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QT n. 22, 9 dicembre 2000 Servizi

Autismo: ragionare per immagini

La persona autistica è uno “straniero” che vive fra noi. Come ci sollecita a comunicare in modo nuovo, e a scoprire in noi stessi capacità nascoste e originali.

Laura Mollari

"La qualità di vita di una persona con autismo dipende più dal luogo dove è nata e dall’assistenza ricevuta che dalla gravità del suo handicap". Con questa frase Theo Peeters, direttore del Centro di formazione europeo per l’autismo di Anversa, apre il convegno intitolato "L’autismo e l’educazione", organizzato dall’Associazione Autismo triveneto e dall’Angsa di Vicenza. All’iniziativa partecipano genitori, insegnanti, pedagogisti, neuropsichiatri, psicologi e altri operatori coinvolti nel trattamento delle sindromi autistiche.

La dottoressa Hilde Declerc, condirettrice del Centro, racconta il caso di Luca, un bambino da lei conosciuto e seguito in uno stage pratico tenuto in Italia. Luca, sei anni, un ritardo mentale profondo, non utilizza il linguaggio verbale, usa solo la parola mamma per tutte le sue comunicazioni. Luca evidenzia notevoli problemi di auto-aggressività e dimostra un unico interesse, quello per le automobili vere. A casa non mangia, non dorme, vuole stare sempre nell’auto. La mamma è perciò costretta a farlo mangiare e dormire sempre in macchina, perché solo lì è tranquillo. Quando va per la strada Luca vuole aprire tutte le automobili, e se non può farlo si picchia.

Per un bambino così il mondo è un grande "caos", ma da questa situazione così disperata Luca può uscire. Hilde e gli altri operatori preparano per lui un percorso che tiene conto del particolare stile cognitivo che è di tutte le persone colpite da autismo. E’ questa la prima condizione per liberarle dal caos. Una persona autistica intellettualmente molto dotata ha scritto: "Il più grande sforzo della mia vita è stato sempre trovare un appiglio nel caos".

Hilde racconta anche la sua storia. È la mamma di Thomas, e ha iniziato il suo lavoro con le persone autistiche dieci anni fa. Fu in quel periodo di difficoltà che cominciò a pensare alle strategie educative da intraprendere perché suo figlio potesse essere felice e realizzarsi, non certo come gli altri bambini, ma almeno secondo le sue potenzialità. Thomas aveva tre anni, era il quarto figlio, e in famiglia erano disperati per quel bambino speciale, diverso dagli altri, con un handicap non evidente. L’ambiente esterno non comprendeva, ma giudicava. Thomas sapeva cantare a memoria in latino il Requiem di Mozart, ma non sapeva dire le parole più semplici, come mamma e papà. A livello di interazione sociale Thomas non mostrava nessuna emozione e capacità di comprendere gli stati emotivi degli altri. Frequentava la scuola normale, ma stava sempre da solo. Gli altri lo avevano accettato, ma come un bambino selvaggio da "educare".

Ora Thomas ha quattordici anni, e Hilde dice che è un ragazzo felice, vive una sua vita autonoma, che gli dà soddisfazione. La madre e gli altri operatori hanno saputo mettere in atto per lui percorsi educativi specifici che gli hanno permesso di far leva sulle sue risorse, sui suoi punti forti, garantendogli molti successi, e una buona autostima.

Come dell’iceberg noi vediamo la parte che sta fuori dall’acqua, così delle persone con autismo vediamo i comportamenti bizzarri, a volte anche pericolosi. Per prevenirli, noi che ci occupiamo di loro dobbiamo capire le cause che li provocano, cioè la parte nascosta dell’iceberg. Solo così è possibile proteggere queste persone e integrarle con le altre.

Oggi è riconosciuto a livello internazionale che, alla base dell’autismo, non vi sono fattori di origine psicodinamica ma biologica, tanto che i neurobiologi parlano di "sindromi autistiche". L’autismo viene definito come "disturbo pervasivo dello sviluppo" e si manifesta attraverso dei sintomi che colpiscono tre aree: l’area della comunicazione, dell’interazione sociale e dell’immaginazione.

Una persona autistica intellettivamente molto dotata racconta: "Quando avevo cinque anni, potevo sopportare il bla-bla della gente solo per cinque secondi". La nostra comunicazione con le persone autistiche va perciò ridotta all’essenziale e deve tener conto del loro modo di comunicare: esse comunicano come possono, non come vogliono. Esse sono pensatori visuali: la loro prima comprensione avviene attraverso le immagini.

Scrive un’altra persona autistica: "La mia prima lingua sono le immagini, le parole sono la mia seconda lingua". Nella loro modalità di "pensare in dettaglio", essi sono colpiti da un’infinità di particolari che impediscono di generalizzare e di categorizzare, e li obbligano a sforzi enormi per costruirsi un proprio vocabolario, una sorta di manuale di espressione personale. Il caso di Temple Grandine risulta, a questo proposito, particolarmente significativo: lei non possiede il concetto di gatto; ogni volta che vede un gatto nuovo è perciò costretta a ricostruire l’idea di gatto, per poter poi aggiungere quel particolare animale a tutti gli altri gatti precedentemente incontrati.

Per quanto riguarda l’interazione sociale, noi non ci esprimiamo solo attraverso le parole, e molte sono le comunicazioni non verbali che alle persone con autismo risultano incomprensibili. Donna Williams, nel suo libro "Il mio e il tuo autismo", descrive così il suo primo giorno di scuola: "Quattrocentocinquanta voci imprevedibili, e tutte quelle braccia e quelle gambe". E Temple Grandine scrive: "Quando mi trovo con tante persone e cerco di capirle, mi sento come un antropologo sulla luna".

Le persone con autismo hanno una reale difficoltà nell’intuizione sociale che noi usiamo continuamente nei rapporti con gli altri. Per loro è estremamente difficile leggere le nostre emozioni.

Un altro aspetto critico interessa l’area dell’immaginazione, e consiste nell’incapacità di andare al di là dell’informazione letterale, di ciò che è concreto e visibile nello spazio. Queste persone mancano della capacità di prevedere nel tempo, sono perciò dominati dalle coincidenze e dipendenti da altre persone. Queste particolarità nella elaborazione delle informazioni confermano la diversità del loro stile cognitivo e richiedono un adattamento dell’ambiente esterno.

Se noi consideriamo l’autismo come un disturbo pervasivo dello sviluppo, allora dobbiamo pensare a centri diagnostici, ad un insegnamento e ad un’educazione individualizzati, ad una continuità di servizi specializzati per tutto l’arco della vita, a programmi di aiuti alle famiglie.

Chi si occupa di autismo da anni, come Theo Peeters, ci dice che, attraverso programmi educativi individualizzati, un’opportuna strutturazione dello spazio e l’utilizzo di strategie specifiche, si può dare alle persone con autismo una tranquillità e una stabilità emotive che sono la base per una vita autonoma e serena.

La persona autistica è uno "straniero" che nasce fra noi, che pensa, comunica, interagisce con noi e, a modo suo, ci interroga. Ci sollecita a scoprire in noi stessi capacità comunicative nascoste e originali. Tutti coloro - genitori, operatori, insegnanti, compagni di scuola e di lavoro - che hanno l’opportunità di vivere quest’esperienza di vita, possono poi trasferire su tutta la società la sensibilità acquisita nella relazione con queste persone e riuscire ad interagire anche con altri stranieri.

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