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QT n. 10, 18 maggio 2002 Servizi

PiRuBi: quello che Grisenti non dice

Perché il Trentino dovrebbe volere quello che tutte le altre regioni alpine non vogliono?

La pianura Padana e la Baviera sono due delle zone a più alta concentrazione industriale del mondo. Il nordest italiano, in particolare il Friuli e la zona pedemontana del Veneto, è l’area a più alta espansione economica d’Italia, la cui produzione è in gran parte destinata al mercato estero. La Germania è il Paese verso il quale l’Italia esporta la maggior parte dei propri prodotti e dal quale provengono la maggior parte delle importazioni. L’integrazione europea, col trattato di Shengen che ha abolito le frontiere e con l’ingresso in scena dell’Euro, è destinata ad accrescere le relazioni commerciali tra i Paesi membri. L’area balcanica, crollata la cortina di ferro, terminate le guerre etniche ed apertasi la prospettiva dell’ingresso nell’Unione Europea, è stimata in grande crescita economica per i prossimi decenni, con relazioni commerciali crescenti con l’Europa.

Il progetto di potenziamento del sistema portuale dell’alto Adriatico (Emilia Romagna, Veneto, Friuli, Istria) mira ad intercettare i mercantili che trasportano le merci che dai Paesi mediterranei, dal medio oriente e dall’estremo oriente sono dirette verso il nord Europa, quegli stessi mercantili che oggi, per mancanza di adeguate infrastrutture portuali nel Mediterraneo, doppiano lo stretto di Gibilterra e si dirigono a Rotterdam e ad Amburgo.

A tutto questo aggiungiamo l’accordo di cooperazione euro-mediterraneo, con le speranze di sviluppo economico, di pacificazione e di democratizzazione dei Paesi del Maghreb e mediorientali; la trasformazione dei sistemi di produzione con le esternalizzazioni dei processi produttivi e con l’eliminazione dei magazzini; la chiusura delle strade svizzere al transito delle merci su gomma; il no della Provincia di Bolzano all’autostrada dell’Alemagna. E così via.

Cosa significa tutto questo? Significa che la direttrice del Brennero, intesa come principale arteria di collegamento tra nord e sud Europa, è destinata nei prossimi decenni a veder crescere in maniera esponenziale il traffico di transito delle merci.

Un traffico che, se avvenisse su gomma, distruggerebbe non già e non soltanto l’ecologia alpina (cosa che può preoccupare noi ambientalisti, ma che lascia spesso indifferenti gli imprenditori), quanto soprattutto l’economia delle Alpi (e su questo sì che i nostri imprenditori dovrebbero farsi due conti in tasca).

Le zone di montagna non hanno infatti alcuna possibilità di competere ad armi pari con la pianura, se ne adottano lo stesso modello di sviluppo. Insomma, possiamo realizzare tutte le infrastrutture che vogliamo, ma nelle zone di montagna le imprese metalmeccaniche o tessili, per fare due esempi, sconteranno sempre degli svantaggi rispetto alla concorrenza dei distretti industriali del Veneto, della Lombardia o della Baviera. Ci sono delle diseconomie, legate alla morfologia del territorio, che non possono essere compresse: i terreni costano di più (per il banale motivo che ce ne sono di meno), il rapporto delle imprese con clienti e fornitori è disagevole (si possono anche fare gallerie ovunque per facilitare gli interscambi, ma le gallerie costano cifre enormi rispetto alle strade di pianura), il costo della vita è superiore e superiori sono pertanto le rivendicazioni salariali, eccetera. Tutti i tentativi di impiantare nelle zone di montagna grandi industrie manifatturiere hanno dovuto far leva sui contributi pubblici, ma non appena il rubinetto è stato chiuso anche queste industrie se ne sono andate altrove.

L’unica possibilità per le zone di montagna di avere un’economia forte, in grado di competere nel mondo globalizzato, è quella di mettersi a fare cose diverse rispetto alla pianura. Turismo di qualità, viticoltura d’eccellenza, agricoltura biologica, ricerca industriale, software, moda, design.

