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Venezia, altri 5 film

Delle volte si ha l’impressione che negli anni le giurie della Mostradi Venezia, una volta aggiudicati il Leone d’oro e d’argento, utilizzino la Coppa Volpi al miglior attore come un premio per il terzo posto di un film. Non che il vincitore Toni Servillo, molto bravo e misurato in La Grazia di Paolo Sorrentino, non la meritasse, ma la sensazione è quella di una sineddoche: il suo nome per tutto il film. E questo anche in virtù della centralità del protagonista in una sceneggiatura scritta e diretta da un regista al quale l’attore è storicamente così legato. Ma su questo terzo posto forse ha pesato anche il fatto che il film ha caratteristiche marcatamente nazionali, non del tutto colte da una giuria internazionale. Mariano De Santis è un immaginario presidente della Repubblica Italiana, vedovo, cattolico, con un una figlia, Dorotea, giurista come lui. Alla fine del suo mandato deve decidere su due delicate richieste di grazia. Veri e propri dilemmi morali che si intersecano con la sua vita privata. Mosso dal dubbio, dovrà decidere con gran senso della responsabilità. Ma la sceneggiatura, scritta benissimo e senza ascendenze felliniane, è ancora più ricca. La rappresentazione del nostro paese e la sua politica è immersa nei temi dell’etica, della morale, del dubbio, dei rapporti padre-figlia, dell’amore in tutte le sue diramazioni. Un bel film, serio, misurato con un bel protagonista con il quale confrontarsi da semplici cittadini, ma anche ironico e a tratti divertentissimo, specie quando appare la dissacrante Milvia Marigliano.

La Grazia

Ancora un film morale con À pied d'œuvre (At work) di Valérie Donzelli, che racconta la storia vera di un fotografo di successo che rinuncia a tutto per dedicarsi alla scrittura e scopre la povertà, il prezzo più alto da pagare per la propria libertà. Messa così, la storia può risultare anche apprezzabile, il punto è che il film, in questa calata nell’inferno dello sfruttamento del lavoro più povero, risulta ambiguo e quasi disonesto nel mostrare un protagonista che ci si sprofonda per scelta e ne esce pure vincente. Insomma, un borghese, un artista che fa questa esperienza, ma non per obbligo, non perché non ha altre possibilità, ma per scelta esistenziale, letteraria, quasi romantica. Ed è così che tutto il messaggio sociale del film se ne va in malora, alla faccia del vero dramma dei poveri ultimi che da quella condizione non hanno nessuna possibilità di emanciparsi.

Sotto le nuvole di Francesco Rosi è un viaggio in un territorio abitato da librai maestri, devoti, turisti, archeologi, marinai, cavalli da corsa, ritratti in un rigoroso documentaristico bianco e nero. Un percorso sulle tracce della Storia, lo scavo del tempo, la vita di ogni giorno dentro una Napoli non conosciuta, periferica, dai Campi Flegrei ad Ercolano, dalle navi del porto alla centrale dei Vigili del fuoco. Ancora un ritratto tra il vero e il possibile, tra mare, cielo e Vesuvio. Una Partenope al suo opposto.

L’Étranger (Lo Straniero) di François Ozon è un nuovo adattamento del romanzo di Albert Camus. E non deve essere stato facile realizzare un film da un capolavoro tra i più noti della letteratura, che tutti hanno messo in scena nella propria mente. Il risultato è un adattamento equilibrato tra fedeltà al testo e libertà di interpretazione. La storia è nota: Algeri, 1938: Meursault vive apaticamente finché un delitto commesso su una spiaggia sconvolge la sua esistenza, portandolo verso un destino ineluttabile. Con un protagonista sfuggente, senza obiettivo, indifferente al mondo e vicende che mancano quasi completamente di eventi, è proprio l’elusione delle norme e delle aspettative che rende storia e personaggio interessanti. Appropriato ed efficace il bianco e nero utilizzato nella ricostruzione scenografica di una città coloniale afro/mediterranea dalla luce accecante, in contrasto con i cupi misteri interiori. Ognuno poi valuterà le personalizzazioni del regista che, forse un po’ condizionato dalla contemporaneità, ricalibra la presenza della controparte araba assegnandole battute pesantemente significative.

Frankenstein

Anche la megaproduzione Netflix di Frankenstein di Guillermo del Toro è una nuova versione del notissimo romanzo. Improntato ad un gotico disneyano molto fumettistico, il film risulta affascinante e godibile solo per 2/3. Cioè fino all’ultimo ripetitivo capitolo, in cui le vicende sono raccontate dal punto di vista del mostro. Qui il rapporto della cultura occidentale e dello spirito positiva del XIX secolo, a confronto con la figura del mostro, la sua natura, le sue origini, la sua umanità, perde ritmo e peso. Le vicende, immerse in scenografie, costumi ed effetti speciali fastosi, si scontrano insomma con i nuovi parametri di durata dettati dalle piattaforme, e ben prima della conclusione delle 2h 30’ trapela la noia. Peccato, perché nonostante si sia abbastanza lontani dallo spessore morale de La forma dell’acqua, il film per buona parte funziona, annoverando anche una battuta fenomenale sul conto del dottor Frankenstein: “Come tutti i potenti si comporta da vittima”, con rimando non troppo nascosto a modalità attuali di gestione del potere..

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