Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca
QT n. 9, 4 maggio 2002 Cover story

Inceneritore? Lo sporco business

Inceneritore o bio-essicazione? Il primo metodo costa molto di più, inquina, entrerà in funzione dopo, manda a monte riciclaggio e raccolta differenziata. Eppure è stato scelto dalla Giunta provinciale, che vuole imporcelo. Come? E soprattutto, perchè?

Costruire un impianto molto più costoso, meno sicuro, più arretrato, che entrerà in funzione più tardi. Questa la decisione "irrevocabile" presa dalla Giunta Dellai in tema di smaltimento dei rifiuti: una decisione senza logica apparente, e proprio per questo imposta, con piglio decisionista, dal presidente: "La scelta è fatta", cosa avete da ridire?

Vediamola questa vicenda, esemplare dei veri indirizzi di fondo che caratterizzano l’azione di questa giunta provinciale.

Quello dei rifiuti, in Trentino, è un problema vero: lasciato marcire per anni, e poi temporaneamente affrontato nella maniera che oggi possiamo definire il peggiore: il conferimento nelle discariche. La discarica infatti da una parte è una bomba ecologica, maleodorante, con gli inquinanti che penetrano nel terreno; dall’altra è una non-soluzione: bastano pochi anni per esaurire un sito, cioè rendere infrequentabile e pericolosa una porzione di territorio; dopo di che occorre trovare, e rovinare, un’altra zona.

Di qui la necessità di orientarsi verso altre soluzioni. Dal momento che la gestione dei rifiuti è un problema generale della società affluente, e quindi è diventato un grosso business, la relativa tecnologia ha fatto in pochi anni passi da gigante, ed ha sostanzialmente portato a due soluzioni, l’inceneritore e il ciclo della bioessiccazione.

Nella tabella raffiguriamo schematicamente i due metodi, che di seguito cercheremo di illustrare per sommi capi: perché, come vedremo, in questo caso le differenze tecniche finiscono con l’implicare diversi modelli di economia e società.

L’inceneritore (e i suoi parenti stretti, il termodistruttore, il termodemolitore e termoutilizzatore, un’orgia terminologica che indica versioni sempre più evolute dello stesso principio) ha come concetto di base la riduzione mediante fuoco del materiale in ingresso ed il recupero dell’energia contenuta. Insomma, l’inceneritore è concepito per distruggere tutto. Di qui la sua praticità (il ciclo dei rifiuti è estremamente semplificato, le cose si usano, si buttano, si bruciano), ma anche i suoi problemi. L’eterogeneità dei rifiuti, dalla plastica al vetro, dalla carta ai contenitori di metallo al terriccio ecc., pone notevoli problemi di combustione, la cui qualità è determinante per evitare la formazione di sostanze ancor più tossiche dei rifiuti in entrata. Per evitarle bisogna mantenere il forno costantemente a una temperatura sui 900-1.000 gradi, ed in ogni caso dotare i camini di filtri sofisticati.

L'inceneritore di Reggio Emilia.

Questo comporta due conseguenze. Da una parte la necessità dell’inceneritore di avere rifiuti ad alto tenore energetico:plastica, gomma, carta, legno gli sono indispensabili, altrimenti, per mantenere alta la temperatura, si deve immettere carbone o altri combustibili, e i costi salgono alle stelle. Ma proprio i materiali di cui sopra sono quelli di cui è più facile e conveniente la raccolta differenziata e il riuso. Tutta l’esperienza di questi anni indica come raccolta differenziata e inceneritore siano incompatibili.

La seconda conseguenzaè la produzione di sostanze velenose, diossina, furani e metalli pesanti (cadmio, piombo, arsenico, cromo, mercurio, ecc).

Ora, è pur vero che in questi anni la tecnica ha fatto grandi passi avanti nell’intercettare e abbattere tali emissioni. Ma si sa, la teoria è una cosa, la pratica un’altra; gli errori e i malfunzionamenti sono sempre possibili, e si è visto come lo stesso impianto di Karlsruhe, portato ad esempio dall’assessore provinciale Berasi, sia dovuto rimanere fermo quasi due anni per aver dato luogo ad emissioni inquinanti che andavano ben oltre la soglia ammessa. Nessuno vorrebbe vivere vicino ad un inceneritore, e il fatto che essi siano costruiti con torri alte 100 metri e oltre (per disperdere il più possibile gli eventuali inquinanti) la dice lunga sulla credibilità delle promesse di "inquinamento zero".

