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QT n. 3, marzo 2023 Servizi

La “primavera calda” inizia con le maestrine

Davanti alla Provincia 200 educatrici dei nidi: "Coop e Pat, basta speculare su 100 euro di aumento per chi ne prende 1.000 al mese". Come la privatizzazione del Welfare ha creato mostri

Duecento educatrici e ausiliarie di asilinido delle coop sono scese in piazza a Trento il 26 gennaio. Un accadimento che pare venire dal passato e invece probabilmente aprirà un nuovo futuro: dopo 30 anni nei quali la media dei salari è aumentata del 30% e più in Germania e Francia e calata invece in Italia, un nuovo autunno caldo è alle porte. Che si è annunciato a Trento con questa “primavera calda”.

Erano state convocate da Cgil e Cisl alla sala Garibaldi, sede Cgil che può ospitare fino a 100 persone, le lavoratrici dei nidi. Se ne sono presentate 200 e si è deciso di spostarsi in piazza Dante per manifestare davanti alla Provincia. La ragione del contendere: le donne delle coop sociali da 4 anni chiedono l’applicazione del contratto nazionale di lavoro mentre i nidi non comunali (coop come Bellesini, Città Futura, Proges, Amica, Coccinella ecc.) e la Provincia si palleggiano le responsabilità. Le esternalizzazioni di molti nidi hanno fatto in modo che, mentre lo stipendio di una educatrice “comunale” arriva ai 1.450 euro, nelle coop sociali giunge ai 1.000-1.100.

Il contratto nazionale del 2019 aveva stabilito che le lavoratrici con un titolo dovessero essere inquadrate nel livello D2. Ma in Trentino ciò è stato riconosciuto solo a chi ha la laurea in Scienze dell’Educazione. Chi invece dispone di Baby life (corso post diploma di 1.000 ore che fino al 2015 era riconosciuto come idoneo) da 4 anni non riceve quei 100 euro in più al mese. Troppo per chi si spupazza per 30-36 ore settimanali anche 8 o più bambini dai 3 mesi ai 3 anni di età. Coop e Provincia? "Non ci sono risorse" dicono gli uni; "Il contratto è quello che è" rispondono gli altri. "Ma la normativa provinciale – ribatte il sindacato – riconosce ancora il titolo del Baby life".

Non si tratta di poca cosa, 100 euro su 1.000 fanno il 10% e qui stiamo parlando di chi sta sugli ultimi gradini della scala salariale. Ciò è potuto accadere perché a un certo punto il mondo politico e amministrativo ha deciso di esternalizzare certi servizi di welfare, partendo dai nidi per giungere alla sanità. Con l’intento di risparmiare. Quindi, appalti dei servizi rinnovati ogni 3 anni con la necessità, per vincerli, di comprimere al limite i costi: che in un asilo nido sono solo quelli del personale e dell’alimentazione. Un primo disastro: stipendi diversi per chi offre lo stesso servizio. E dal 2019 la seconda discriminazione: chi ha il diploma universitario guadagna di più di chi ha il Baby life, ma sta facendo crescere professionalmente la collega. Abbiamo parlato di questo con Roberta Piersanti, Funzione Pubblica Cgil, ed Ermanno Ferrari, Fisascat Cisl.

Perché proprio ora?

Piersanti: "Le lavoratrici sono giunte all’esasperazione. Dopo il Covid e dopo un contratto che finalmente riconosceva loro un livello in più, pur nelle differenze tra pubblico e privato. Cgil e Cisl in questi anni hanno fatto un buon lavoro, cercando di far acquisire consapevolezza alle lavoratrici. Che non sia corretto il livello di inquadramento riconosciuto loro lo ammette la Federazione che dichiara solidarietà a queste lavoratrici: 'Noi glieli daremmo questi soldi ma non li abbiamo'. A conferma che queste donne sono sotto-inquadrate. Negli anni si è assistito ad un progressivo peggioramento delle condizioni di lavoro: il numero di bambini aumenta, la formazione diminuisce, si fanno economie per far quadrare i conti".

Processi avviati ai tempi del centrosinistra autonomista. I prossimi sviluppi?

Ferrari: "La situazione è particolare. Il mondo del sociale e quello dei nidi è permeato da uno spirito di missione e l’attività sindacale è più complicata. Negli ultimi tre anni siamo intervenuti su tutte le gare di appalto. Lavoro complesso, col sindacato che avvicinava ogni lavoratrice coinvolta in un appalto. Perché ci siamo accorti che nei cambi di appalto dove il lavoratore non ci chiamava, il rispetto della clausola sociale previsto da leggi e contratto non sempre era garantito. Quando da un appalto esce una cooperativa e ne entra un’altra, la legge provinciale 2 del 2016 garantisce l’applicazione della clausola. E anche il contratto collettivo nazionale all’articolo 37 prevede lo stesso: a parità di condizioni di appalto devono essere eguali il tempo indeterminato, monte ore contrattuale, livello di inquadramento e scatti di anzianità. Visto che l’esternalizzazione degli asili nido si riverbera sulle cooperative e di conseguenza sui lavoratori, su questi cambi d’appalto ci pare che non sempre sia stato garantito, ad esempio, il mantenimento del monte ore contrattuale. Che rappresenta una delle problematiche significative: l’estrema flessibilità. Abbiamo però verificato la difficoltà di agire con certe cooperative: se tu fai un’offerta al ribasso, trattandosi di appalto la cui componente più significativa è il costo della manodopera, spesso non hai margini. Così li ottieni risparmiando sul personale o sull’alimentazione. La complessità è riuscire a strutturare questa massa di persone: non siamo in fabbrica dove ci sono i delegati sindacali e quindi in qualsiasi momento si può chiamare all’assemblea. Si agisce su 40-50 sedi di lavoro. Non abbiamo avuto riscontri formali: né la Federazione, né la Provincia e nemmeno le Cooperative ci hanno convocati. Allora abbiamo atteso i tempi canonici, sentito i nostri iscritti e dichiarato lo stato di agitazione. Alzando l’asticella del confronto sindacale. Ora vediamo quali saranno le mosse della controparte. La posizione della Cisl è che se vogliamo ripristinare il rispetto del contratto collettivo e ridurre il gap retributivo fra dipendenti pubbliche e dipendenti delle coop dobbiamo coinvolgere la Provincia che è l’ente pagatore. Ci vogliono più risorse".

