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QT n. 21, 6 dicembre 2003 Servizi

Referendum, la sconfitta

Riflessioni sul voto, il quorum, i partiti e la democrazia.

Con un 26,7% di votanti il referendum sull’inceneritore ha rappresentato un’indubbia sconfitta per i promotori e per chi – noi tra questi – ritiene importante la questione rifiuti, indicativa dell’approccio ai problemi della società odierna (vedi Inceneritore: i perché di un referendum). Su questo rimandiamo la riflessione a un prossimo servizio. Qui invece ci preme affrontare un’altra questione: l’istituto referendum ormai destinato al flop, e le conseguenti ricadute sulla democrazia.

Su questo tema già sono state svolte sui quotidiani tutta una serie di interessanti considerazioni. La più stimolante ci è sembrata quella dello studioso Francesco Palermo pubblicata sul Trentino: in cui si evidenzia il nesso tra fallimento referendario e potere della partitocrazia. E’ in effetti sconcertante rilevare come l’insieme dei partiti non si sia impegnato nella campagna referendaria: Forza Italia e Lega perché i temi ambientali, aldilà della voglia di fare lo sgambetto alla maggioranza ulivista, non sono nelle loro corde; An per la miseria della propria vita interna; la sinistra per la perenne sudditanza a Dellai; Rifondazione Comunista perché snobba le questioni locali; Margherita e Verdi (!!) perché favorevoli all’impianto. Ma più che le motivazioni reali sono illuminanti quelle dichiarate: "referendum inutile" "tematica troppo complessa" "non si può decidere con un Sì o con un No" "quesito mal posto" ecc.

Motivazioni sconcertanti perché implicano una radicale sfiducia nella democrazia, e sono portate avanti proprio dalle istituzioni deputate ad animare il dibattito democratico. Se l’elettore è immaturo per ragionare su un impianto di smaltimento dei rifiuti, perché mai dovrebbe essere in grado di scegliere gli indirizzi generali della politica provinciale e nazionale? I partiti si rendono conto che, seminando a piene mani sfiducia negli strumenti democratici (particolarmente irresponsabili sono stati il sindaco Pacher e il presidente Dellai), minano alla lunga le basi della propria stessa legittimità?

Perché in effetti, i comportamenti di questi giorni (ma del tutto analoghi sono stati quelli durante il referendum sull’aeroporto, con Dellai che il giorno delle elezioni se ne è andato a vedere la Ferrari, vedi Credibilità e contenuti) sembrano indicare una precisa linea di pensiero: il momento della democrazia è quello delle elezioni, dopo il quale non bisogna disturbare il manovratore.

Emblematica al proposito la posizione dei Ds: che sulla questione rifiuti hanno le idee chiare (anche per il lavoro di Vincenzo Passerini) e confliggenti con l’ipotesi del maxi-impianto; ma che hanno boicottato il referendum, perché la via primaria deve comunque rimanere (non importa se sia illusoria, come ha dimostrato la storia recente) quella dei rapporti partitocratici, Ds-Margherita, Pacher-Dellai, Comune-Provincia, e in questo gioco il cittadino non deve entrare, e sarebbe scorretto volerlo inserire.

Insomma, la partitocrazia accetta (non può farne a meno) di essere messa in discussione ad ogni fine legislatura; non sopporta, e quindi delegittima, ogni altra verifica, vista come indebita intrusione.

E la delegittimazione come avviene? Attraverso il boicottaggio, il chiamarsi fuori, il rifiutarsi di svolgere il proprio compito primario, che è quello di animare il dibattito politico.

Difatti in questo momento storico, caratterizzato dalla difficoltà della società ad esprimersi autonomamente, e quindi dalla rinnovata centralità dei partiti, il loro sciopero atrofizza il confronto, che diventa evanescente. E, quel che è peggio, viene fatto apparire come irrilevante il parere dei cittadini: "perché votare? Tanto loro fanno quello che vogliono..." è stata l’argomentazione di tanti. Ma questo, anche per la partitocrazia, è un esito auspicabile?

Un quadro sconfortante. Al punto che sembrano nascere anticorpi. Non è stato irrilevante né rituale il dibattito del dopo voto. Con la richiesta, avanzata da più parti, di abbassare il quorum (la percentuale di votanti che rende la consultazione valida) magari abbinata a un innalzamento del numero di firme necessarie per presentare il referendum (per evitare i quesiti irrilevanti).

Un’eliminazione o un abbassamento del quorum (attorno al 25-30%) avrebbe secondo noi benefici effetti. Innanzitutto perché impedirebbe ai contrari al referendum di acquattarsi fra i non votanti (e poi magari di rivendicare come proprio il non voto, come hanno in questo caso fatto, con notevole spudoratezza, alcuni dei sostenitori dell’inceneritore, come gli incredibili Verdi trentini); e li costringerebbe ad abbandonare la tattica del silenzio, del non muovere foglia (ricordiamo come sull’aeroporto fosse impossibile trovare un relatore a favore) e invece li indurrebbe ad impegnarsi nel dibattito, nel tentativo di convincere gli incerti, non di lasciarli tali e tenerli a casa; il che gioverebbe a tutti, a iniziare dalla democrazia.

E in secondo luogo, la possibilità di una verifica più puntuale dell’operato degli amministratori, sarebbe certo per questi più scocciante, ma porrebbe un freno a certe operazioni che, per quanto disinvolte, risultano coperte dalle convenienze partitocratiche.

Il fatto che su questo ci si sia messi a ragionare è confortante. Sperando che si passi dalle parole ai fatti.