A Pavia un incontro universitario sulla mafia trentina
Al Centro Studi di Legislazione Antimafia QT illustra l’infiltrazione 'ndranghetista in Trentino
Presso l’Università di Pavia, è istituito il Centro Studi di Legislazione antimafia Virginio Rognoni (importante politico – Dc prima e poi Pd – ministro della difesa, della giustizia e soprattutto dell’interno negli anni del terrorismo politico e poi di quello mafioso, coautore con Pio La Torre della principale legge antimafia).
In ottobre dal Centro Studi è stato organizzato un ciclo di approfondimenti del corso “Storia delle mafie italiane” dal titolo specifico “Le mutazioni delle mafie al nord”. Nell’ultimo di questi - “L’assalto alle cave di porfido del Trentino” - eravamo uno dei due relatori, assieme al giornalista Fabrizio Feo.
Pensiamo valga la pena riferirne ai lettori di QT, sia per la qualificata platea – oltre a comuni cittadini, soprattutto studenti del Collegio di merito S. Caterina da Siena e specializzandi in studi sulla criminalità organizzata – come per la levatura dei conduttori, la rettrice del Collegio avv. Giovanna Torre e il prof. Enzo Ciconte, fra i massimi studiosi in Italia delle grandi associazioni mafiose.

E’ stato quindi un onore per Questotrentino, ma anche un momento stimolante, illustrare a tale platea le modalità e il contesto sociale in cui si è sviluppata l’inaspettata infiltrazione mafiosa in Trentino.
Il primo relatore, Fabrizio Feo, ha introdotto il tema: giornalista della Rai, è stato particolarmente efficace soprattutto nel presentare il filmato di un suo pregevole servizio, con immagini delle cave impressionanti nel mostrare la durezza del lavoro, come pure la devastazione dell’ambiente.
Poi è toccato a chi scrive. Ho illustrato l’ambiente socio-economico partendo dalle frasi dei boss ‘ndranghetisti in transito sull’Autobrennero: “Possiamo fare affari, perchè qui sono più ladri di noi” e l’altra, apparentemente contrapposta: “Perché qui sono innocenti”. Il quadro quindi di estrema povertà prima, e poi la corsa all’oro rosso, il ridisegno delle regole sociali in favore dei nuovi potenti, l’illegalità diffusa, eppure il consenso di fondo di una comunità uscita dalla miseria. E poi la seconda generazione, i figli che studiavano, non andavano più in cava e venivano sostituiti dagli immigrati: e allora il passaggio dal paternalismo autoritario allo sfruttamento più duro. In questo contesto si inserivano i calabresi in fuga dalle guerre di mafia, i fratelli Battaglia prima, Innocenzio Macheda poi, e a seguire gli altri. Un ingresso silente, un lento radicamento. Poi l’arrivo dei soldi dalla casa madre: e l’acquisto di attività, fino al grande salto con l’acquisizione della grande cava Camparta, effettuata congiuntamente ai più potenti cavatori cembrani, i fratelli Odorizzi.
E qui il primo interrogativo, perché questo matrimonio? A nostro avviso è il primo segnale della convergenza tra ‘ndranghetisti e imprenditori trentini che si rivelano appunto “più ladri di noi” almeno stando alle parole dei PM durante il processo: “L’operazione Camparta, con 6 miliardi spariti nel nulla, ha tutte le caratteristiche di un riciclaggio”.
I calabresi (tutti condannati in primo e secondo grado e alcuni anche in Cassazione, per associazione mafiosa) conducono le aziende “con l’introduzione dei sistemi tipici della consorteria” dicono le sentenze: intimidazione dei concorrenti, mancato pagamento di tasse e contributi, assoggettamento delle maestranze a criteri schiavistici.
Questo porta a due conseguenze: da una parte i fallimenti programmati delle aziende, spolpate e oberate di provvedimenti amministrativi; si arriva al punto che a Lona Lases non c’è più alcuna cava attiva. Dall’altra, nella repressione dei lavoratori si fa un errore: si pesta riducendolo in fin di vita un operaio cinese, recuperato, salvato e sostenuto giudiziariamente da un’espressione organizzata della popolazione che non è connivente, il Comitato Lavoro Porfido, che porta i picchiatori in tribunale, li fa condannare e fa emergere la presenza ‘ndranghetista.

Presenza peraltro forte e ramificata. E’ presente in prima persona nelle istituzioni (Giuseppe e Pietro Battaglia consigliere e assessore – guarda caso alle cave – nel Comune di Lona Lases) controlla le elezioni (sono rinviati a giudizio per voto di scambio politico-mafioso il sindaco di Lona-Lases, quello di Frassilongo e un senatore). Controlla, secondo la Procura (il relativo processo si apre il 30 novembre) la locale stazione dei Carabinieri, che avevano messo le manette non ai picchiatori, ma all’operaio cinese in fin di vita, e – aggiungiamo noi, che siamo Parte Civile nello stesso processo - avevano intimidito i corrispondenti di QT in valle ancora nell’87, e poi sfacciatamente sabotato un nostro incontro pubblico nel 2021.
Non basta. La locale ‘ndranghetista si è poi mossa a un livello più alto. Tramite un faccendiere, Giulio Carini, uomo dalla doppia faccia, ‘ndranghetista nelle frequentazioni e nelle condotte (intimidazioni ai concorrenti) e d’altra parte volto pulito, “figura cerniera con i rappresentanti delle più elevate cariche istituzionali locali”. Questi organizzava cene di capra, noto rituale ‘ndranghetista, cui partecipavano un generale, un capitano dei CC, un vicequestore, il Commissario del Governo, il Presidente del Tribunale, un PM, e indirettamente coinvolto era anche il Presidente della sezione penale del Tribunale.