Il part time, passato da diritto a dovere, diventa uno spauracchio per le lavoratrici.

Piersanti: "Si tratta di una responsabilità enorme dell’ente pubblico che chiede molta flessibilità ai servizi esternalizzati. E ciò vuol dire part time. Perché due part time non fanno un tempo pieno a livello di disponibilità, flessibilità. Se io concentro le attività soprattutto in certe fasce orarie, chiaro che in quel servizio avrò bisogno di tre part time anziché di due tempi pieni. I tempi pieni nei nidi saranno ormai 5 in tutto il Trentino. Poi c’è l’abuso che viene perpetrato da alcune cooperative. Ce n’è una che assume con part time molto bassi a 18-20 ore (700 euro al mese per capirci) ma queste lavoratrici non fanno mai quelle ore: sono assunte da 10 anni ed hanno sempre fatto 28-30 ore. La legge dice che va garantito il monte ore legato al tempo indeterminato. Ma questo diventa uno strumento per ricattare le lavoratrici. Bene passare dalle 20 alle 30 ore, ma se la lavoratrice contesta il fatto che non le viene riconosciuta la formazione, che le vengono chieste troppe ore fuori dell’orario… l’anno dopo non saranno più 30 ore ma 25".

Le 200 educatrici in piazza Dante costituiscono un inizio di primavera calda?

Ferrari: "Potrà esserlo solo se si allarga il ragionamento all’intero ambito dei servizi esternalizzati. Il problema parte da lì. Il livello 2 per le educatrici col Baby-life si può garantire parlando con le coop. Ma dubito che in questo caso si possano ottenere anche gli arretrati. Guardiamo i bilanci delle coop e i numeri che presentano! La Cisl dice che dobbiamo coinvolgere la Provincia: perché è l’esternalizzazione che produce una complessità che viene scaricata sulle coop e infine sulle lavoratrici. Poi il problema è retributivo. In un momento in cui è scoppiata l’inflazione, chi ha le retribuzioni più basse soffre di più. Non solo i nidi: l’assistenza domiciliare se possibile sta ancora peggio. Tutti i servizi alla persona sono messi in discussione. Si può esternalizzare, ma se non ci metti i soldi adeguati tutto ricade alla fine sulle lavoratrici e sulla qualità dei servizi erogati ai bambini. Oggi capita che un’educatrice debba seguire anche 12 bambini e ciò vuol dire che gli equilibri sono saltati. La prassi negativa di una cooperativa di tenere il monte ore a tempo indeterminato basso la stanno seguendo le altre. Disarticolando il sistema. L’azione sindacale va strutturata per mettere in difficoltà sia le cooperative che la Provincia".

A sinistra i partiti sono evaporati e resta il sindacato per portare avanti i diritti dei lavoratori. In termini medio-brevi è prevedibile uno scoppio sociale? Abbiamo assistito all’assurdo che un falco tra la dirigenza imprenditoriale, Carlo Bonomi di Confindustria, abbia parlato più volte di necessità di un aumento del livello dei salari, magari agendo sul cuneo fiscale.

Piersanti: "A livello nazionale si stanno riaprendo i tavoli di contrattazione in molti settori. La controparte dovrà tenerne conto. Se così non fosse immagino che si arriverà ad una mobilitazione più incisiva. Anche se oggi non abbiamo più forze politiche che rappresentino i lavoratori. E da tempo si parla ormai di ‘lavoratori poveri’ che con 700 euro al mese non possono vivere. Ciò fa supporre che a breve si andrà verso una mobilitazione più generale. Si è compromessa la dignità di vita dei lavoratori, mettendo in crisi la tenuta dei servizi che erogano. Giocoforza se la privatizzazione ha portato a questo livello di salari, i lavoratori se ne vanno verso il pubblico o in altri settori. Così nei nidi si è arrivati a pensare all’assunzione anche di personale senza qualifica. Con delibera della giunta provinciale".

Ferrari: "Qui si aprirebbe uno spazio di unità per tutti i settori che si occupano di servizi alla persona, non solo educativi, perché sono servizi cardine che talvolta non sono adeguatamente rappresentati dai sindacati ma nemmeno a livello politico, pur costituendo una quota importante della popolazione trentina. Sindacato e politica? Il Trentino dovrebbe ritornare ad essere un laboratorio: se non riusciamo a mettere al tavolo i diversi attori per trovare un modo di assecondare le legittime aspettative di questi lavoratori, il rischio è la tenuta sociale. Se non si dà spazio alla concertazione, al confronto si rischia di assistere ad azioni violente".

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