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QT n. 6, giugno 2025 Seconda cover

Edilizia in collina: il Comune, cosa combina?

Un altro caso di autorizzazioni che calpestano le regole urbanistiche.



Avevamo titolato “La devastazione autorizzata” l’inchiesta sulle nuove edificazioni nella collina di Trento (vedi QT del dicembre 2024).
Il tema era l’abisso tra il dire e il fare delle ultime amministrazioni comunali: parole altisonanti sulla vitale importanza del suolo e in particolare delle aree agricole, da preservare assolutamente, e poi una pratica che va in direzione opposta. O meglio, le disposizioni vengono fatte rispettare con draconiana severità quando si tratta di interventi proposti da normali cittadini; vengono invece travolte quando di mezzo ci sono grandi imprese e grandi investitori.
Ed ecco così l’asfalto di generosi parcheggi sostituire il verde agricolo, e grandi condomini spuntare come funghi al posto di case contadine.
Abbiamo intervistato il sindaco Franco Janeselli e l’assessora all’urbanistica Monica Baggia, che hanno allargato le braccia trincerandosi dietro normative che avrebbero permesso questi scempi, e che ora avrebbero sicuramente cambiato.
Per noi le cose non stavano così: ci si trovava invece di fronte ad interpretazioni capziose che favorivano le grandi imprese. In ogni modo avremmo atteso le novità introdotte dalla variante più rigorosa che Baggia prometteva.
A noi le nuove normative non sembrano così risolutive come erano annunciate, anzi. Però il punto vero rimane il lavoro degli uffici comunali, incredibilmente solleciti nel venire incontro alle richieste dei grandi investitori al di là di quanto prevede la normativa.
Il caso che qui riportiamo riguarda un maso storico di notevoli dimensioni in località Gabbiolo, che insiste su un’area coltivata a vigneto e classificata come verde agricolo di pregio. Se ne dovrebbe dedurre che, a fronte della norma che su tali aree impone il rispetto delle caratteristiche paesaggistiche, di abbattere l’edificio non si sarebbe neppure dovuto cominciare a parlare.
Un gruppo di residenti preoccupati per le voci sempre più insistenti su un progetto di abbattimento del maso da parte della nuova proprietà - l’impresa Pisetta e, per quanto riguarda il vigneto circostante, la famiglia Lunelli - nel giugno 2023 interessa la Soprintendenza delle Belle Arti.