A questo punto si disvelava l’Operazione “Perfido”, con 22 custodie cautelari. “Siamo arrivati appena in tempo” ha commentato il PM durante la requisitoria.
E così, nella nostra ricostruzione, ci siamo chiesti: ci sono stati gli anticorpi? Tema che riteniamo centrale, soprattutto per chi studia la mafia e l’antimafia.
Innanzitutto la società civile. In Cembra ha operato per decenni, il Comitato Lavoro Porfido, che ha individuato e denunciato il malaffare, si è battuto per le condizioni dei lavoratori, per la salvaguardia del territorio. E’ stato poco ascoltato in valle, molto poco nelle istituzioni. Ma è stato decisivo nel soccorrere l’operaio cinese pestato e svelare l’accaduto, scoperchiando il verminaio: e decisivo è stato il portavoce del CLP Walter Ferrari, con il suo supporto alle nostre inchieste sulle infiltrazioni mafiose. Poi la bella risposta in diverse scuole: si sono tenute assemblee, sempre molto partecipate, c’è stata un’alternanza scuola-lavoro tra un istituto tecnico e Questotrentino, che è sfociata in un lavoro teatrale presentato in una trentina di repliche, in tanti paesi del Trentino, ma anche a Modena, Bologna, Roma, Torino.
Poi i lati problematici. Anzitutto su un versante che dovrebbe stare molto a cuore a un Centro Studi sulla legislazione antimafia: la giustizia. La Procura della Repubblica di Trento per anni è rimasta del tutto inerte, archiviando segnalazioni ed esposti, sempre più allarmati, che arrivavano dal CLP. Poi, dopo il pestaggio, si è attivata l’antimafia nazionale, e si è dato vita a una minuziosa, gigantesca indagine dei Ros che della locale ‘ndranghetista ha rivelato tutto, e il nuovo Procuratore Sandro Raimondi e i PM hanno organizzato e dato veste legale a pile di migliaia e migliaia di documenti: un lavoro solido, difficilmente attaccabile, che ha retto i vari gradi di giudizio.
A quel punto l’operato della Procura si fermava: ai gradi più bassi. O meglio, il CSM effettuava un repulisti al Tribunale di Trento, imponendo lo spostamento dei magistrati partecipi delle cene di capra. Ma il personaggio centrale del rapporto della criminalità organizzata con le istituzioni, Giulio Carini, scompariva dai radar. Ricoverato in una RSA, gli è stato assegnato un amministratore di sostegno, e tanto è bastato per la Procura per archiviarne la posizione, senza alcun accertamento medico-legale indipendente, nonostante una sentenza della Corte di Cassazione stabilisca il contrario. Il Gip ha approvato.
Per il generale Dario Buffa, “il nostro generale” per i sodali, che aveva procurato un porto d’armi al già pregiudicato (oggi condannato in via definitiva) Domenico Morello, e lo aveva avvisato dei provvedimenti a suo carico, si è confezionato un arditissimo percorso di derubricazione dei reati, per arrivare a un patteggiamento ridicolo.
Altri patteggiamenti sono risultati scandalosi e dolorosi, in particolare quello per Mustafà Arafat, a capo della squadra di picchiatori di Hu Xupai, e a seguire autore di ulteriori pesantissime intimidazioni. Il rivedere in circolazione il volto aggressivo di Arafat non ha aumentato in val di Cembra la fiducia nella giustizia.
D’altra parte anche l’utente in costante contatto telefonico con Mustafà, prima e dopo il pestaggio del cinese, il cavatore Franco Bertuzzi, non è stato mai nemmeno interrogato.
Questo è un punto su cui gli studi sulla mafia certamente lavorano: come mai a un certo livello la giustizia non sembra più funzionare? Noi, sul tema, portiamo la nostra esperienza.
Intrecciato al versante giustizia c’è quello dell’informazione (ne parla anche Walter Ferrari a pag. 8). In tutta questa vicenda il ruolo della stampa è stato insignificante. Intendiamoci, quando ci sono state le 22 custodie cautelari i titoloni in prima pagina si sono sprecati. Ma senza alcun approfondimento. Anzi, con il passare dei mesi, le stesse conoscenze si sono appannate. I giornalisti non si ricordano neanche i nomi degli imputati. Mai che qualcuno si sia chiesto che fine abbia fatto Giulio Carini. Che fine abbia fatto il generale Buffa. Non solo: quando hanno letto su QT della loro vergognosa fuoriuscita dal processo, si sono ben guardati dal riprendere la notizia.
Ma allora, se l’informazione, che dovrebbe fungere da controllo dei poteri, e quindi anche di quello giudiziario, se ne sta buona a cuccia, non abdica forse a un suo preciso dovere? E come fa la giustizia ad essere esercitata “in nome del popolo italiano” se questo popolo viene tenuto all’oscuro? E la giustizia che può fare quello che vuole, a prescindere dai fatti e dalle norme, è ancora giustizia? O è arbitrio?
Questo tema ci piacerebbe venisse approfondito al Centro Studi di Pavia. Come pure ci piacerebbe discutere sulle modalità di evoluzione economica della ‘ndrangheta da come apparsa nell’esperienza della locale trentina.
Confidiamo di avere degli altri incontri. Intanto i nostri interlocutori (ottima è stata la risposta del pubblico, a decine sono venuti a ringraziarci, a stringerci la mano) ci hanno detto che vedranno di programmare la presentazione dello spettacolo degli studenti del Martini.
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