In sintesi una di queste due cose (anzi, entrambe queste cose): valorizzare ciò che si ha ed altri non hanno (le proprie bellezze naturali, la salubrità dei propri prodotti alimentari, la tipicità dei propri vini, l’autenticità delle proprie tradizioni, eccetera) ed occupare settori economici per i quali l’essere isolati non solo non ha alcuna importanza, ma può essere addirittura un vantaggio (Tiscali, il più grande Internet provider d’Europa e la più quotata impresa italiana, sta in Sardegna, che è isolata per definizione; Apple Europa e Microsoft Europa hanno sede in Irlanda; Nokia è in Finlandia. Sono tutte aziende che occupano, con buoni stipendi, laureati e tecnici altamente specializzati, disposti a vivere o nelle grandi capitali, per le loro offerte culturali, oppure in mezzo al verde, ove la qualità della vita è elevata, ma non certo in zone degradate e congestionate).

Questo è il motivo per il quale il traffico di transito su gomma, col degrado paesaggistico ed ambientale che porta inevitabilmente con sé, è una minaccia mortale per l’economia delle Alpi, e con essa per la possibilità delle loro popolazioni di vivere con standard qualitativi elevati. In assenza di contromisure, il rischio è dunque quello che le zone alpine siano sacrificate sull’altare delle esigenze di sviluppo delle zone di pianura.

Questo significa allora che si deve impedire il transito delle merci? Significa che la pianura deve rinunciare al proprio sviluppo in nome della salvaguardia dell’ambiente montano? Nient’affatto. Significa soltanto che le merci devono attraversare le Alpi senza distruggerle, ossia in maniera compatibile con la loro particolare economia: cioè, come Durnwalder insiste a ripetere, su rotaia.

E come si fa a costringere le merci a prendere il treno anziché il camion? Anche uno studente al primo anno di ragioneria saprebbe rispondere: rendendo il treno economicamente più vantaggioso rispetto al camion. Ma ogni volta che si costruisce una (auto)strada in più, il trasporto su gomma diviene più conveniente rispetto a quello su rotaia: sia in sé, poiché il trasporto su gomma ne guadagna in velocità, sia perché, investendo su nuove (auto)strade, si sottraggono fondi alla realizzazione di nuove ferrovie (medesimo ragionamento potrebbe essere fatto riguardo agli spostamenti delle persone, tra mezzo pubblico e mezzo privato, ma questa è un’altra storia).

E’ sulla base di questi dati che i Paesi dell’arco alpino hanno firmato la Convenzione delle Alpi, impegnandosi a non realizzare nuove autostrade in questa delicata zona dell’Europa. In sostanza, quella Convenzione è servita soprattutto per vincolare l’Italia, che è sul banco degli imputati: per colpa dell’Italia, che per mezzo secolo ha investito quasi solo sulle autostrade e poco o niente sulle ferrovie (col risultato che siamo il Paese con la più alta percentuale di merci che viaggiano su gomma), i nostri confinanti, Svizzera ed Austria per primi, si devono sorbire quotidianamente il degrado dovuto al passaggio dei nostri camion sui loro territori.

Anche per questo motivo l’Unione Europea ha posto, tra i dodici grandi progetti infrastrutturali ritenuti prioritari per lo sviluppo dell’economia continentale e per l’integrazione europea, la realizzazione della ferrovia ad alta capacità Monaco-Verona, il cui scopo è captare fuori dalle zone di montagna le merci in transito e far loro attraversare queste zone a bordo dei treni. Verona si è già attrezzata a svolgere questo compito, costruendo il Quadrante Europa, gigantesco snodo di scambio intermodale gomma-rotaia.

Veniamo alla Pi.Ru.Bi (o alle quattro corsie della supervalsugana, che sarebbero la stessa cosa, anzi peggio). Completarla significa creare una direttrice di traffico economicamente conveniente, rispetto al passaggio per Verona, per tutte le merci in transito fra la zona adriatica (vedi all’inizio) ed il nord Europa. In pratica, a sud di Trento il transito delle merci sarebbe incanalato in due distinte direzioni: metà sulla direttrice Trento-Verona e metà sulla direttrice Trento-Vicenza.

Dopo di che, se anche si trovassero ancora i fondi, si potrebbero realizzare tutte le ferrovie che si vogliono, ma ormai i buoi sarebbero scappati dal recinto.