Il ciclo della bioessiccazione invece parte da un altro principio: quello di separare a più riprese le componenti dei rifiuti, per recuperarle e/o trattarle in maniera differenziata.

Si attua (vedi tabella) in tre stadi. Nel primo si opera la raccolta differenziata, separando il più possibile carta, plastica, vetro, metalli, legno e residui vegetali (da sfalci e potature) e, ove possibile, favorendo il compostaggio domestico e non per i residui umidi (vedi scheda sull’esperienza della val di Sole a pag. 18): i vari materiali così separati vanno avviati ai rispettivi impianti di riciclaggi e il compost viene usato in agricoltura; rimangono i rifiuti indifferenziati, che passano al secondo stadio, la bioessiccazione vera e propria. Nel bioessiccatore l’immondizia viene triturata e collocata su apposite grate areate dove in quindici giorni perde la parte umida, dopo di che viene vagliata per operare un’ulteriore separazione: da una parte metalli e vetro (avviati al riciclaggio), terriccio e altri oggetti non combustibili (in discarica); il rimanente dall’altra, a formare dei cubi pressati di CDR (Combustibile Derivato dai Rifiuti), dal buon potere calorico (4-5.000 calorie al kg).

A questo punto il CDR è un combustibile: può essere utilizzato in centrali termoelettriche (dell’Enel per esempio) o in cementifici, ma il suo impiego ideale è in un’ulteriore evoluzione degli inceneritori, i termovalorizzatori.

E qui siamo al terzo stadio. Non entriamo in particolari tecnici, però è evidente la differenza del termovalorizzatore dall’inceneritore: esso infatti brucia un vero combustibile secco, fatto di materiale che ha subìto una selezione; non brucia materiale umido in cui c’è dentro di tutto. Ne segue un processo dalla buona resa energetica, che genera scarti più facilmente controllabili. Questi infatti sono fumi innocui (anidride carbonica, idrogeno, vapore acqueo), scorie di fondo caldaia (prodotto inerte composto da pietre, elementi metallici, sabbia, vetro e analoghi elementi sfuggiti ai processi di separazione dei rifiuti; di ridotte quantità - 90 grammi per chilo di CDR - può essere stoccato in discarica senza problemi); ceneri (10 grammi per chilo di CDR, anch’esse in discarica).

C’è comunque (ricordiamo che qualunque combustione, a iniziare dalle caldaie a gasolio, genera una frazione inquinante) una parte sporca: inquinanti provenienti dall’ossidazione di cloro, zolfo e fluoro, nonché dalla volatilizzazione di una parte dei metalli pesanti. Si tratta però di una presenza trascurabile (0,0015% in volume), in quanto proprio le caratteristiche fisico-chimiche del CDR consentono un controllo pressoché completo del processo.

Per chiudere la comparazione fra i due sistemi si deve parlare di costi: 110-120 milioni di euro per un inceneritore proporzionato per le 280.000 tonnellate previste dalla Pat; 15- 20 milioni per un essiccatore (cui però sono da aggiungere i costi del termovalorizzatore). Così per i tempi: 6 anni per realizzare un inceneritore, meno della metà per l’essiccatore.

In conclusione: se la raccolta differenziata funziona, il divario fra i due metodi è abissale. Il ciclo della bioessiccazione è più economico, pulito, più prontamente operativo. Non solo: mentre l’inceneritore finisce comunque con il conferire in discarica dei prodotti di scarto che sono pari al 25-30% in peso dei rifiuti originali, l’essiccazione, attraverso i vari processi di separazione materiali e recupero, opera una selezione maggiore, e conferisce in discarica quantità sensibilmente minori.

