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QT n. 14, 8 luglio 2000 Servizi

Toh, l’acqua

L’acqua nei fiumi trentini: storia, fatti, misfatti, rivincite e prossime puntate.

Qualcuno, ad Arco, Lavis, Mezzolombardo, Pieve di Bono, mentre nei giorni scorsi attraversava il ponte sul fiume di casa, guardando distrattamente giù vi avrà scorto una presenza inconsueta: l’acqua!

Per i primi giorni avrà pensato all’effetto dei temporali oppure ad un guasto alle paratie della diga a monte, ma la costanza del flusso lo avrà infine messo sulla strada giusta: vuoi vedere che l’Enel ha scucito l’acqua?

In effetti, per chi oggi ha meno di 50 anni, l’acqua nei fiumi è davvero una novità. Solo un ultra centenario, guardandola, potrebbe esclamare deluso: tutta lì? Sì, perché fino a cento anni fa ogni fiume scorreva indisturbato con tutta la sua acqua e soltanto dove c’era un dislivello l’acqua veniva utilizzata per far girare le ruote dei mulini. Appena fatto mezzo giro, però, questa rientrava nell’alveo naturale, pronta magari a farne girare un’altra al salto successivo. Un utilizzo eco-compatibile si direbbe oggi.

Tutto cambia a fine Ottocento: invece di far girar ruote di legno si fan ruotare turbine in rame con un’anima magnetica: è l’epoca dell’energia elettrica. Si comincia a Trento nel 1886, appena quattro anni dopo la costruzione a New York della prima centrale elettrica da parte di Edison. Segue il Consorzio Elettrico di Condino e l’Officina Elettrica Cooperativa di Cavedine (1898), poi Tuenno (1901), Dambel (1903), Storo (1904).

Nel 1907 il fenomeno centraline è così diffuso che viene fondata la UTIE, Unione Trentina per le Imprese Idroelettriche, un consorzio di aziende del settore che realizzerà a Rovereto anche una fabbrica di lampadine, la "Z".

Il Noce presso la centrale di Mezzocorona

Le turbine di quegli anni usano piccoli sbarramenti ed hanno una potenza installata di poche centinaia di kwh, impiegati per lo più nell’illuminazione domestica e pubblica (Trento 1890). Comuni, consorzi e cooperative sono i promotori, i costruttori ed i proprietari di questi impianti, il cui incremento lascia ben sperare per lo sviluppo della provincia.

Poi il disastro provocato da quattro anni di guerra combattuta sul territorio, il passaggio del ’18 all’Italia, il crollo nel cambio corona-lira provoca un generale impoverimento e la mancanza di capitali in provincia spiana la strada all’arrivo delle grandi aziende elettriche italiane favorite dalla politica governativa. Bisognerà aspettare lo statuto di autonomia del 1972 perché i trentini recuperino un parziale controllo sulle loro acque ed il 1999 per quello totale.

Nel ’20 dunque via alla vampirizzazione totale dei fiumi: non c’è corso d’acqua che non venga "concesso" a società elettriche: Edison, Sism, Safev, Sava, Sea, Siac, ecc. A fronte dei progetti e del progresso fatto balenare non ci sono contestazioni perché nessuno conosce quale sarà il risultato finale, perché l’ambiente è un problema di là da venire, perché con la corrente elettrica si potrà vedere in Tv "Lascia o raddoppia" con Mike Bongiorno e "L’amico degli animali" con Lombardi ed il fido Andalù. E poi la quasi garanzia di essere assunti per far funzionare l’impianto: 40 ore settimanali, altro che "monzer" tutte le sere, "scorzar" bore e, in mancanza anche di questo, "migrar en ‘Merica".

La massima valorizzazione delle acque passa per interventi commisurati: sbancamenti, arginature, riempimenti, briglie, cunettoni, mine, forzate, infiltrazioni colossali di cemento per consolidare gallerie, calcestruzzo, prese, strade di accesso, linee aree. Ecco una panoramica dei risultati (il modello vale per tutte le Alpi, Svizzera compresa). Fiume Avisio: sbarrato già nella culla (diga di Fedaia) e acqua deviata nel Pettorina (bacino del Piave) per realizzare un dislivello maggiore rispetto a quello naturale. Seguono la diga di Moena, quella di Forte Buso (acqua scaricata nel Vanoi (Brenta) e di Stramentizzo (acqua nell’Adige a S.Floriano-Ora). Il fiume viene parzialmente risarcito con l’acqua del lago delle Piazze che per decisione autonoma di Madre Natura, era solita fluire nel vicino lago di Pinè, da lì nel Tresilla, poi nel Fersina e Adige. Nel 1926 il percorso viene giudicato troppo complicato e improduttivo: si decide allora, anzitutto, di aumentare il volume d’acqua contenuta in detto lago costruendo a valle un terrapieno alto una decina di metri, poi di riempirlo con l’acqua del Rio Cialini ed infine, mediante un buchetto sul fondo, di scaricarne l’acqua dalla parte opposta, verso la centralina di Segonzano, sull’Avisio: c’è ancora qualcuno convinto che l’acqua nei fiumi scorra sempre dalla stessa parte?