Fino a Trento, le merci del nordest ci arriverebbero a bordo dei camion, poiché questa via sarebbe più veloce e conveniente rispetto al passaggio per Verona. Poi a Salorno le merci troverebbero Durnwalder che dice no col ditone: "A casa mia ci passate solo sui binari". Morale: sarebbe l’interporto di Trento nord, anziché il Quadrante Europa di Verona, a svolgere il compito di fermare i camion e caricare le merci sui treni. L’interporto di Trento diverrebbe quindi inevitabilmente lo snodo intermodale dell’intero nordest.

E nel tratto Trento-Verona? A quel punto, alla ferrovia ad alta capacità verrebbero a mancare la metà dei potenziali clienti e diverrebbe pertanto meno conveniente realizzarla e mantenerla, per non parlare del fatto che già oggi mancano i fondi e che ne mancherebbero ancor più se quei pochi fossero utilizzati per realizzare una nuova autostrada. Non è dunque da escludere che alla fine, al di là delle promesse elettorali, si decida di realizzare la ferrovia ad alta capacità solo da Trento verso nord, rimandando a data da destinarsi il completamento verso sud. Il Quadrante Europa andrebbe fuori mercato (e non a caso Verona è contrarissima alla Pirubi) ed il suo posto verrebbe preso dall’interporto di Trento (vedi Il futuro che vogliono prepararci).

Ridotta la piana Rotaliana ad una cloaca, con parcheggi, gru, capannoni, snodi ferroviari, motel da camionisti e ristoranti fast food, oltre che con migliaia di camion scorreggioni in manovra e con le montagne ad impedire al vento di disperdere lo smog, il Trentino (ci si consenta l’espressione) sarebbe fottuto.

Vorrebbe dire diventare a tutti gli effetti la parte più a nord della pianura, anziché quella più a sud delle Alpi, alla faccia di tutte le prediche sulla salvaguardia della Regione e dei costosi High Summit sulla montagna. Vorrebbe dire chiamarsi volontariamente fuori da quell’area che l’Unione Europea ritiene bisognosa di tutela. Vorrebbe dire non soltanto accettare quello che tutte le altre zone alpine non vogliono, ossia il traffico su gomma, ma addirittura richiamarlo.

Saremmo insomma la pattumiera del Veneto, poiché qui si farebbero le cose inquinanti, ma senza neppure poter impiantare industrie in grado di reggere la concorrenza.

Col mega-interporto, è vero, si creerebbero centinaia di posti di lavoro (appetibili però soltanto agli immigrati: chi oggi spera per i propri figli un futuro da magazziniere in una camera a gas?), ma se ne brucerebbero a migliaia di quelli altamente qualificati o soddisfacenti (avete mai sentito nessuno dirvi orgoglioso: quest’anno vado in vacanza a Porto Marghera? Oppure: ho bevuto un eccellente vino della Ruhr? O magari: mio figlio ha trovato un bellissimo posto di lavoro in una software house di Dalmine? No. E ci sarà pure un perché!).

L’assessore Grisenti sembra ragionare sulle cifre del traffico (magari interpretandole a modo suo) come farebbe un vigile urbano: se una strada è intasata si dirottano i veicoli su un’altra strada. Punto e basta. Senza allargare lo sguardo e senza interrogarsi sulle conseguenze di lungo periodo delle scelte di oggi. Nello studio commissionato dalla Provincia si sono fatte le proiezioni del traffico prendendo in considerazione solo ipotesi stradali: quanto traffico con la Pirubi e quanto senza, quanto traffico con le quattro corsie della supervalsugana e quanto senza. E così via.Sembra di essere di fronte ai vecchi studi sulla diga di Valda, che come possibili alternative prendevano in considerazione soltanto quella di fare due dighe piccole, o quattro piccolissime, al posto di una grande. Insomma, un imbroglio.

L'assessore provinciale all'asfalto Silvano Grisenti (Margherita).

Nello studio della Provincia (per quanto è stato divulgato) non c’è traccia di proiezioni con o senza la metropolitana di superficie Borgo-Trento, oppure con o senza il rallentamento della supervalsugana (ripristinando le due corsie laddove già oggi ce ne sono quattro) e addirittura neppure con o senza la ferrovia ad alta capacità Monaco-Verona.

A chi prima sosteneva che quello odierno lungo la Valsugana è quasi tutto traffico locale, prodotto in Valsugana, e che la Pi.Ru.Bi sarebbe pertanto ininfluente per decongestionare quella strada statale, Grisenti ribatteva che però in futuro dovremo affrontare sempre più il traffico di transito, per il quale la Pirubi è invece necessaria per non soffocare la Valsugana.

