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QT n. 8, 19 aprile 2003 Monitor

“Alcesti”: il sacrificio nella danza

Il duo Abbondanza-Bertoni e la tragedia di Euripide: una versione di teatro-danza dai movimenti minimali.

Alcesti sacrifica la vita per quella di suo marito Admeto. Tu lo faresti? E quanti uomini vigliacchi ed egoisti si nascondono, oggi, dietro ad Admeto?

Michele Abbondanza e Antonella Bertoni.

Sono questi gli interrogativi da cui prende le mosse la messinscena di "Alcesti", la più antica delle tragedie di Euripide, proposta da Michele Abbondanza e Antonella Bertoni, i danzatori- coreografi più celebri della danza italiana. Da tanti anni i due artisti vantano un solido sodalizio professionale e sentimentale; si definiscono una coppia "stagionata", e proprio da questa lunga unione è nata la loro esigenza di confrontarsi sul tema del sacrificio in amore, oggi sempre più ostico. Sacrificio che in una crisi di valori alimentata da un sempre più imperante individualismo, sempre meno persone sono disposte ad affrontare; e proprio in questo clima i due danzatori escono con questo balletto in cui sottolineano che il segreto dell’amore eterno sta proprio nella capacità di sacrificarsi. Senza arrivare al sacrificio estremo di "Alcesti" sono sufficienti quelli quotidiani, piccoli e grandi che siano, senza i quali l’unione duratura della coppia è impossibile. Quanto a Michele Abbondanza e Antonella Bertoni, i rispettivi dati biografici sono stati alla base di molte loro creazioni, ad iniziare da "Terramara", balletto bucolico del 1991, nato nei primi tempi del loro rapporto, in cui prevale la visione rosea dell’amore, tipica di una storia ancora agli inizi, sull’onda del più romantico trasporto. Con "Alcesti", la visione edulcorata lascia il posto ad un rapporto sofferto, sfinito, a volte perfino cianotico. Sabato scorso, lo spettacolo è stato presentato al Sociale di Trento, a conclusione della rassegna "InDanza".

Tacito requiem per assordanti sponsali, l’"Alcesti" di Abbondanza-Bertoni, mediato dalla poesia di Rilke tradotta da Pintor, attualizza la tragedia greca: i personaggi indossano abiti di oggi, si muovono in uno spazio quadrato, definito da dei tendaggi bianchi, che assomiglia ad un ambulatorio medico. Tra loro si aggira una piccola figura che di volta in volta è ossequioso pretino, cerimoniere di nozze e la morte stessa, dalla risata sardonica e che regge un vessillo funebre, mentre contratta la vita di Admeto in cambio di quella di Alcesti. Il giorno delle nozze è anticipato da un lungo quadro dei due amanti nudi, con corpi appesantiti da protesi che riproducono seni e organi genitali cadenti; ogni volta che si toccano emettono dei rumori fastidiosi, di graffi e fruscii, che conducono ad un macabro rituale di vestizione funebre, che in realtà si rivela cerimonia di nozze, con abito bianco e velo lungo per la sposa, in nero lo sposo, sigillati dal tradizionale lancio del riso.

Sul volto della sposa c’è però un’inquietante incrinatura, il rossetto "sbaffato" che la trasforma in una maschera di dolore e di morte.

I due danzatori, ex primi ballerini di Carolyn Carlson, ora anche docenti di ruolo alla scuola di ballo del Teatro alla Scala e al Piccolo di Milano, sono dei virtuosi del movimento, eppure in questo spettacolo sono arrivati addirittura ad occultare la danza. C’è una intensità interpretativa che è tipica del teatro-danza, ma i movimenti non sono mai ostentati, affettati; spesso lo spettacolo è statico nei suoi gesti minimali, ripetitivi e nelle semplici camminate. L’autocompiacimento, sempre presente nel mondo della danza, qui è bandito; e questo in uno spettacolo che rispetta fino in fondo l’essenza della tragedia, non concedendo nulla alla rassicurante gradevolezza delle forme. E come la vicenda è inchiodata tra la vita e la morte, così lo spettacolo è giocato sugli estremi: o buio pesto o luce accecante, o lunghi silenzi o suoni e rumori che scuotono fisicamente lo spettatore.

Questa di "Alcesti" è la prima tappa di un trittico che Abbondanza e Bertoni dedicheranno al sacrificio d’amore nella tragedia greca. Il progetto si intitola "Ho male all’altro", come il paradosso della vita di coppia, formulato da Roland Barthes.