Ogni tanto si esagera: tra il 9 e l’11 giugno del 1997 l’Avisio rimane completamente prosciugato lungo i suoi 5 km terminali a causa del sommarsi del grande prelievo idroelettrico dell’ENEL a Stramentizzo, dell’Edison dai due affluenti Rio Regnana e Rio Brusago e da captazioni a scopo irriguo a monte di Lavis. Ne consegue una totale moria ittica, resa ancor più pesante dal fatto che due dei cinque chilometri di alveo rimasti in secca ricadono all’interno di un biotopo tutelato dalla L.P. 14/86. Noce: fiume succhiato addirittura durante il parto (laghi Marmotta m. 2704 e Careser m. 2603): il ghiacciaio di Cima Venezia diventa Noce direttamente nei due bacini. Da qui, ficcato per una decina di chilometri in tubi, arriva alla centrale di Cogolo. Uscito dalle turbine corre libero per 30 km. fino a Santa Giustina dove viene imprigionato nel più grande bacino artificiale della provincia: 8 km di lunghezza, 4 kmq. di superficie e 180 milioni di mc. di invaso. L’acqua, dopo aver alimentato la centrale di Taio (300 milioni di kw), esce all’aperto ma subito è reinfilata in galleria fin sopra Mezzolombardo e da lì, attraverso la condotta forzata visibile da tutta la Rotaliana, scaricata con un salto di 123 metri sulle turbine della Montedison. Altri cinque chilometri ed è Adige.

Fiume Chiese: sette derivazioni, quattro laghi inventati dal nulla, Bissina (60 milioni di mc), Boazzo, Ponte Murandin e Cimego ed uno, l’Idro, scassato.

Fiume Sarca, il più sfigato: preso di mira da uno dei "più mirabili progetti di utilizzo integrato (?!?) delle acque", detto fiume è un’angosciante distesa candida per via dei sassi di quarzo bianco (albite) erosi all’Adamello. Prima derivazione già in Val di Genova, appena sotto le cascate del Nardis: l’acqua, captata da una presa, viene infilata in galleria e impinguata nel tragitto verso il lago di Molveno dal succhiaggio di altri torrenti - Vadaione, Sarca di Campiglio, Giustino, Varcè, Bianco, Laone, Bedù, Arnò. Dal lago, con un salto di 553 metri, cade sulle turbine di S.Massenza 1 e finisce nel lago omonimo e nel contiguo di Toblino. Poiché Molveno si trova ad un’altezza di 823 metri, tutti i prelievi, per confluirvi, devono essere effettuati ad una quota superiore. Domanda: e l’acqua che scorre sotto tale quota? Tranquilli, non si butta via niente! Ecco la diga di Ponte Pià, quota 463: rogge e torrenti compresi tra questa quota e quella di Molveno vengono bloccati qui o scaricati direttamente nella galleria di servizio alle turbine di S.Massenza 2, salto di 202 metri. Dopo Ponte Pià il nostro riceve l’acqua dei torrenti sotto quota 463: riuscirà ad arrivare in pace al Garda attraverso la gola del Limarò, un canyon di 5 km con pareti verticali di 500 metri dove nidificano indisturbabili rapaci, corvi, gazze? Grave illusione: gli "utilizzatori integrali" pongono rimedio al potenziale spreco con uno sbarramento a Sarche: una galleria di 2 km e l’acqua a Toblino. Da qui l’acqua, attraverso il canale artificiale Rimone, passa al lago di Cavedine e da lì, in galleria, fin sopra Torbole da dove con un salto di 171 metri alimenta l’omonima centrale.

Domanda: ma come se la passano i quattro laghi?

Male: acqua fredda e lattiginosa per il limo glaciale in sospensione, K.O. flora e fauna tipiche del microclima mediterraneo del Basso Sarca, nessun bagnante. Resta un chilometro ed è finita: c’è il Garda.