Ma le differenze non finiscono qui. C’è innanzitutto un aspetto etico, di sostenibilità ambientale globale. L’inceneritore, come abbiamo visto, segnerebbe la morte della raccolta differenziata, cosa che in Trentino avrebbe dimensioni ancor più perverse, in quanto la società gestrice dell’inceneritore e quella addetta alla raccolta verrebbero a coincidere (la Sit/Trentino Servizi); ed è facile prevedere che, con un inceneritore che ha bisogno assoluto di carta, legno e plastica, la differenziata rimarrebbe ai miseri livelli attuali, o peggio, si tornerebbe ai tempi in cui si portavano allegramente le campane della carta in discarica. Con un dirompente effetto diseducativo nei confronti della popolazione da cui difficilmente si potrebbe tornare indietro.

Ma non basta. Una gestione dei rifiuti impostata sulla loro distruzione è un’aberrazione. Andrebbe infatti contro la consapevolezza, che via via si fa strada, della necessità di non dilapidare le risorse del pianeta: sappiamo che la carta viene fabbricata disboscando le foreste, e noi invece di riutilizzarla, la bruciamo? E così per gli altri materiali. Andremmo cioè ad aggravare la già pesante situazione attuale per cui (secondo uno studio commissionato dalla stessa Provincia e sui cui esiti poi la Giunta Dellai è riuscita a mettere il silenziatore), il Trentino, pur con tutti i suoi boschi, già vive alle spalle delle risorse naturali di altre aree del pianeta: abbiamo una "impronta ecologica" - cioè consumiamo più risorse - maggiore del pur esteso nostro territorio; vogliamo aggravare tale indegna condizione?

Etica a parte, la distruzione dei rifiuti va anche contro l’economia. Utilizzare la carta come combustibile è un’idiozia; e così per tanti altri materiali, dalla plastica ai metalli: distruggerli per ricavare un po’ di calore ha lo stesso senso che infilare un pacco di banconote nella stufa. Il riciclaggio, se organizzato, sta sempre più diventando un business. E questa è una tendenza mondiale favorita dalle evoluzioni tecnologiche; dal crescere della coscienza ambientale, che fa preferire i prodotti ecologici; e, in un prossimo probabile futuro, da normative sovranazionali.

Il Trentino, invece di andare avanti seguendo questa positiva evoluzione, andrebbe indietro.

Allora, perché? Perché la Giunta Dellai a testa bassa va verso l’inceneritore? In questi giorni infatti la giunta ha sparato una raffica di niet in risposta alle perplessità e alle opposizioni emerse.

Era stato il consigliere comunale di Trento Luigi Merler a sollevare il problema: un esponente cioè della Margherita ma della corrente che fa capo a Grandi (e quindi senza nessuna soggezione verso il super leader Dellai, anzi, i grandiani ormai giocano in proprio). Delegato del sindaco proprio sul tema dei rifiuti, che segue da anni, Merler, proveniente da Roncafort, il malcapitato sobborgo che in questi anni si è dovuto accollare l’interporto e la discarica e ora dovrebbe sorbirsi anche l’inceneritore (vedi Metti una serata a Roncafort), ha capito la rilevanza e l’esplosività del problema. Ed ha posto sul piatto l’alternativa dell’essiccatore, supportato dall’Adige (il Trentino è intervenuto in seconda battuta, e con molto minor entusiasmo), che con una profluvie di dati e interviste, ha dato la massima pubblicità alla questione.

La città non è rimasta indifferente. Sul piano sociale si è avuta la mobilitazione delle associazioni ambientaliste e una crescente irritazione delle circoscrizioni, con i cittadini che temono fino a Povo e Villazzano la propagazione degli inquinanti. Sul piano politico ci sono le iniziative dell’unica forza a suo modo ambientalista dell’opposizione di centro-destra (AN);ed un acutissimo malessere, nella maggioranza, dei DS, il partito del sindaco.

Già, e il sindaco? Alberto Pacher è notoriamente Dellai-dipendente, e quindi non paiono infondate le malignità che fanno dipendere da un’imperiosa telefonata da piazza Dante una sua iniziale dichiarazione pro-inceneritore ("E’ già stato deciso, non si torna indietro").

