Corpi assenti ma istanze presenti
Oriente Occidente
Si è conclusa il 13 settembre a Rovereto la 45 edizione di Oriente Occidente, uno dei festival più longevi e apprezzati della scena locale e internazionale, capace di coniugare tradizione e innovazione attraverso l’incontro e il dialogo tra culture. Quella del 2025 è stata per certi versi un’edizione anomala: tesa più di altre verso un teatro-danza di valenza non solo estetica ma anche politica, inevitabilmente influenzata dai conflitti e dalle lacerazioni che costellano lo scenario mondiale.
L’intenzione dichiarata era quella di abbandonare temporaneamente le rotte del Mediterraneo, già ampliamente sondate nel triennio precedente, per dare il via a una nuova stagione, significativamente intitolata “Corpi assenti” e inaugurata da un evento di grande portata simbolica, nato proprio da una fuga forzata dalle estremità orientali del Mediterraneo e dalla volontà di dar voce ai corpi martoriati di chi in quelle terre è costretto a rimanere. Il concerto del collettivo “Radio Gaza”, formato da musicisti gazawi impegnati a diffondere in Occidente la musica palestinese, ha aperto le danze il 3 settembre grazie alla collaborazione tra Festival, Comune di Rovereto e numerose associazioni cittadine: un inizio di grande impatto e partecipazione che, oltre a lanciare un messaggio senza confini, suggella anche lo stretto legame con la “Città della pace”, le cui piazze si sono riempite in occasione di tutti gli spettacoli pubblici del Festival.

Passando invece alle proposte più prettamente teatrali, la dicotomia tra la risposta ‘occidentale’ e quella ‘orientale’ alle sfide del presente è apparsa a tratti piuttosto evidente: più astratta e concettuale la prima, più sciolta e naturale la seconda.
Si collocano infatti agli antipodi gli spettacoli della Compagnia norvegese Carte Blanche, diretta dalla coreografa ungherese Eszter Salomon e quello ideato dalla cinese Yue Yin. La prima, con Monument 0.10: the living monument, ha tenuto inchiodato alle sedie il pubblico del Teatro Zandonai per oltre due ore nell’assistere ad un ipnotico quadro vivente in lentissima trasformazione; la seconda ha invece ipnotizzato l’Audiotorium Melotti con la sua coreografia Somewhere, ispirata alla teoria dell’IChing e fluttuante tra la ricerca di equilibrio costante tra i cinque elementi. Analoga difformità anche tra il lavoro della sudamericana Amanda Piña, che in Danzas climaticas ha voluto trasmettere il suo impegno sociale attraverso uno spettacolo quasi del tutto immobile, e il lavoro scanzonato della giovane Yoko Omori, che si diverte a mescolare l’estetica giapponese kawaii con la cultura del balletto occidentale, reinterpretata con uno sguardo estremamente ironico e non convenzionale.
Si collocano nel solco della danza tradizionale, anche se attualizzata e contaminata dall’intreccio con la danza e il circo contemporaneo, due degli spettacoli di maggior impatto scenico e successo di pubblico: Nambi – The african shieldmaidens, prodotto da Batalo East, organizzazione ugandese dedicata all’affrancamento dei giovani attraverso la danza, e Yé del Circu Baobab, compagnia fondata in Nuova Guinea nel 1998. Entrambe le performance, la prima tutta al femminile e la seconda quasi completamente al maschile, hanno portato a Rovereto la potenza ritmica e ancestrale della danza africana, in grado di rinnovarsi senza perdere mai la forte impronta delle origini. Sospesa invece tra due identità culturali, la danzatrice franco-algerina Dalila Belaza in Orage ha proposto un’originale duetto con il chitarrista rock Serge Teyssot-Gay, all’insegna dell’ibridazione tra linguaggi diversi ma in grado di compenetrarsi sulla scena.
Il dialogo tra danza e sonorità estreme ha contraddistinto anche il laboratorio e la performance per non professioniste diretta di Gloria Dorliguzzo Dies irae. Concerto per donne e martelli, il cui titolo esplicita il fulcro dell’azione scenica fatta di suoni e gesti ‘martellanti’, e lo spettacolo Birdsong di Salvo Lombardo, ispirato alle sonorità decisamente più soavi del “chiocchiolo”, pratica tradizionale di richiamo degli uccelli tramite fischietto o voce.
La mutevolezza delle forme, tra uomo, animale e la moltitudine di identità che ognuno può contenere è stata invece ben rappresentata dalle performance di Sofia Napi e J Neve Harrington, nonché dallo scenografico Último Helecho, sorta di operetta in chiave contemporanea, accompagnata da musiche tradizionali argentine e peruviane. E proprio dal Sudamerica arriva l’accorato appello di Amanda Piña ai critici in sala di non parlare solo di danza, ma di quello che succede nel mondo, appello che speriamo sarà preso in carico anche dal nuovo co-direttore artistico del Festival, lo spagnolo Marcos Morau.