Ed il Garda come sta? Maluccio ma neanche troppo: temperatura abbassata di un paio di gradi, lago usato come bacino di compensazione su e giù anche di due metri in una stagione per irrigare le campagne mantovane e veronesi. E pensare che il colore azzurro (dovuto alla trasparenza) delle sue acque è così intenso da non essere nemmeno previsto nella scala cromatica di Forel!

Torniamo allo sbarramento di Sarche. Dopo quest’ultimo prelievo, per tre km. il fiume, forse il più selvaggio e impetuoso della regione, è totalmente disidratato. Ogni tanto piove troppo e il fiume riprende la suo aspetto naturale. Anche trote, cavedani, coregoni, triotti e barbi si fanno ingannare da qualche giorno d’acqua e seguono la corrente, ma per loro è un’illusione mortale: appena si richiudono le paratie e il fiume ritorna nell’ordine economico, l’acqua scompare lasciando solo delle buche qua e là che diventano per loro l’estremo rifugio. Inizia una pesca artigianale spietata. I pesci, bloccati come tonni nella camera della morte, vengono tirati fuori dalle buche coi metodi più originali: a bastonate, con sassaiole, o per riempimento con ghiaia; con corrente elettrica o per progressivo restringimento con fascine di legna; con carburo o per svuotamento con piccole aperture. Ma il Sarca è un fiume ostinato e, grazie ad un po’ d’acqua di falda e a qualche fosso, risorge dalle parti di Pietramurata per la quarta volta. Gli attenti ingegneri, però, vigilano ed ecco altre due centraline a Dro. Sono le ultime, perché da lì in avanti non ci sono più dislivelli utili ed i miseri resti del fiume rotolando tra i sassi possono raggiungere il Garda.

E’ finita? No: all’uscita dal lago finisce in canali di irrigazione e in condotte di raffreddamento di termocentrali, ma la cosa non ci riguarda: lì il Sarca lo chiamano Mincio.

E l’Adige, il padre di tutti i fiumi della regione? Da Ala fino a Chievo passa la sua acqua al canale Biffi: per una verifica guardate dall’autostrada poco dopo Ala.

Fiumi minori uguale danni minori? Neanche per sogno! Il Massangla, poco più di 20 km. tra Cima Gaverdina ed il Garda, viene stoppato nel lago di Ledro e da lì in forzata fatto cadere a Riva. L’emissario naturale, il Ponale, grazie ad alcune roggette mostra segni di vita qualche chilometro a valle, ma prontamente una presa, zàcchete, gliela piglia: da lì al Garda restano solo sassi ed un’aspra gola asciutta.

Anche peggio per l’Aviana: 15 km. di percorso, una diga a Prà della Stua, cinque derivazioni e due centrali idroelettriche: si può ben parlare di stakanovismo ingegneristico!

Restano le rogge. Qualcuno dirà: troppo poca acqua per far kilowatt! Ahinoi, non è così: negli anni ’80 era sufficiente in qualsiasi comune anche il gorgogliare di un filino d’acqua della portata della "Fontana malata" di Palazzeschi per far brillare di cupidigia gli occhi di sindaco e giunta: delibera comunale all’unanimità, progettazione, corsa a Trento per il contributo, via ai lavori ed ecco il piccolo rio captato, deviato, intubato, incanalato e forzato anche per un misero centinaio di kilowatt.

Come le medicine più efficaci ed i bombardamenti più intelligenti, anche gli sbarramenti più mirabili hanno i loro "effetti collaterali". Nel buio delle gallerie l’acqua non si riscalda e la temperatura dei laghi in cui si riversa si abbassa, modificando non di poco il clima circostante, specie in valle dei Laghi. La limpidezza delle acque ne risente in modo particolare: quella di Molveno, una volta trasparentissima per la povertà di fitoplancton, è oggi opaca, quasi lattiginosa causa il limo glaciale portato dalle forzate e quella di Toblino e Santa Massenza tende al grigio-verdastro. I bacini di Fedaia, Careser e Marmotte, costruiti ai piedi dei ghiacciai, pare abbiano contribuito con un effetto specchio al loro accorciamento.

Gli invasi idroelettrici poi sono caratterizzati da forti oscillazioni di livello, a volte anche giornaliere. Non di rado, quando i pesci depongono le uova, l’acqua si abbassa lasciandole seccare all’aria o beccare dagli uccelli. Stessa sorte per le erbe acquatiche e per molti crostacei, gasteropodi, molluschi ed insetti con l’habitat sott’acqua. Ogni tanto poi con scarichi improvvisi (ricordate i cartelli: "E’ pericoloso sostare nell’alveo asciutto"?) i bacini vanno svasati dal limo accumulatosi sul fondo.