I sopralluoghi della Soprintendenza accertano la presenza nell’edificio di elementi architettonici da tutelare, e l’ipotesi abbattimento viene abbandonata. Comunque la Soprintendenza si sente in dovere di raccomandare che le soluzioni progettuali “non si limitino alla sola conservazione di quanto tutelato ai sensi degli artt. 11 e 50 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, ma che siano attente alla peculiarità del luogo”.
In collina si ritiene che, visti gli scandalosi precedenti, se non si fosse interessata la Sovrintendenza, gli uffici tecnici comunali avrebbero autorizzato la demolizione del maso e al suo posto la costruzione di alcuni condomini di lusso.
Noi – forse perché non scottati come loro dalla mala urbanistica di questi anni – non vogliamo essere così malfidenti. Però, esaminando il progetto presentato ed approvato, si rimane altrettanto sconcertati: ai progettisti è stato permesso di mettersi sotto i piedi non solo la raccomandazione della Soprintendenza sull’attenzione da porre “alla peculiarità del luogo”, ma anche basilari norme dell’urbanistica comunale.
Infatti i progettisti danno luogo ad un ampliamento della costruzione esistente, cioè del maso. Ora, gli ampliamenti sono in effetti previsti dall’articolo 57 bis del PRG anche per edifici esistenti in zone destinate all’agricoltura, ma... cosa significa ampliamento?
Qui entriamo nel campo delle disquisizioni tanto sottili quanto capziose che i tecnici comunali mettono in campo quando hanno di fronte il progetto di impresari di peso. Ampliamento significa, secondo la logica comune, ma anche secondo il parere dei tecnici da noi interpellati, estensione dell’edificio esistente, o in altezza o lateralmente o nell’interrato. Il progettista incaricato dai proprietari, invece, che fa? Al fine di massimizzare gli aumenti previsti dai vari bonus edilizi ancora in vigore (quelli che hanno permesso i recenti scempi, e per i quali Janeselli e Baggia si strappano i capelli), ha introdotto una nuova idea di ampliamento: in prossimità dell’edificio esistente ne progetta uno nuovo di zecca e collega i due manufatti con una passerella che dovrebbe fungere da accesso all’edificio aggiunto.
Detta così, sembra una storiella raccontata tra addetti ai lavori che hanno voglia di prendersi in giro.
In realtà è proprio quanto i disegni del progetto mostrano, e poiché si tratta dei disegni con cui è stata concessa la licenza per costruire, evidentemente i valorosi tecnici degli uffici comunali con questa originale estensione del concetto di ampliamento, concordano.
Ad aggravare il tutto vi sono due ulteriori aspetti. Per uno dei due appartamenti realizzati nel nuovo edificio l’ingresso attraverso la passerella aerea è fittizio, in quanto immetterebbe nella cucina; ed infatti il “vero” ingresso si trova invece a piano terra. Inoltre, volendo fare passare come ampliamento il nuovo manufatto, lo si costruisce senza rispettare l’obbligo di distanza minima tra gli edifici.
Ancora la manna degli “spazi comuni”
Seconda anomalia. Il PRG prevede che nei casi di nuove costruzioni o di demolizione e ricostruzione siano previsti degli spazi comuni (deposito biciclette, spogliatoi, aree gioco per bambini). Nel conteggio dei metri quadri approvati queste superfici non vengono considerate, ossia non figurano nella cosiddetta SUN (superficie utile netta).
Avevamo visto nella nostra precedente inchiesta come questa opportunità sia stata usata ed abusata per aumentare superfici e volumi: la progettazione e costruzione di ampi depositi biciclette, spazi per assemblee condominiali, e avanti così, con inventiva e faccia tosta. A livello quantitativo tale operazione crea diverse superfici non conteggiate a livello residenziale, ma si sa che una volta depositato il fine lavori, commercialmente diventeranno superfici destinabili alle pertinenze delle singole unità immobiliari (stanze, uffici, cantine ecc.)
Qui è ancora peggio. Infatti gli “spazi comuni” sono previsti per le nuove costruzioni, come pure per le demolizioni\ricostruzioni, ma non per gli ampliamenti. E nel nostro caso - un ampliamento che pur anomalo con la passerella aerea, è stato definito “ampliamento” – gli spazi in più sono stati progettati e incredibilmente approvati.
Qui siamo nel ridicolo. Cosa hanno da dire gli uffici tecnici? Cosa ha da dire la responsabile dell’edilizia privata arch. Miorelli, che già da noi intervistata aveva fatto capriole per giustificare l’inadeguata larghezza della via di accesso ad un nuovo condominio in area agricola, sostenendo che “trattandosi di un’area agricola, non c’è bisogno di rispettare le prescrizioni sulle strade di accesso”?
Non vorremmo che in questo caso si pretendesse di considerare il nuovo manufatto a lato del maso come un ampliamento quando si tratta di utilizzarne gli aumenti consentiti e come una nuova costruzione quando si vogliono gli spazi comuni.
Vi è infine una terza questione, quella relativa alla realizzazione dei garage interrati. In questo caso, secondo noi giustamente, i tecnici del Comune non ne hanno imposto la realizzazione sotto al maso - cosa assurda e quasi impraticabile – ma come interrati del nuovo edificio (il famoso “ampliamento”). Sottolineiamo “in questo caso” perché non sempre va così e lo sanno bene quei privati che hanno tentato di farsi approvare la realizzazione di un garage non sotto la propria casa (non sempre è facile o possibile farlo), ma interrandolo nel proprio terreno a lato.
In questo caso, però, si è andati oltre la mera concessione di realizzarli a lato permettendo di progettare superfici che non potevano essere concesse. La relativa norma (Articolo 57 bis, comma 4) prevede che le parti interrate non superino il 60% della superficie dell’edificio esistente. Peccato però che le nostre verifiche mostrino che il calcolo è stato eseguito conteggiando il totale delle superfici di entrambi gli edifici ed in tal modo violando la norma.


Una data di inizio lavori
che non convince
C’è un ultimo fatto che ci fa molto dubitare dell’operato della macchina comunale.
L’impresa Pisetta, avendo ottenuto nel corso del 2024 la concessione edilizia n° 352292, aveva due anni di tempo per dare inizio ai lavori presentando la relativa dichiarazione. Quest’ultima è stata presentata il 28 ottobre 2024. Esattamente il giorno antecedente l’adozione preliminare della variante tecnica del PRG; adozione che comporta le misure di salvaguardia, che bloccano i cantieri in cui non sono stati iniziati i lavori. Insomma, l’assenza della dichiarazione di inizio lavori avrebbe comportato la decadenza della concessione edilizia e il grosso rischio per l’impresa Pisetta che sfumassero le speciali condizioni ottenute.
Il punto è che i residenti di Gabbiolo e in particolare i vicini, sono convinti che non ci sia stato alcun inizio lavori. Ed hanno presentato all’Ufficio Contenzioso del Comune una richiesta di verifica.
Ora, chi ha ragione? Ma soprattutto, il Comune sta effettuando la verifica?
Oppure a Trento ci sono figli normali per cui valgono le norme, ed altri, prediletti, per cui non valgono?
E il nostro sindaco, la nostra assessora, si rendono conto del discredito che porterebbero alle istituzioni se si comportassero con le modalità che i cittadini di Gabbiolo iniziano a sospettare?

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