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QT n. 2, 25 gennaio 2003 Monitor

“Gabriele”: una poetica teatrale al bivio

Non convince pienamente il secondo lavoro del giovane attore-autore Fausto Paravidino.

E' andato in scena a Rovereto "Gabriele", un testo scritto da Fausto Paravidino, giovane e promettente autore-attore che meritò con lo spettacolo "2 fratelli", in cartellone la scorsa stagione a Rovereto nello spazio alternativo del Teatro alla Cartiera (e da noi recensito), il premio Pier Vittorio Tondelli ‘99 e l’UBU 2001 per la miglior opera teatrale."Gabriele", recitato dallo stesso Paradivino insieme ad un gruppo di giovani attori, è stato ugualmente prodotto dal Teatro Stabile di Bolzano al pari del primo.

Fausto Paravidino.

In questo contesto vorremmo sottolineare che l’attività del teatro altoatesino, nel dare spazio e credibilità ai giovani talenti, è necessaria e meritevole, anche se purtroppo poco praticata dagli altri stabili nazionali.

L’avvio dello spettacolo ricordava molto il Kammerspiel, ossia un teatro da camera di tradizione primo-novecentesca d’ambito tedesco, che privilegiava spazi chiusi e raccolti in cui al meglio si poteva valorizzare la psicologia di pochi personaggi e le cui battute erano semplici ed essenziali.

Fu il genio teatrale di Max Reinhardt nel 1906 ad inaugurare il Kammerspiel del Deutsches Theater a Berlino con "Spettri" di Ibsen.

La traiettoria di certa avanguardia teatrale contemporanea - si cerchi in qualche fornita videoteca teatrale il bellissimo "Nella solitudine dei campi di cotone" di Bernard- Marie Koltés per la regia di Chérif - va proprio verso la ripresa di questi criteri compositivi.

Nello spettacolo roveretano la scelta formale di Paravidino è stata, come nella tradizione del Kammerspiel, di ambientare in un perimetro chiuso l’azione di pochi personaggi basandola su dialoghi scabri e senza alcuna interruzione di scena. In effetti almeno una prima parte dello spettacolo ha avuto un andamento intimista ed esistenziale funzionale alla vicenda narrata (quella di un gruppo di attori che da Genova si sposta a Roma per tentare la fortuna del palcoscenico) e che riflette realmente l’iter del gruppo di giovani artisti che danno vita alla pièce a tal punto che i protagonisti portano i reali nomi anagrafici.

Come già nel citato "Due fratelli", gli esponenti della piccola comunità consumano i litigi, i progetti, i primi fallimenti, il tutto espresso attraverso connotazioni gergali in cui l’immediatezza dei dialoghi balza in primo piano.

Tuttavia le psicologie dei personaggi sono appena abbozzate e di fatto al giovane Paravidino interessa l’affresco corale e non l’individualità dei singoli personaggi.

L’irruzione nella vicenda di una ragazza, Angela, è l’espediente opportuno per far decollare la storia, attraverso la dinamica di un’infatuazione collettiva, e successivamente far precipitare l’azione grazie ad un capovolgimento inatteso. Ma quale? Facendo sì che la ragazza rimanga incinta.

Dopo blandi tentativi di interrogarsi su chi sia il padre, e l’assunzione - più presunta che reale - di paternità da parte di uno dei ragazzi - il più desideroso di stabilità sentimentale - è tutto il gruppo ad essere investito della responsabilità di crescere Gabriele, così si chiama il nuovo venuto

E proprio quest’aspetto conduce all’altra anima dello spettacolo che, abbandonato oramai il corso intimista delle prime battute, si trasforma in un autentico feuilleton per l’intento di mettere in scena - confondendo vita reale e finzione scenica – i tentativi giovanili di inseguire le proprie aspirazioni artistiche, sobbarcandosi miserie materiali e morali e lo sbandamento emotivo per la nascita del bimbo. Fortissime, e francamente un po’ desuete, sono le eco di alcune atmosfere del film "C’eravamo tanto amati".

Allora sì che la storia, avviandosi alla chiusura, perde mordente e acquista il ritmo di una commedia rosa che contrabbanda patacche come buoni sentimenti.

In conclusione ci pare che l’incertezza ideativa non abbia giovato alla messinscena e che la soluzione trovata faccia solo la parodia ad un’idea di famiglia allargata e non più fondata sui vincoli di sangue, certamente patrimonio concreto dei tempi che viviamo, ma trattata in modo civettuolo e superficiale. A maggior ragione perché è lo stesso messaggio sbandierato anche dal cinema. Chi non ricorda "Tre uomini e una culla"?O il più recente "About a boy"?

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