia dei brasiliani e del governo “è il vaccino”. Per ingraziarsi quegli industriali ma anche non allontanare quegli elettori di classi medie e medio basse (commercianti, ristoratori, baristi, piccoli e medi uomini d’affari ma anche lavoratori che non vogliono perdere il posto, pure di origine trentina come abbiamo recentemente verificato) che non hanno voluto e non accetteranno mai una politica di lockdown aggressivo. Una ennesima giravolta del presidente che, come ha scritto l’analista Philipp Lichterbeck, “si alimenta del caos, ha bisogno della polemica, della provocazione e della contraddizione che sono il motore della sua politica da sempre”. Abbinata, diciamo noi, ad una alta propensione al cabotaggio affaristico e clientelare che è la ragione della sua presenza in politica.

Incertezze a sinistra

A sinistra, però, Lula non avrà vita facile: c’è molta ostilità in parte importante dell’elettorato verso di lui. DataFolha (il giornale la Folha di S. Paolo, centrosinistra, è il più venduto in Brasile) sostiene che il 57% dei suoi “sondaggiati” ritiene che la sentenza, relativa ai tantissimi soldi della Petrobras (ma non solo) intascati dal PT che li usava per comprare il consenso parlamentare (inchiesta Lava Jato), è giusta. E il 51% critica il giudice Fachin che per il momento ha liberato Lula.

È probabile che la stessa ostilità scemerebbe se al posto dell’ex operaio metallurgico si presentasse per la sinistra, o addirittura un costruendo centrosinistra, un altro personaggio. Chi lo sa se il “petista” Fernando Haddad che all’ultimo ballottaggio per le presidenziali, con Lula in galera, prese il 44,5% dei voti in palio. Oppure Ciro Gomes. O magari, quel Guilherme Boulos, sinistra extra PT, che ha definito la Commissione d’Inchiesta sulla Pandemia istituita settimane fa dal Parlamento, un’inchiesta “sul genocidio per Covid voluto da Bolsonaro” che, tra le altre nefandezze, ha fatto comperare ai suoi ministri 90 milioni di real di clorochina ed ha rifiutato di firmare un contratto di acquisto, iniziale, di 70 milioni di dosi di vaccino Pfeizer. Sinora all’interno del PT Lula non vuole fare passi indietro e non si sono levate voci per convincerlo. Tattica o strategia?

La Commissione d’inchiesta costituirà comunque un’arma in mano al centro dello schieramento politico al parlamento di Brasilia, o Centrão, che ha sempre difeso i propri stretti interessi, mettendo in vendita spesso il voto parlamentare. Oggi forza indispensabile dello schieramento che sostiene Bolsonaro, non può andare alle elezioni dopo una campagna anti Covid scandalosa e disperante come quella intrapresa fino all’altro giorno dal presidente. Del resto, sia Fernando Collor de Mello che Dilma Roussef persero la presidenza proprio a causa di una commissione d’inchiesta parlamentare.

Riferendosi ai governi nazionali ed ai governatori brasiliani favorevoli al lockdown in tempi di alta circolazione del Covid, Bolsonaro è sbottato: “Oggi capiamo cos’è il comunismo e quale è il prototipo dei dittatori che decidono il divieto di culto, il coprifuoco, le restrizioni alla circolazione”. Si riferiva al potenziale concorrente alla presidenza, il governatore di S. Paolo João Doria?

Buffo pensare che quella fotografia potrebbe essere quella di Boris Johnson che in tanti modi può essere definito. Fuorché comunista.