In realtà la situazione è più complessa: Trento, con la discarica di Ischia a esaurimento, attualmente, nell’attesa del nuovo impianto, conferisce rifiuti sia a Rovereto che in Valsugana. Ora, di fronte a qualsiasi ipotesi di ripensamenti e dilazioni, è comprensibile che questi sindaci si imbufaliscano e minaccino di rispedire al mittente i camion della spazzatura di Trento. Da qui le esitazioni di Pacher, che poi però, vuoi perché il progetto dell’essiccatore sembra non solo serio, ma in grado di accorciare i tempi di realizzazione, vuoi perché la pressione dell’opinione pubblica inizia a essere pesante, ha assunto una linea molto più possibilista ("Nulla è ancora deciso… aspettiamo i dati… voglio garanzie sulla sicurezza").

Ma la Giunta provinciale ha detto che l’inceneritore ha da essere. Una decisione coperta da due foglie di fico: la riduzione della capacità dell’impianto, da 330.000 a 280.000 tonnellate all’anno (tanto per poter far cantare vittoria all’assessore "verde" Iva Berasi); e un impegno per spingere al massimo la raccolta differenziata (come se questa non fosse incompatibile con l’inceneritore).

Allora - torna la domanda - perché?

La decisione della Giunta ha dalla sua una motivazione ragionevole. La situazione attuale infatti è pesantemente condizionata dal pregresso, che si chiama "ecopalle", l’immondizia che in questi ultimi anni è stata compattata, avvolta in teli di plastica e accatastata in discarica; in attesa proprio dell’inceneritore. Cosa avvenga all’interno di questa massa maleodorante, sicuramente in fermentazione, nessuno lo sa. Si tratta di migliaia e migliaia di tonnellate, che nei prossimi anni, in attesa dell’impianto, continueranno ad aumentare e fermentare. Sarebbero trattabili da un bio-essiccatore?

Ci sono forti dubbi. L’unica strada sembra essere il vecchio inceneritore che tutto distrugge: anche se esistono vistose perplessità sulla possibilità, fra una decina di anni, anche di movimentare queste balle senza sfasciarle e spandere intorno chissà quali miasmi e liquami.

Insomma, l’unica ragione che milita a favore dell’inceneritore deriva dall’imprevidenza attuale. Ma è proprio solo imprevidenza? Non manca infatti chi scorge nella sciagurata decisione di stoccare le balle la volontà di precostituire un dato di fatto, possibilmente irreversibile, a favore dell’inceneritore.

Ma se il problema delle eco-balle è così pressante e rappresenta una motivazione tecnica autentica, nella tenacia con cui Dellai sponsorizza l’inceneritore possiamo scorgere anche motivazioni di altra natura.

Il progetto inceneritore infatti differisce dal ciclo raccolta differenziata-bioessiccazione,per un significato sociale di ampia portata. La raccolta differenziata è economicamente superiore perché mette in gioco l’apporto dei cittadini, i comportamenti delle imprese (stoccaggio dei rifiuti di alberghi, supermercati, laboratori artigianali ecc); incorpora, trasforma in valore economico la predisposizione civica della popolazione (magari opportunamente indirizzata attraverso un sistema di incentivi economici e sanzioni).

Al contrario l’inceneritore risolve il problema centralizzandolo in un mega-impianto dall’onerosa costruzione e ancor più onerosa gestione. L’accento viene quindi spostato dal territorio alla società che gestisce l’impianto e le centinaia di milioni di euro collegati. Questa società è, nel Trentino cosiddetto sovietico, la Trentino Servizi, società parapubblica saldamente in mano, come tutte le altre società analoghe, ai fedelissimi del presidente Dellai.

Ed ecco allora che tutto si spiega. In quest’ottica, la diseconomicità dell’inceneritore non è più una pecca: un centro di potere, più miliardi mette in gioco, meglio è. E il cittadino che sarebbe disposto, gratis, a differenziare i suoi rifiuti, diventa invece un ridicolo ostacolo, proprio perché decentra il potere; e lo stesso vale per l’impianto di bio-essiccazione, proprio perché costa dieci volte di meno.

Ma il Trentino intende fondarsi su tecnologia e coscienza civica, o su carrozzoni parapubblici che vivono finché ci sono i soldi di Roma?