D’accordo. Si è allora argomentato che, se così stanno davvero le cose, se cioè il problema principale è quello del traffico di transito, allora completare la Pirubi significa far affluire in Trentino un’infinità di camion, attraverso una corsia più veloce e conveniente rispetto al passaggio per Verona ed al caricamento sui treni al Quadrante Europa. A questo punto Grisenti ha cambiato idea: quasi tutto il traffico è locale, non di transito.

Come stanno davvero le cose?

L’impressione, come fu a suo tempo con la diga di Valda e con la discarica di Capriana, è che ci si sia incaponiti con l’idea di completare la Pirubi e che si stiano disperatamente cercando le giustificazioni tecniche per sostenere l’insostenibile.

Magari per mostrarsi moderni di fronte ai propri elettori, o per smarcarsi, in vista delle elezioni, da una sinistra che appare (anzi, che è!) una zavorra per il governo provinciale. O magari le due cose assieme, visto che è stata la sinistra per prima, avvitandosi su una linea politica suicida, ad aver avallato l’idea idiota secondo cui la modernità (leggi: lo sviluppo economico) sarebbe incompatibile con la salvaguardia ambientale, quando in tutto l’arco alpino è assodato il contrario (a meno di non ritenere che Sudtirolo, Svizzera ed Austria siano guidati da governi pauperisti).

In alcune componenti della sinistra la logica è simile: dirsi a favore della Pirubi è diventato il rito d’iniziazione da superare per accedere nell’elitario club della sinistra di governo, è la condizione da superare per non essere tacciati di massimalismo, è la dimostrazione del fatto che ci si fa carico dei problemi dello sviluppo. Ma dietro c’è, capovolta, la stessa idiota idea dei massimalisti: per accreditarsi come attenti alle esigenze dello sviluppo, bisogna provare in pubblico di volere qualche disastro ambientale.

C’è anche chi se ne frega del futuro del Trentino e si preoccupa soltanto di offrire alle imprese industriali dell’asta dell’Adige un collegamento stradale veloce con la parte più attiva e dinamica del Veneto. E magari, per non apparire poco politically correct, ci si dice a favore di tutto: ferrovie, strade, autostrade, metropolitane di superficie e via spendendo (inesauribili?) soldi pubblici.

Ma si tratta di una pacchiana presa per i fondelli. Ragionando seriamente, nella scorsa legislatura anche gli industriali trentini, firmando coi sindacati il patto sulla viabilità, avevano ammesso che per loro la Pi.Ru.Bi non è poi così importante, anzi è quasi inutile. E’ ovvio che se poi è addirittura il Presidente della Provincia, od il suo braccio destro, ad offrirgliela gratis s’un piatto d’argento, nessuno si tira indietro di fronte a cotanta generosità.

Ma mettiamo pure che si debba fare di tutto per aiutare le imprese trentine, fino al punto di caricare sulle casse pubbliche (cioè sulle tasche dei contribuenti) una spesa per la realizzazione ed il mantenimento della Pi.Ru.Bi che neppure la più poderosa crescita del Pil provinciale che ne deriverebbe riuscirebbe mai a ripianare in termini di maggiore gettito fiscale. Insomma, diamogli pure per buona anche la logica clientelare/assistenziale.

La questione è: quale sviluppo vogliamo? Vogliamo il turismo internazionale, la viticoltura d’eccellenza e la new economy, o vogliamo gli sciatori veneti che vengono e vanno in giornata, il vino da due soldi nel tetrapak e le "fabbrichètte" che sanno solo sfruttare la mano d’opera?

In una zona montana come il Trentino, solo il primo tipo di sviluppo ha un futuro. Realizzare la Pi.Ru.Bi significa privarsene.

E’ comprensibile che Dellai e Grisenti vogliano spernacchiare la sinistra: probabilmente se lo merita. Ed è anche comprensibile che, in una sinistra trentina che si prepara alle elezioni in un momento in cui è in drammatica crisi di consenso e di credibilità, ci sia chi pretende un regolamento di conti.

Ma non si arrivi al punto di rubare il futuro alle giovani generazioni in nome di un contingente calcolo elettorale.