L’ultimo episodio è di solo qualche giorno fa: l’Enel "travasa" dall’impianto di Moena a quello di Stramentizzo una valanga di paciocca che si spalma lungo tutto il greto per un’altezza anche di 40 cm.: riempite le buche di rifugio per pesci, morti gran parte dei 34.000 avannotti immessi per ripopolamento, per i turisti di città panoramica in grigio sull’Avisio e miasmi di fango maleodorante da respirare a pieni polmoni, proteste di pescatori, Apt, assessori…

Anche i letti dei fiumi in secca hanno una qualche utilità: cave di ghiaia, depositi di immondizia, piste da motocross, strade alternative. Qualcuno obietterà: d’accordo, però basta girare l’interruttore e si accendono lampadine e Tv, si fa girare il frullatore e d’inverno lavarsi con l’acqua calda del boiler è un piacere; le dighe ci danno un bel mucchio di Kw!

Beh, in verità neanche tanta. L’energia elettrica prodotta in cambio dello stravolgimento ambientale, paesaggistico e climatico di tutti i corsi d’acqua della provincia, oscilla di anno in anno fra i 3,2 e i 5,2 miliardi di Kw. In media dunque 4,2 Kw., all’incirca quanta ne produce annualmente una centrale da un solo megawatt a carbone, olio combustibile, gas o nucleare che sia.

Col tempo i valligiani si accorgono della fregatura: la ricchezza portata loro dall’acqua li ha messi in condizione di filosofare di natura e ambiente. Innumerevoli sorgono in ogni paese i comitati a difesa del pezzetto di fiume locale (Lavis, Arco, Pinzolo, Cles): chi per risentir frusciare la roggia, chi per il fresco portato dall’acqua, chi per pescarci, andarci in kayak o solo annaffiarci l’orto. Grida sempre più alte e politicamente influenti reclamano acqua, ma un primo successino arriva solo il 22 giugno scorso con l’entrata in vigore della norma di attuazione dello Statuto di Autonomia in materia di energia e demanio idrico. Esso impone la restituzione ai fiumi di una parte dell’acqua sottratta: due litri a chilometro quadrato di bacino imbrifero sotteso. Si tratta del "deflusso minimo vitale", ossia della quantità minima d’acqua che deve scorrere nell’alveo di un fiume per garantirne il mantenimento delle caratteristiche ambientali e biologiche e metterlo in condizione di svolgere alcune funzioni essenziali, come l’autodepurazione. Naturalmente è solo un passettino, perché simili rilasci non cambiano un gran che. Per rendere l’idea, si immagini una diga a Borghetto che blocchi tutta l’acqua del bacino dell’Adige a monte, circa 9.000 kmq. Con la nuova disposizione, dei 170 mc. circa di portata media ne verrebbero rilasciati su e giù, 18, un po’ più del 10%, giusto per tener bagnato il letto.

Ma accontentiamoci, potrà andar meglio in futuro dopo il varo del piano generale di utilizzo delle acque: stabilirà, fiume per fiume, la quantità d’acqua da rilasciare in funzione del miglior rispetto ambientale ottenibile.

Il 22 giugno, dunque, è una data da ricordare: dall’alto dei 152 metri della diga di S. Giustina un Pinter in giacca e cravatta e una Berasi con girocollo di perline, per conto di tutti i fiumi, rogge e laghi, assistono all’apertura della paratoia: 2.100 litri d’acqua si lanciano nel vuoto con fragore!

Cerimonia, applausi, sorrisi, soddisfazione, telecamere, dichiarazioni, foto e, con un Pinter non ancora in macchina, gli ingegneri della Edison già lì angosciati a progettare come ricavare corrente anche dal quel saltino di 40 metri: pare che siano quattro milioni al giorno buttati per niente!

Sul ponte un’entità eterogenea di soggetti guarda giù compiaciuta: curiosi, ambientalisti, sindaci con vice e assessori, pescatori in astinenza, bagnanti. Berasi sull’onda dell’entusiasmo propone un parco fluviale a Campodenno. I più felici, senza dubbio, sono i residenti nel biotopo della Rocchetta: cotorni trilobati, aironi, merli, rane e girini, zanzare, bisce d’acqua, trote, zecche... come dire, predatori e predati, che adesso guazzano in 4.000 litri al secondo.

Il 2 luglio prossimo giornata delle celebrazioni ufficiali dell’evento: alle 10 al ponte di Arco per il Sarca, alle 15 a quello di Cantilaga per l’Avisio e alle 9 in località Arlanch per il Leno.

Poiché l’appetito vien mangiando, si annunciano nuove proteste...