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QT n. 6, giugno 2024 Servizi

Perfido”: il processo al capo

Innocenzio Macheda e Giulio Carini: due processi che rischiano di saltare per le condizioni di salute degli imputati.

Con il processo teoricamente più corposo, in quanto al (presunto) capo della locale ‘ndranghetista, Innocenzio Macheda, per di più in rito ordinario e non abbreviato, e quindi con escussione di molti più testimoni - di accusa, difesa, delle parti civili – si è entrati nel mese scorso nella seconda stagione dei processi ai (presunti) mafiosi della val di Cembra.

Diciamo subito che questo procedimento parte con un segno preciso. Ha infatti alle spalle tutte le condanne per associazione mafiosa, confermate in Appello e una addirittura in Cassazione, che i subalterni di Macheda hanno collezionato nei precedenti processi.

Sembra quindi smontata la diceria, presente a Cembra, secondo la quale tutta l’operazione “Perfido” fosse una grande montatura. Un risultato raggiunto anche perché le migliaia di pagine di intercettazioni sono state ritenute da tutti – giudici e anche avvocati difensori – attendibili, e quindi, come dicono i PM, delle vere e proprie “confessioni” difficili da ritrattare.

A questo punto la difesa di Macheda sembra improntata in tre direzioni: cercare cavilli procedurali per inficiare i passaggi finora effettuati; provare ancora a contestare l’associazione mafiosa; utilizzare l’infermità dell’imputato per dilazionare il processo e magari avviarlo su un binario morto.

Sui cavilli non ci si è ancora addentrati, anche se non sembrano più incisivi di quelli già presentati e respinti per gli altri imputati; l’associazione mafiosa sembra ormai assodata dalle precedenti sentenze; il tema attuale è piuttosto l’infermità di Macheda. L’imputato infatti è tutelato dall’articolo 72 bis del Codice penale, che prevede la sentenza di non luogo a procedere qualora lo stato fisico-mentale dell'imputato ne impedisca, irreversibilmente, la cosciente partecipazione al procedimento. Non si può processare e condannare una persona che ha perso, e per sempre, le capacità cognitive. Giusto.

La difesa ha quindi presentato la relazione del prof. Antonini, docente di Neurologia all’Università di Padova, che dichiara Macheda affetto da “malattia di Parkinson avanzata di lunga durata” che comporta “evidenti e significative difficoltà fisiche, motorie e cognitive che nella mia esperienza compromettono la sua capacità di sostenere lunghi periodi in un’aula di tribunale”.

A nostro avviso è una perizia che non dovrebbe ostare più di tanto il procedimento: se l’imputato non può sopportare “lunghi periodi” in aula, basta spezzare le udienze, cosa che peraltro si fa sempre. In ogni modo la corte, presieduta dal dott. Rocco Valeggia, prestato a Trento da altro tribunale, ha deciso di far effettuare una perizia medica sull’imputato, per poi procedere conseguentemente.

Il tema della perizia ci porta ad un ulteriore discorso. E’ stata infatti archiviato, per “irreversibile stato di incapacità dell’imputato” il procedimento a carico di Giulio Carini.

La cosa è grossa e anche pesante. Il cavalier Carini infatti, stando alla ricostruzione fatta dagli inquirenti e a suo tempo confermata dal Gip “partecipe dell’associazione criminale... esercita un ruolo di raccordo e collegamento con la Calabria e con le istituzioni politiche, economiche, amministrative nonché con la magistratura”.

E’ quindi un personaggio centrale nella vicenda, era il promotore delle mitiche “cene di capra” in cui interloquiva con le massime autorità statali, dal Presidente del Tribunale al vicequestore all’ex prefetto.

Sarebbe oltremodo interessante, anzi doveroso, essere in grado di venire a conoscere come mai, grazie a quali agganci Giulio Carini riuscisse ad aggregare così tanti personaggi tanto influenti.

L’archiviazione invece blocca tutto questo. Ora ci chiediamo: anche per Carini è stata effettuata una perizia richiesta dal Tribunale come succede ora per Macheda? Oppure ci si è affidati alla documentazione prodotta dai suoi legali?

Comunque il processo ai cosiddetti colletti bianchi, politici, carabinieri ecc sarebbe dovuto iniziare molto tempo fa, avendo la Procura già avanzata da molti mesi la richiesta di rinvio a giudizio.

E ad oggi non abbiamo ancora la data del processo, sappiamo solo che Carini ne è uscito, come si sono perse le tracce del generale Dario Buffa, presente nell’avviso di conclusione delle indagini preliminari ma non nella richiesta di rinvio a giudizio.

Questo, lo ricordiamo, è stato definito dallo stesso Consiglio Superiore della Magistratura, “il processo più importante del Tribunale di Trento”. Non capiamo come, alla doverosa solerzia verso i vertici calabresi della locale ‘ndranghetista, faccia da contraltare questa neghittosità verso i colletti bianchi.

Questo ritardo, come pure l’eccesso di buonismo che sta permettendo la permanenza in Cembra dei condannati, si sta ripercuotendo nella percezione del pericolo mafioso da parte della popolazione cembrana.

Un aspetto centrale. La reazione della popolazione a un’infiltrazione che oggi la Cassazione etichetta come mafiosa, è decisiva.

Questo aspetto lo abbiamo indagato ed approfondito attraverso un sondaggio a Lona-Lases, in collaborazione con Libera e grazie alla supervisione scientifica del prof. Carlo Buzzi: le risultanze vengono presentate nelle pagine successive.